L’orchestra della luce

Fonti intermittenti di energia e fonti rinnovabili: il nostro mondo si muove grazie all’energia, ma per coprire il fabbisogno occorre un intreccio complesso di attività e sinergie.

Vi siete mai chiesti come funziona la rete elettrica che fornisce energia a un paese avanzato come l’Italia? Alla base di tutto c’è un gruppo di centrali addette a quello che i tecnici definiscono il “carico di base”, ovvero l’elettricità che l’Italia richiede sempre, anche alle tre di notte. Sono le centrali, per così dire, da “gran fondo”, che devono funzionare sempre. Poi, via via che le ore passano, inizia il giorno e cominciano le varie attività di quasi 60 milioni di italiani. La richiesta di elettricità aumenta ed entrano in funzione sempre più centrali, finché verso le 11 arriva, di solito, il picco, la massima richiesta. Questa viene soddisfatta da centrali che potremmo definire i “centometristi” della rete elettrica, dotate di uno scatto bruciante. Centrali, di solito, idroelettriche o a gas, capaci di passare dal 10 al 100 per cento della potenza in poche decine di secondi. Si tratta di un sistema complicato, una specie di orchestra dove ognuno deve suonare esattamente quando lo indica il direttore, cioè il gestore della rete. Tanti suonatori che decidessero da soli quando e per quanto suonare farebbero prendere delle “stecche” alla rete: i blackout, il buio. In altre parole, queste energie, a causa della loro intermittenza e imprevedibilità, creano una situazione instabile nella rete, salvo grandi innovazioni tecnologiche ad oggi non prevedibili. Certo, si potrebbe accumulare l’elettricità in modo da evitare questa intermittenza, ma gli accumulatori fanno aumentare i costi. E poi, per quale scorta di tempo si dovrebbe accumulare questa elettricità? Un giorno, una settimana, un mese?

Per quanto riguarda, invece, il solare e l’eolico, è stato calcolato che queste fonti intermittenti potrebbero fornire qualcosa come il 10 per cento dell’energia elettrica senza creare problemi alla rete. In altre parole, quando sono in grado di funzionare (c’è il sole e tira vento), mandano in rete la loro energia mentre altre centrali tradizionali si fermano, risparmiando combustibile. Quando non ci sono né sole né vento, queste centrali in “panchina” devono scendere in campo e produrre, loro, l’energia che serve alla rete. Naturalmente, può anche succedere che le rinnovabili producano, ma non abbastanza (il vento è debole, ci sono le nuvole) e allora le centrali tradizionali aggiungeranno la potenza mancante per soddisfare la richiesta della rete. Anche in questo caso c’è però un risparmio. Le nuove rinnovabili possono dare un contributo rispettabile e proprio per questo devono essere sviluppate al massimo, il più possibile. Anche perché oggi contribuiscono solo per lo 0,8% nella produzione elettrica. Secondo gli esperti, non si deve però creare l’illusione che, con queste fonti rinnovabili, si possa risolvere interamente il problema della dipendenza energetica italiana.

Per quanto riguarda l’eolico, diciamo, per cominciare, che è ormai diventato competitivo con altre fonti, quali il petrolio o il gas, per i costi. Per produrre energia con il vento sono necessarie grandi torri, alte anche 100 metri, come un grattacielo di 30 piani, ed eliche del diametro massimo di 80 metri. Certo, con i vecchi mulini a vento del passato hanno ben poco in comune. Le conoscenze che hanno permesso di sviluppare queste macchine derivano soprattutto dall’ingegneria aeronautica. Oggi, i più grandi aerogeneratori hanno una potenza di 2 megawatt. Ma ci sono prototipi in grado di produrre addirittura 4 o 6 megawatt (per arrivare a una potenza installata da 1000 megawatt ne occorrerebbero comunque 200…).

Il CESI e l’ENEA, due enti pubblici di ricerca, hanno studiato per vari anni i venti della nostra penisola e hanno preparato un vero e proprio “Atlante dei venti”. Accanto alle varie caratteristiche geografiche, in queste mappe si possono leggere le intensità medie del vento. L’atlante dei venti è dunque uno strumento indispensabile per decidere dove costruire gli aerogeneratori. Da questo atlante si deduce che i venti adatti all’eolico si trovano soprattutto nel Sud e nelle isole. Parliamo di venti che soffiano per almeno 200 giorni all’anno e con sufficiente intensità. Essi si trovano principalmente lungo le coste e le dorsali montuose. Va comunque specificato che l’Italia, in confronto ad altri paesi europei che si affacciano sull’oceano, come Gran Bretagna e Spagna, non è poi molto ventosa. Tuttavia, oggi, nel nostro paese sono già stati installati aerogeneratori per una potenza complessiva di 1800 megawatt. Per una potenza che corrisponde a quasi due centrali standard tradizionali (a petrolio, gas o carbone) che di solito sono da 1000 megawatt. Calcoli del tutto teorici sull’ “Atlante dei venti” potrebbero far pensare che la potenza massima estraibile, nel nostro paese (se potessimo utilizzare il vento ovunque fosse abbastanza intenso), potrebbe essere intorno ai 40-45 mila megawatt. Il vero problema è che non sempre è possibile costruire queste torri eoliche dove c’è vento, poiché si tratterebbe di installarle su montagne inaccessibili, in aree boschive, su pendii troppo scoscesi, su coste di grande richiamo turistico, oppure in luoghi soggetti a venti turbolenti e irregolari. Insomma, un potenziale che non si può sfruttare completamente. E ci sono ancora una serie di ostacoli da tenere in considerazione: l’eolico non è sempre accettato e ci si deve confrontare con il partito dei “non nel mio giardino”. Fate quello che volete, ma non nelle mie vicinanze. In questo caso, il motivo del rifiuto non è la paura delle radiazioni o dell’inquinamento, come succede per nucleare o carbone, bensì un problema di offesa al senso estetico. Per arrivare a 1000 megawatt ci vorrebbe qualche centinaio di queste torri, sparse su diverse decine di chilometri quadrati, per non schermarsi il vento l’una con l’altra. Un panorama non del tutto gradevole. Specialmente in Italia, dove il paesaggio è una risorsa importante. Il vantaggio dell’eolico è che comunque i terreni dove sorgono gli impianti sono ancora utilizzabili per l’agricoltura o l’allevamento e queste torri, alla fine della loro vita produttiva, sono poi facilmente rimovibili. Infine, non è indispensabile costruire centrali da 1000 megawatt. Impianti più piccoli sono sicuramente meno “vistosi”. La soluzione ideale del problema estetico sarebbe la costruzione delle centrali in mezzo al mare. In Italia, però, questa via è più difficile rispetto ad altri paesi: a parte rare eccezioni, i mari italiani, Ligure, Tirreno, Jonio, sono molto profondi, diversamente da quanto avviene, ad esempio, in Danimarca, dove ci sono moltissime torri eoliche installate in fondali bassi ed in aree ventose. In Italia, infine, se i mari sono poco profondi, come l’Adriatico, non sono molto ventosi. Insomma, ci sono delle potenzialità da sfruttare, ma bisogna tener conto dei limiti e non solo di quelli sin qui accennati. Quando si dice, per esempio, 1000 megawatt di potenza installata, c’è una bella differenza se questa centrale è eolica, solare, idroelettrica, a gas o nucleare. Ciò significa, in teoria, che, nonostante la potenza sia la stessa, le varie centrali producono quantità diverse di elettricità. In un anno ci sono 8760 ore. È chiaro che nessuna centrale può funzionare a “tavoletta”, cioè al massimo, per tutte quelle ore. Le centrali nucleari, a carbonio, a petrolio o a gas riescono comunque ad andare a “piena potenza” per 6000-7000 ore all’anno. Il resto va perso in fermate per manutenzione. Con l’idroelettrico, in media, si scende a 4000-5000 ore, perché, quando non piove, i bacini non si riempiono d’acqua e quindi niente elettricità. Con l’eolico la situazione è ancora peggiore. Le ore, alla massima potenza, sono circa 2000 all’anno, a seconda della ventosità del sito. Le pale magari girano anche per più ore, ma non al massimo e quindi equivalgono alle 2000 ore a “tavoletta”. Con il solare va ancora peggio. Sono dunque queste, in sintesi, tutte le considerazioni da tenere ben presenti quando si calcolano i costi del kilowattora prodotto.

Lorenzo Pinna
Giornalista e scrittore, collabora con Piero Angela a: Quark, Viaggio nel Cosmo,
La Macchina Meravigliosa, Il Pianeta dei Dinosauri.

Massimiliano Fanni Canelles

Viceprimario al reparto di Accettazione ed Emergenza dell'Ospedale ¨Franz Tappeiner¨di Merano nella Südtiroler Sanitätsbetrieb – Azienda sanitaria dell'Alto Adige – da giugno 2019. Attualmente in prima linea nella gestione clinica e nell'organizzazione per l'emergenza Coronavirus. In particolare responsabile del reparto di infettivi e semi – intensiva del Pronto Soccorso dell'ospedale di Merano. 

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