Diffidate del computer, ve lo dice un informatico. E’ uno strumento meraviglioso ma non per fare formazione. Servono più persone e meno slides per imparare, altrimenti saprete solo quelle brevi frasine preconfezionate, inutili alla formazione ma, certo, indispensabili al ripasso, una volta che si è acquisita dimestichezza con la materia.
“Le ho raccontato il modo in cui ti poni con noi e le ho letto la tua mail. Entusiasmo!
Vorrebbe (ma, come te, dice VUOLE) un tuo articolo sul tema “Giovani e Media” quindi anche il rapporto con i nuovi media.”
Credo non servano altre parole per descrivere l’imbarazzo che un tecnico informatico con tutta l’umiltà di saper di non sapere può provare davanti a questa frase. Bene, coraggio, come rifiutarsi di scrivere dei propri percorsi in un mondo ancora vecchio, talmente vecchio da fondarsi su metodi di divulgazione dell’epoca di Galileo? La mail si riferisce ad un seminario sull’informatica che ho tenuto qualche giorno fa a dei futuri psicologi ed in cui mi sono trovato costretto a dire qualcosa come “ciò che avete imparato oggi non usatelo e non ditelo a nessuno perché ora sapete qualcosa che, come voi prima, gli altri non sanno e quindi potrebbero non capire le vostre proposte”. Queste catene mi stanno strette perché i miei percorsi personali mi hanno portato lontano dalle forme tradizionali di comunicazione e, soprattutto, mi hanno fatto rendere conto che l’uomo, inteso come macchina cellulare, impara solo grazie ai suoi sensi.
Lavoro come informatico presso una facoltà universitaria e ho continuamente contatti con studenti e docenti. Osservo. Ascolto. Penso.
Il confronto è inevitabile. Passeggiando per i bui corridoi mi accorgo dell’atmosfera deviante indotta dalla lamentosa voce narrante nella penombra mentre, in buona sostanza, legge le slides proiettate. I bambini invece imparano tutto giocando, divertendosi, copiando. Gli studenti in aula non giocano e non si divertono e questo è il meno: cosa possono “copiare”? Solo a leggere delle slides proiettate. Vuoi dei popcorn? Fate giocare i bambini! E state con loro mentre giocano per imparare – di nuovo – come si apprende veramente. Passate con loro più tempo possibile (e non poco ma buono come invece spesso sento dire): sono i migliori insegnanti. Non sono mai stato il docente incravattato, sono io per primo che devo imparare quando racconto qualcosa e ciò è possibile solo se sono alla pari di chi in quel momento ascolta. Diamoci del tu ma non dimentichiamoci il rispetto. Con me in aula non si beve, non si mangia, il telefonino deve tacere e si parla solo quando interrogati (non “se” interrogati, osservate la lieve differenza?): se non ti aggrada ricordati che io ho l’obbligo di fare il possibile acciocché tutti i presenti possano imparare qualcosa, ma sei tu che devi sforzarti a imparare, io quelle cose le so già. Non sono io a spiegare ma è mio preciso compito fare le domande in modo che possiate rispondervi da soli, dandovi giusto quelle quattro informazioni di partenza. Per favore, gradirei le luci bene accese, meglio se c’è il sole, e una buona ventilazione. Evitiamo il pomeriggio oppure mangiamo poco, avrei piacere che il sangue stesse nella testa, grazie. No, non ho bisogno di ausili tecnologici: lavagna e gessetti andranno benissimo. Dai, non mettetevi in fondo, stiamo vicini così mi guardate meglio visto che sono proprio bello.
Parlo forte. Molto forte. Che non possa mai venirmi il dubbio che non mi avete sentito o che dobbiate sforzarvi per ascoltare: il mio compito è facilitarvi, non affaticarvi. Non prendete appunti come sotto dettatura altrimenti non mi ascoltate. Vi parlerò con fare comune, userò anche qualche parolaccia, vi prenderò in giro e vi mostrerò la lingua. Anche voi dovrete farlo con me. Con grandi gesti farò sì che i vostri occhi mi guardino così da dare enfasi a ciò che sto dicendo. Viviamo per quelle poche ore totalmente assieme: caffè? pranzo? La cena di fine corso è per me sempre una grande emozione. Diffidate del computer, ve lo dice un informatico. E’ uno strumento meraviglioso ma non per fare formazione. Servono più persone e meno slides per imparare, altrimenti saprete solo quelle brevi frasine preconfezionate, inutili alla formazione ma, certo, indispensabili al ripasso, una volta che si è acquisita dimestichezza con la materia.
Quindi dovrete fare voi le slides ma non dei miseri riassunti: raccontatemi qualcosa. Io queste cose le so già, ma devo piuttosto imparare come ciò che vi ho detto vi possa riguardare per l’intera vostra vita. Poi scambiatevele, così che possiate imparare dai vostri compagni.
La base della formazione mediatica si fonda sul riuso dell’oggetto “lezione”. Non voglio che mia figlia pensi che siamo tutti uguali. Non lo siamo, siamo alti, bassi, biondi, mori, belli, brutti, chiari, scuri, dritti, storti, sani, malati, uomini, donne, qualcuno anche animale. Come faccio a spiegare a una bimba di tre anni che alto e basso sono uguali? Mi risponderebbe “Non vedi che sono diversi?” Ma soprattutto – ed è la cosa più bella – ognuno di noi è frutto della propria vita, inevitabilmente diversa. Se fossimo uguali non potremmo imparare gli uni dagli altri. Allora non posso concepire di riusare una lezione con una classe diversa. Né posso pensare che la stessa lezione rimanga valida per la medesima classe perché nel frattempo si invecchia, si impara, si metabolizza la materia. E infine io sono bello e so di esserlo e so cose che voi non sapete. Un meraviglioso tesoretto – grande o piccolo che sia non ha importanza – che se non lo condividessi con voi morirebbe con me. Guardatemi e ascoltatemi. Poi copiatemi, così diventerò immortale. Non sarete miei cloni perché avrete copiato tante cose da persone diverse, diventando a vostra volta diversi da com’eravate prima. Le slides sono impersonali. A leggersele da soli non potete imparare dai vostri compagni e ricordate che da chiunque si impara qualcosa. Preferirei essere, anzi sarò il vostro nemico comune: almeno avrete qualcosa da fare assieme. I nuovi media servono per l’informazione puntuale, l’istruzione precipua, il best effort dell’ultimo minuto. Forse siamo ancora in tempo a cambiare perché una cosa bella che ho potuto constatare è che i giovani sono ancora legati al nostro vecchio sistema. Per questo provano un disagio: non capiscono come mai la formazione sia tanto diversa da ciò che hanno copiato dalla famiglia.
Certo, ci vuole coraggio.
Diego Fantoma
Tecnico Informatico Universita’ Degli Studi Di Trieste