Un laboratorio chiamato Seveso

Anche se nessun aumento delle patologie che hanno interessato l’area invasa dalla nube tossica può al momento essere attribuito alla esposizione alla diossina, l’ipotesi di tale nesso resta robusta. Le indagini sulla popolazione colpita dal disastro ICMESA continuano con due obiettivi: documentare i possibili effetti a lungo termine e chiarire quali siano i meccanismi di azione tossica della diossina nell’uomo attraverso indagini di epidemiologia molecolare

Il 10 luglio 1976 una reazione incontrollata in un reattore per la produzione di triclorofenolo presso la ditta ICMESA, nel territorio del comune di Meda, provocò la fuoriuscita di una nube tossica che contaminò una vasta area abitata. La nube conteneva una miscela di sostanze tra cui triclorofenolo, sodiotriclorofenato, etilenglicole e, come accertato alcuni giorni più tardi, quantità elevate di 2,3,7,8,-tetraclorodibenzodiossina (TCDD o diossina). I primi segni della tossicità della nube si manifestarono nella vegetazione vicino alla fabbrica e negli animali da cortile. Presto anche le persone presenti in zona cominciarono a lamentare sintomi quali cefalea, nausea, irritazioni oculari. Gli effetti sull’uomo divennero evidenti quando alcuni bambini furono ricoverati negli ospedali locali per lesioni cutanee nelle parti esposte del corpo. Si delineava così un quadro di pesante contaminazione ambientale con serie conseguenze per le persone esposte. Numerose misurazioni di TCDD furono effettuate nel terreno, nella vegetazione e in animali da cortile. Le determinazioni nel terreno costituivano, in quel momento, l’indicatore più affidabile e di estesa disponibilità. Sulla base di tali misurazioni l’area interessata dall’incidente fu suddivisa in tre zone, denominate A, B ed R a decrescente contaminazione. Le concentrazioni medie nel terreno variavano da 15,5 a 580,4 m g/m2 in zona A; da 1,7 a 4,3 m g/m2 in zona B; e da 0,9 a 1,4 m g/m2 in zona R (1).

In campioni di sangue prelevati al momento dell’incidente tra i soggetti più esposti di età superiore a 13 anni le concentrazioni medie di TCDD sono risultate le seguenti: zona A, 177 soggetti, 443 ppt; zona B, 54 soggetti, 87 ppt; zona R, 17 soggetti, 15 ppt (Needham L.L., Mocarelli P., et al. Comunicazione personale, Dioxin 96, Amsterdam, 12-16 Agosto1996). Nel 1992-3 misurazioni di TCDD serica sono state effettuate in soggetti di età superiore a 20 anni scelti a random tra quelli residenti nelle zone A e B e nella zona di riferimento. I valori medi di TCDD 20 anni circa dopo l’incidente sono 53,2 ppt in zona A (7 soggetti), 11,0 ppt in zona B (51 soggetti), 4,9 ppt nell’area di riferimento (55 soggetti). Tali misurazioni confermano la categorizzazione in zone basata sui valori riscontrati nel terreno e utilizzata negli studi epidemiologici quale indicatore di esposizione. Un ulteriore dato di interesse emerso è il riscontro di valori medi di TCDD sistematicamente più elevati nelle femmine rispetto ai maschi (zona B, media geometrica = 17,6 ppt nelle femmine e 6,7 ppt nei maschi; zona riferimento, 6,1 ppt e 3,7 ppt rispettivamente nelle femmine e nei maschi) (2). Dal punto di vista strettamente sanitario alcuni effetti furono pressoché immediati: oltre alle dermolesioni furono diagnosticati oltre 180 casi di cloracne, ma la natura della TCDD rendeva inevitabile ipotizzare la comparsa di danni anche a lungo termine.

La valutazione degli effetti a lungo termine ha riguardato la mortalità per ogni tipo di causa e l’incidenza dei tumori. Entrambe le indagini hanno studiato le popolazioni delle zone inquinate (A,B,R, per un totale di circa 35.000 persone) e una popolazione di circa 200.000 persone residenti nei comuni circostanti che è stata utilizzata come riferimento poiché molto simile a quella esposta sotto il profilo ambientale, culturale e sociale. Sono state rintracciate in proporzione superiore al 99% anche le persone che dopo l’incidente erano emigrate altrove. Il quadro più indicativo emerso dall’indagine di incidenza dei tumori nel decennio 1977-1986 riguarda un aumentato rischio per i soggetti residenti in zona B. Sono risultati in eccesso i tumori del tratto epatobiliare (in particolare i tumori della cistifellea e dei dotti biliari nelle donne) e i tumori del tessuto linfoemopoietico. Il rischio tra i maschi riguardava in modo particolare i linfomi non Hodgkin mentre tra le donne l’eccesso di rischio era a carico dei mielomi multipli e delle leucemie. L’indagine di mortalità ha finora fornito dati per i 15 anni successivi all’incidente (1976-1991). Un rischio aumentato per i tumori dello stomaco è stato osservato nelle donne residenti in zona B, mentre tra i maschi l’eccesso riguardava i tumori del retto. Permane l’eccesso a carico dei tumori del tessuto linfoemopoietico che interessa le leucemie negli uomini, i mielomi multipli nelle donne e il linfoma di Hodgkin in entrambi i sessi. Il rischio di sarcoma dei tessuti molli è risultato aumentato sia all’incidenza che alla mortalità per i maschi in zona R (3). L’indagine di mortalità ha inoltre messo in luce un aumento di morti per cause cardiovascolari e respiratorie nelle zone più inquinate e un eccesso di morti per diabete soprattutto a carico delle donne residenti in zona B. L’aumento di morti cardiovascolari e respiratorie è probabilmente da attribuirsi sia alle condizioni di stress post-incidente legate alla situazione di ansietà, paura, incertezza e tensione vissuta dai soggetti nei mesi successivi all’incidente sia ai possibili effetti della TCDD sul sistema cardiovascolare e immunitario che trovano conferma in dati sperimentali ed epidemiologici. L’aumentato rischio per diabete trova conferma in altre indagini epidemiologiche, benché in Seveso l’unica popolazione interessata sembra essere quella femminile. Il risultato potrebbe trovare spiegazione tenendo conto delle complesse interazioni della diossina con fattori ormonali e del riscontro di livelli ematici di diossina sistematicamente più elevati nelle femmine dell’area di Seveso (4). Nessuno degli aumenti osservati può al momento essere attribuito direttamente in maniera causale alla esposizione alla diossina, ma l’ipotesi di tale nesso resta robusta. Le indagini nella popolazione colpita dal disastro ICMESA continuano con due obiettivi principali: – documentare in maniera più completa i possibili effetti a lungo termine con la prosecuzione degli studi di mortalità e incidenza sino ad almeno 20 anni dall’incidente; – chiarire quali siano i meccanismi di azione tossica della diossina nell’uomo con indagini di epidemiologia molecolare che utilizzano markers di suscettibilità e di esposizione nel tentativo di valutare l’associazione tra TCDD e rischio di tumore tenendo conto di fattori sia genetici che ambientali.

Angela Cecilia Pesatori
Professore associato
Istituto di Medicina del lavoro, Università Degli Studi di Milano

 

Massimiliano Fanni Canelles

Viceprimario al reparto di Accettazione ed Emergenza dell'Ospedale ¨Franz Tappeiner¨di Merano nella Südtiroler Sanitätsbetrieb – Azienda sanitaria dell'Alto Adige – da giugno 2019. Attualmente in prima linea nella gestione clinica e nell'organizzazione per l'emergenza Coronavirus. In particolare responsabile del reparto di infettivi e semi – intensiva del Pronto Soccorso dell'ospedale di Merano. 

Rispondi