ll primato negativo di Trieste

 Un ostacolo alla raccolta differenziata nel capoluogo giuliano è la presenza dell’impianto d’incenerimento. Impianto che assorbe la produzione dei rifiuti di una parte della Regione e in piccola parte dalla Slovenia e ne opera la mineralizzazione termica, cioè brucia la componente organica dei rifiuti umida (residui alimentari, fanghi di depurazione etc.) e secca (plastica, carta, legno etc.) riducendone il volume del 90% e il peso del 70% con la produzione di oltre 40.000 t/a di scorie inquinate da smaltire in discariche. L’inceneritore di Trieste viene impropriamente classificato in Italia come termovalorizzatore solo perché parte dell’energia prodotta dalla distruzione termica viene trasformata in energia elettrica

Il 18 gennaio Legambiente Trieste e Legambiente Muggia, sotto l’egida di Legambiente FVG hanno organizzato a Muggia, il più grande dei piccoli comuni della provincia di Trieste, il convegno “La raccolta differenziata nella provincia di Trieste”. Il comune di Muggia ha fornito il supporto organizzativo e logistico. Perché un Convegno a Muggia su questo tema?  La Provincia di Trieste è a un livello di raccolta differenziata decisamente deprecabile, se confrontata con la situazione del resto della regione che non si distingue per puntato alto. Muggia è comune di cerniera fra Italia e Slovenia. Il convegno ha inteso sollecitare la realizzazione di un progetto mirante a mettere in rete comuni transfrontalieri per costruire un percorso condiviso nel recupero dell’organico e nella sua trasformazione in compost. Il compost è un ammendante organico ricco di sostanze umiche e minerali fondamentale in agricoltura e in genere in qualsiasi tipo di coltivazione (giardini urbani, p.e.). La qualità del compost dipende dal metodo utilizzato nel recupero della frazione organica dei rifiuti, che devono essere separati a monte mediante raccolta differenziata dedicata, meglio se porta a porta, per ottenere un migliore controllo del materiale organico raccolto (dall’organico domestico, dalle mense, dagli scarti alimentari della piccola e della grande distribuzione, dai negozi, dai mercati ortofrutticoli e dagli sfalci vegetali). Per attuare economicamente il trattamento dell’organico serve un impianto tecnologico in grado di forzare la biossidazione del materiale che avviene nella prima fase del processo, detto fase di fermentazione aerobica, riducendo i tempi della fermentazione naturale. Lo stadio successivo, detto di biostabilizzazione, avviene, generalmente, in cumuli rimescolati di cui bisogna controllare il contenuto di ossigeno e di umidità. Si ottiene così un compost di elevata qualità, privo di materiali inquinanti e di microrganismi patogeni. Un ostacolo alla raccolta differenziata in provincia di Trieste è la presenza dell’impianto d’incenerimento. Impianto che assorbe la produzione dei rifiuti di una parte della Regione e in piccola parte dalla Slovenia e ne opera la mineralizzazione termica, cioè brucia la componente organica dei rifiuti umida (residui alimentari, fanghi di depurazione etc.) e secca (plastica, carta, legno etc.) riducendone il volume del 90% e il peso del 70% con la produzione di oltre 40.000 t/a di scorie inquinate da smaltire in discarica.

Si tenga conto che l’inceneritore di Trieste viene impropriamente classificato in Italia come termovalorizzatore (termine che nella normativa europea non esiste) solo perché parte dell’energia prodotta dalla distruzione termica viene trasformata in energia elettrica e remunerata secondo quanto previsto dal CIP 6. Hanno partecipato al Convegno Lino Santoro, presidente del circolo Verdeazzurro di Legambiente di Trieste e componente del direttivo regionale, promotore dell’iniziativa, il sindaco di Muggia Nerio Nesladek, Michele Tonzar, coordinatore regionale di Legambiente FVG, Andrea Poggio, vicedirettore generale di Legambiente, Laura Brambilla, responsabile di Ecosportello – una struttura creata da Legambiente che in Lombardia offre consulenza e supporto alle pubbliche amministrazioni in fatto di raccolta differenziata – e Paolo Conte, tecnico del consorzio intercomunale Priula, che si occupa di raccolta differenziata in 24 comuni della provincia di Treviso. Nesladek ha ricordato l’impegno della sua amministrazione a raggiungere l’ambizioso traguardo del 70% nella raccolta differenziata. Nel 2007 il comune ha ridotto del 13% la quantità di rifiuti avviati all’inceneritore con un notevole risparmio dei costi. Seguendo le indicazioni di Santoro sono stati avviati contatti con il vicino comune di Capodistria per la costituzione di un consorzio transfrontaliero per il trattamento dei rifiuti organici. Tonzar ha portato al Convegno l’esperienza della provincia di Gorizia, dove con la raccolta differenziata porta a porta si stanno raggiungendo risultati che vanno dal 45% fino all’80%. Andrea Poggio, vicedirettore generale di Legambiente, ha descritto la situazione in Campania, dove l’inerzia e il malaffare hanno portato ad una situazione insostenibile causando un grave danno di immagine all’Italia. Ha però ricordato alcuni casi virtuosi proprio in quella regione, che vedono alcuni comuni del salernitano premiati dal concorso di Legambiente “Comuni Ricicloni”. Oggi in Lombardia, grazie all’impegno di Legambiente, soltanto il 6% dell’immondizia viene avviata alla discarica e solo il 32% viene bruciata negli inceneritori, che rappresentano la metà di tutti gli inceneritori italiani. Se in Friuli Venezia Giulia venisse distrutto termicamente soltanto il materiale non differenziabile, l’inceneritore di Trieste sarebbe più che sufficiente per tutta la regione. Dall’umido, utilizzando un impianto anaerobico, si può produrre il biogas, il cui componente maggiore è il metano. Laura Brambilla ha ricordato che Legambiente punta soprattutto sulla prevenzione, cioè sulla riduzione dei rifiuti. In Italia la media della raccolta differenziata è molto bassa, essendo solo del 24,3%. Al Nord siamo allineati allo standard europeo: in Lombardia, ad esempio, siamo intorno al 50%. Con l’eccezione di Pavia e Brescia che superano di poco il 20%.

L’intervento di Paolo Conte è servito a fornire un quadro di come si possano raggiungere brillanti risultati attraverso la messa in rete di comuni diversi all’interno di un consorzio più ampio. Il Consorzio Priula serve un’area che comprende 230.000 abitanti, dalla quale preleva i rifiuti differenziati con frequenza settimanale. Il consorzio, nato nel 1987, ha iniziato l’asporto dei rifiuti porta a porta a partire dal 2001, anno che vedeva ancora una raccolta differenziata intorno al 20%; oggi la media è del 77%. A ogni famiglia vengono consegnati 5 contenitori per la raccolta del secco non riciclabile (dotato di un transponder per l’addebito informatizzato del prelievo), del vetro-lattine-plastica, della carta e cartone, dell’umido biodegradabile, del verde e ramaglie. Nella provincia di Treviso, dove da alcuni anni non sono più utilizzate le discariche, il consorzio ha istituito ben 23 ecosportelli, dove vengono sostituiti i contenitori e distribuiti i sacchetti per la raccolta dei rifiuti e dove i cittadini possono trovare tutte le informazioni necessarie per una corretta differenziazione degli imballaggi. La tariffa prevede una quota fissa ed una variabile che viene calcolata in base alla effettiva produzione dei rifiuti. Viene di fatto addebitata la sola vuotatura del contenitore del secco non riciclabile, che molte famiglie riescono a limitare a 8/9 volte l’anno. Nell’anno 2000 ogni persona produceva mediamente 120 kg di raccolta differenziata contro 321 kg di non riciclabile, mentre nel 2007 si è passati a 289 kg di raccolta differenziata contro 83 kg di materiale non riciclabile. Lino Santoro nel suo intervento ha invitato il sindaco Nesladek a impegnarsi per costituire il consorzio con i vicini comuni sloveni e i comuni italiani della Provincia per la raccolta differenziata, soprattutto per quella dell’umido, che potrebbe essere “certificato” e quindi utilizzato per la trasformazione in compost o, attraverso un processo anaerobico, in biogas, per alimentare una minicentrale termoelettrica. Mentre Muggia si sta indirizzando su un percorso innovativo, a Trieste la raccolta differenziata raggiunge appena il 18%. L’impianto di incenerimento risulta remunerativo perché il gestore guadagna sia dalla termodistruzione dei rifiuti, sia dall’energia prodotta, pagata ad un prezzo maggiorato grazie agli incentivi CIP6 (inizialmente creati per incentivare le energie alternative): quindi più rifiuti inceneriti, più soldi, in particolare dal materiale organico secco, carta e plastica. Questa maggiorazione va distribuita sulle bollette energetiche dei normali utenti. E come non bastasse anche la Tarsu a Trieste è tra le più alte d’Italia.  La situazione regionale presenta un quadro meno negativo relativamente alla raccolta differenziata. Nelle province di Pordenone e di Udine, in base ai dati del Rapporto regionale sullo stato dell’ambiente del 2005 (ultimo aggiornamento), elaborato nel 2004, la raccolta differenziata raggiungeva le seguenti percentuali: 32%, 35%, di cui la frazione organica corrisponde rispettivamente all’11% e al 7%. La situazione di Gorizia è passata dal 20% ai più elevati valori superiori grazie al porta a porta. L’ultimo rapporto annuale Apat sui rifiuti, più aggiornato del precedente, risale invece al 2007 e riporta i dati del 2006. Rispetto al Rapporto regionale vi sono risultati migliori per Pordenone con il 45,3% e Gorizia con il 41,6%, peggio per Udine con il 32,7%, male per Trieste ben ultima con il 16,7%, con una media Regionale del 33,3%. Pordenone presenta un valore alto nella RD dell’umido (21,1%). Le province di Udine e Gorizia sono attestati attorno all’1%. Trieste ha una percentuale praticamente eguale a zero.

La situazione della nostra regione è, detto per inciso, peggiore di quella del resto del nord Italia (33,3% contro il 39,9% nel 2006) ed è comunque nettamente migliore rispetto alla media italiana del 2006 (25,8%). Sul dato più basso rispetto alla media del nord incide in modo pesantemente negativo la provincia di Trieste con il suo penoso 18,2 % della fine del 2007.

In base alla legge 296/2006 gli obiettivi di RD dovrebbero essere i seguenti: almeno il 40% entro il 31/12/2007, almeno il 50% due anni dopo e almeno il 60% nel 2011. Siamo distanti da questi obiettivi. Da un punto di vista strettamente normativo le regioni che non raggiungono gli obiettivi previsti dovrebbero diffidare le province implicate e garantire, tramite un commissario ad acta, la gestione dei rifiuti, al fine di realizzare risparmi di spesa e un’efficace utilizzazione delle risorse.

La situazione di Trieste è una conseguenza diretta della presenza dell’impianto d’incenerimento, che qualcuno chiama termovalorizzatore, termine che coma dicevo non esiste nella normativa europea (dove esistono inceneritori con e senza recupero di una frazione di energia prodotta). L’inceneritore di Trieste produce 30,4 GWh pari a circa il 4% (ma ne assorbe 13,5) del totale di energia elettrica consumata nella provincia di Trieste che ammonta a 824 GWh. In pratica secondo Acegas Aps dall’inceneritore sono recuperate energeticamente 12.000 t/anno di rifiuti rispetto alla quantità di 140.000 T/a trattate nell’impianto. L’inceneritore serve tre comuni: Trieste, Gorizia e Pordenone (su 140 kt/anno 85 provengono dal territorio triestino, 15 dalla provincia di Pordenone, 40 dalla provincia di Gorizia. Nella logica delle aziende pseudo private Acegas non è un servizio pubblico e sta quindi sul mercato, più incenerisce e più guadagna e grazie al CIP6 riceve 25-50 Euro per ogni ton di rifiuti trattata, soldi che sono prelevati dalle bollette degli utenti. Quindi l’inceneritore è un grosso affare, ma se il volume dei rifiuti è ridotto del 90%, resta comunque il 30% in peso di residui che deve essere smaltito nelle discariche del Goriziano.

D’altronde le emissioni degli inquinanti restano nell’ambito del territorio triestino. All’inizio del 2007 due linee vennero chiuse dalla magistratura perché il limite di 100 picogrammi/metrocubo fu ampiamente superato. Pur non essendo di ultima generazione l’inceneritore di Trieste dovrebbe avere caratteristiche tecnologiche che permettono di contenere le emissioni inquinanti. Ma se la gestione dell’impianto non viene curata scrupolosamente (per ridurre i costi di gestione?) i sistemi di abbattimento non raggiungono il loro scopo. E inoltre per garantire che il potere calorifico inferiore non scenda sotto i 9200 kJoule/ kg, i materiali che forniscono il maggiore contributo al pci, come i materiali plastici, devono essere conferiti nella quantità opportuna nell’impianto per compensarne la riduzione che viene causata dal materiale organico umido. La raccolta differenziata dell’organico e la produzione di compost o biogas raggiungerebbero lo stesso scopo, permettendo l’innalzamento del pci. Ciò porterebbe però a una riduzione della quantità combusta e avrebbe come conseguenza l’ampliamento del  bacino di conferimento, e un incremento delle emissioni dovute anche a un aumento del trasporto che resterebbe nel territorio triestino. In queste nuove condizioni la gestione più accurata dell’impianto potrebbe evitare situazioni di sforamento dei limiti delle diossine: lo scorso anno la magistratura è intervenuta perché le emissioni di diossine hanno sforato di 10 volte il limite autorizzato. Non è difficile pensare che poiché è la stessa ditta che conduce l’impianto a gestire anche la raccolta dei rifiuti è evidente che L’Agegas Aps non ha un particolare interesse a innalzare la percentuale di raccolta differenziata. Ma le scelte gestionali  non possono essere affidate all’azienda o al comune. Il Piano regionale dei rifiuti è ormai superato e la Provincia di Trieste non ha elaborato un Piano provinciale che imponga gli obiettivi di RD.  Anche l’amministrazione regionale è consapevole della necessità di elaborare un nuovo Piano regionale di Gestione dei rifiuti. Se l’amministrazione che uscirà dalle prossime elezioni non varerà i regolamenti attuativi della normativa regionale sulla Valutazione Ambientale Strategica, e se di conseguenza la VAS non verrà applicata al nuovo Piano regionale dei Rifiuti, l’obiettivo di raggiungere sul territorio il tasso di raccolta differenziata previsto dalla legge 296/2006 difficilmente verrà raggiunto, e lo smaltimento attuale dei rifiuti continuerà a produrre guasti e inquinamento del territorio.

Lino Santoro
Presidente del Circolo Verdeazzurro di Legambiente di
Trieste e componente del Direttivo di Legambiente del FVG

Massimiliano Fanni Canelles

Viceprimario al reparto di Accettazione ed Emergenza dell'Ospedale ¨Franz Tappeiner¨di Merano nella Südtiroler Sanitätsbetrieb – Azienda sanitaria dell'Alto Adige – da giugno 2019. Attualmente in prima linea nella gestione clinica e nell'organizzazione per l'emergenza Coronavirus. In particolare responsabile del reparto di infettivi e semi – intensiva del Pronto Soccorso dell'ospedale di Merano. 

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