Sempre più il mondo della comunicazione contribuisce ad offrire ai bambini un modello di riferimento e stili di comportamento da imitare rischiando di promuovere comportamenti che aumentano il rischio di schemi alimentari poveri, con conseguente aumento dell’obesità. In una ricerca pubblicata nel 2004 da Eurispes e Telefono Azzurro su un campione di 3.700 bambini dagli 8 ai 12 anni, circa il 70% ha dichiarato che avrebbe voluto assomigliare ad un personaggio dei programmi televisivi.
Si tiene proprio in questi giorni il 5° congresso nazionale della Società Italiana dei Disturbi Alimentari dal titolo “Anoressie, bulimie, sovrappeso e obesità”. Un congresso che tratta una tematica che sempre più assume un’importanza rilevante. Contemporaneamente il presidente della Società italiana di diabetologia denuncia che “Se in Italia nel 1980 era obeso 1 bambino su 10, oggi, invece, i chili di troppo riguardano 1 su 4 e in alcune regioni addirittura 1 su 3”. Si tratta di un dato allarmante, dal momento che la maggior parte di questi piccoli obesi è a rischio di altre gravi patologie come il diabete. Negli ultimi vent’anni si è, di fatto, assistito ad un rapido incremento del numero di bambini in sovrappeso o obesi, tanto che l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) ha definito questa patologia come “uno dei più rilevanti problemi di salute pubblica della società odierna”. Un problema che trova la sua origine in diversi fattori. Tra questi un ruolo importante è attribuito anche ai media ed agli stili di vita promossi dal mondo delle immagini ed alla eccessiva presenza di un marketing alimentare di prodotti ricchi di zuccheri e grassi. Il gruppo di ricerca dell’Osservatorio Bambini e Media dell’Università IULM ormai da qualche anno sta svolgendo un attento monitoraggio dei processi di comunicazione rivolti (direttamente o indirettamente) all’infanzia e all’adolescenza, al fine di analizzare gli effetti che la comunicazione televisiva può avere nel promuovere stili di vita e tipologie di comportamenti di consumo. Ecco che la riflessione sul ruolo della comunicazione mediatica e sui disturbi alimentari rappresenta un’area di ricerca scientifica e di intervento di grande interesse sociale e morale. Le scelte alimentari dei bambini sono influenzate da un’ampia varietà di fattori ambientali e di stili di vita importanti nello sviluppo, nella maturazione e nella modifica dei comportamenti alimentari durante la fanciullezza (Crockett & Sims, 1995). Le cause dell’obesità sono primariamente collegabili a fattori genetici, ma da un punto di vista epidemiologico i fattori più rilevanti sono le interazioni con l’ambiente, poiché queste sono le principali responsabili dell’incessante aumento dell’obesità e delle malattie associate. In questo processo un ruolo importante è attribuibile all’educazione al consumo alimentare ed alla scarsa attività fisica: aspetti che oltre a coinvolgere la responsabilità genitoriale chiamano in causa il ruolo della comunicazione mediatica. Soprattutto in questo momento storico in cui accanto agli usuali organizzatori sociali come la scuola e la famiglia, i media ed il mondo del consumo hanno assunto un ruolo sempre più consistente nell’ offrire occasione di identificazione per i bambini e gli adolescenti. Sempre più il mondo della comunicazione contribuisce ad offrire ai bambini un modello di riferimento e stili di comportamento da imitare rischiando di promuovere comportamenti che aumentano il rischio di schemi alimentari poveri (Signorielli, Morgan, 2001), con conseguente aumento dell’obesità. In una ricerca pubblicata nel 2004 da Eurispes e Telefono Azzurro su un campione di 3.700 bambini (dagli 8 ai 12 anni) circa il 70% ha dichiarato che avrebbe voluto assomigliare ad un personaggio dei programmi televisivi; tra questi quelli maggiormente scelti sono stati Michelle Hunzicker, Luca Laurenti e un personaggio del Grande Fratello. Secondo la stessa il 68% dei bambini (8-12) e il 60,3% degli adolescenti (campione di 3.500 soggetti) guarda la tv per circa 1-2 ore al giorno; il 20,9% dei bambini e il 31% degli adolescenti la guarda da 3 a 5 ore, mentre circa il 7% dei bambini guarda la TV per più di 5 ore, riducendo significativamente l’attività fisica e di movimento utile per la prevenzione dell’obesità.
Questa massiccia dose di tempo dedicata alla visione televisiva (ed oggi anche di navigazione in internet che pare abbia superato il tempo dedicato alla visione della TV) è uno dei fattori di rischio dell’obesità infantile, come indicato dall’Ultimo Rapporto sull’Obesità dell’OMS (2007), a causa della ridotta attività fisica, della facilitazione ad accessi a cibi da “sgranocchiare” davanti la TV e ad un reale “bombardamento” del marketing alimentare attuato dall’industria nei confronti dei baby-consumatori. L’era dell’informazione ha, infatti, aumentato sensibilmente la possibilità per i bambini di entrare in contatto con la promozione di una maggiore varietà di cibo, soprattutto di quel cibo ad elevato contenuto di grassi, zuccheri e sale (junk food). Inoltre oggi l’atto del mangiare e del bere diventano azioni prevalenti che estendono i propri confini a larga parte del tempo quotidiano: le occasioni di mangiare sono molteplici, mentre si guarda la televisione, mentre si è in casa, mentre si è in compagnia dei pari. Non a caso l’alimentazione è una delle aree di investimento pubblicitario più importanti, soprattutto per gli spot che vanno in onda durante le fasce protette dedicate all’infanzia. Tra questi spiccano per frequenza e capacità attrattiva verso i bambini quei prodotti alimentari cosiddetti junk food, ovvero quelli con un elevato livello di grassi, zuccheri e sale: cereali da colazione zuccherati, bevande zuccherate, pasticceria varia, snack salati e ristoranti fast food. In questo processo il marketing alimentare utilizza tecniche ad elevato impatto sui bambini poiché più influenzabili e suggestionabili degli adulti, stimolando in loro la richiesta e il desiderio di appagamento immediato del desiderio del cibo pubblicizzato: ecco che le tecniche narrative utilizzate si servono di contenuti ed argomentazioni molto vicini ai bambini (il valore della famiglia e degli amici), gli attori sono prevalentemente accattivanti personaggi animati, genitori e bambini, il packaging del prodotto iper-colorato ed attraente, la storia narrata è spesso breve ed incisiva perché più accattivante verso i bambini, e l’alimento viene spesso rappresentato come chiave per ottenere la felicità, l’amicizia, il riconoscimento e l’accettazione degli altri. Occorre segnalare che in Italia, tra l’altro, non vi è alcuna normativa che impone la riduzione di questo tipo di spot nelle fasce protette, come capita in alcuni paesi del Nord Europa, in cui sono pressoché vietati. Per fortuna, a fronte anche di un allarme sempre più frequente, molte aziende hanno modificato il loro stile comunicativo associando all’immagine dello snack il richiamo dell’attività fisica come valore assoluto (come ha fatto Ferrero), mentre altre hanno avviato lo sviluppo di prodotti salutari fatti solo di frutta e di verdura (ma pubblicizzati con le medesime strategie) come nel caso di Zuegg e il nuovo succo prodotto senza zucchero e senza alcun conservante. Di fronte al rischio dell’influenza mediatica non è sufficiente intervenire con adeguate politiche di comunicazione, occorrerebbe un intervento normativo ed una maggiore azione di prevenzione e di cambiamento dei comportamenti di consumo alimentare. Allo stesso tempo occorrerebbe intervenire con progetti educativi finalizzati a stimolare l’acquisizione di comportamenti di consumo salutari, con il coinvolgimento della scuola e dei genitori. In questa prospettiva è esemplare il progetto di educazione alimentare “Food Dude Healthy Eating Programme”, nato e sviluppato in Gran Bretagna, presso l’Università del Galles a Bangor, e di recente applicato anche in Irlanda ed in fase di sperimentazione in Italia con il contributo dei ricercatori della Fondazione IULM. Il progetto è stato creato con l’obiettivo di incentivare e costruire un sano stile alimentare nei bambini dai 6 agli 11 anni, prevenendo e combattendo il sovrappeso e in generale tutti i rischi collegati a sbilanciati schemi alimentari. Grazie a specifiche tecniche utilizzate di incentivazione, contribuisce alla costruzione di un modello di comportamento alimentare adeguato e di uno stile nutritivo positivo per i risultati a lungo termine, in contrapposizione ancora con quanto promosso, ancora troppo spesso, dai media.
Prof. Vincenzo Russo,
Docente di Psicologia dei Consumi, Università IULM,
Fondazione Università IULM, Milano