Gli inceneritori hanno problemi di combustione, di eliminazione delle diossine, metalli pesanti, nanopolveri e sono costosi. La tecnologia THOR è un sistema innovativo, economico e flessibile che si basa sull’impiego di energia meccanica per ottenere la micronizzazione del rifiuto
Introduzione
Le normative europee più stringenti sui rifiuti urbani impongono una raccolta differenziata sempre più efficiente e quindi spingono la frazione non differenziabile, il cosidetto “sovvallo” verso una percentuale sempre più piccola. Sempre secondo le normative europee, tale frazione a breve potrà essere messa a dimora solo previo trattamento. D’altra parte tale piccola quantità risulterà sempre più difficile da trattare, perché composta da materiali contenenti sostanze chimiche pericolose o molto complesse. L’incenerimento come metodo di smaltimento di tali sovvalli non è la soluzione, in quanto tale tecnica è sempre più costosa e meno efficiente dal punto di vista energetico. Di conseguenza si apre la strada a trattamenti alternativi, basati su trattamenti meccanico – biologici o, come nel caso del processo THOR, utilizzando tecnologie meccanochimiche, di diretta derivazione mineraria, al posto delle più invasive e inquinanti tecnologie termiche.
1. Il Rifiuto solido urbano come risorsa: introduzione
La composizione media del rifiuto urbano in Italia può essere considerata quella riportata nella tabella 1. Nella valutazione di tali dati è tuttavia da tenere presente la continua evoluzione temporale della situazione.
Tabella 1: Composizione del rifiuto solido urbano, in termini merceologici, chimici e quantità di calore generabile dalle varie frazioni (da Consonni et al, Corso di aggiornamento Energia da Rifiuti, Politecnico di Milano, 2005)
La presenza di “verde” (materiale organico di varia natura, animale e vegetale) determina un contenuto d’acqua molto elevato, compreso tra il 20 e il 40 % del peso totale.
Altra sostanza in quantità notevole è l’anidride carbonica, presente sia tal quale (dal 10 al 22 %) sia come prodotto di trasformazione.
La frazione combustibile del rifiuto iniziale è data dal 30 % circa di C e dal 3.5 % circa di H2.
Gli elementi tipici delle sostanze inorganiche, quali silicio, alluminio, ferro, calcio, metalli vari non ferrosi, sono presenti in misura totale variabile dal 3 al 7 %. I composti che possono essere utilizzati per produrre un combustibile di buona qualità sono quindi i soli composti organici, mentre tutto il resto deve essere allontanato ed in particolare:
– componenti metallici ferrosi, non tossici ma che determinano la presenza di alcuni elementi metallici affini (Mn, Cr, Co, Ni) mediamente o fortemente tossici
– componenti metallici non ferrosi, loro stessi tossici (Cu, Zn) contenenti tracce di elementi fortemente tossici, quali Cd, As, Hg, Pb ecc.)
– i componenti inerti, cioè i silicati presenti come vetro e come frammenti di demolizione, i minerali, presenti nelle carte, nelle plastiche ecc.
– gli alogeni (cloro, fluoro, bromo, iodio) presenti sia nei cibi (ad es. cloruro di sodio) che nei detersivi, in alcune plastiche (PVC, neoprene), nei diserbanti e nei fungicidi a base di Br; i fluoroderivati, presenti nei tessuti e nelle gomme elastomeriche, i composti complessi del cloro presenti in molti medicinali ecc. ecc.
– lo zolfo, presente come elemento in molti complessi molecolari organici, nelle gomme di automobile e in generale in tutte le gomme vulcanizzate, nei solfati presenti nelle demolizioni (cartongessi, stucchi, intonaci) e in gran parte dei cibi confezionati in molecole usate come conservanti
– le componenti ammoniacali, provenienti dall’urea, in molti tessuti, nel poliuretano e derivati, in molte verdure, nei fertilizzanti
Altri elementi minori non sono che ultratracce nei rifiuti tal quali, ma diventano molto importanti nelle scorie da termodistruzione, come nel caso dell’arsenico, elemento tra i più velenosi, presente insieme al piombo e al mercurio in tracce nelle leghe; si veda a questo proposito la tabella 2.
Dalla tabella si evince come i processi di combustione dei rifiuti determinino un’effetto di concentrazione molto forte, in alcuni casi oltre le 1000 volte, rispetto ai micro e macro inquinanti.
Se si vuole realmente utilizzare il rifiuto come combustibile è quindi necessario migliorarne la composizione e soprattutto fare in modo di allontanare la maggior parte dei componenti chimici che danno origine a rifiuti pericolosi e a emissioni tossiche.
Purtroppo, l’eliminazione di tutte le componenti descritte non è possibile solo con una selezione. Per togliere di mezzo le componenti più pericolose, bisogna agire in due stadi: dapprima meccanicamente, riducendo le dimensioni del rifiuto a particelle molto piccole, in modo da avere una superficie di scambio maggiore e poi intervenire con le tecniche di separazione chimico-fisiche, analogamente a quanto viene fatto per la raffinazione delle materie prime minerali.
2. L’Incenerimento
La combustione dei rifiuti costituisce oggi un aspetto molto importante dei processi di smaltimento, nonchè il metodo tuttora più utilizzato per la riduzione del volume.
Con il solo processo di combustione il volume ed il peso dei rifiuti possono essere ridotti al 10 e al 30 % di quelli iniziali. Questa caratteristica ha reso l’incenerimento la soluzione adatta per le grandi aree urbane.
In generale un impianto di incenerimento di RSU può essere caratterizzato da tre sezioni principali:
– la zona di ricezione dei rifiuti e gruppo di alimentazione
– l’impianto di combustione (forno e post-combustore) e settore di recupero del calore
– sezione di trattamento dei fumi prima del camino.
Possiamo distinguere, a seconda del tipo di forno usato (figura 1):
– a griglia
– a iniezione
– rotante
– a letto fluido
Figura 1: Tipologie di forni per inceneritori
I forni a griglia sono usati per gli RSU e sono caratterizzati da un’immissione di aria primaria sotto la griglia di contenimento del materiale e da un’immissione di aria al disopra del letto di combustione. L’avanzamento dei rifiuti è provocato dal movimento delle griglie. Le temperature operative sono di circa 900°C e hanno l’estrazione delle scorie da sotto la griglia.
Questo tipo di inceneritore ha diversi problemi, insiti nella combustione incompleta, derivante dallo stazionamento dei rifiuti inceneriti e una notevole facilità all’intasamento delle griglie (e conseguente riduzione della quantità d’aria immessa) dovute ad ostruzioni provocate dalla presenza di materiali fusi nel letto.
Altri problemi derivano dalla bassa temperatura di esercizio che non garantisce la completa eliminazione delle diossine.
Oltre a ciò i sistemi a griglia non sono adatti al trattamento di fanghi e residui liquidi.
I forni rotativi garantiscono una maggiore flessibilità di impiego. L’alimentazione avviene attraverso una tramoggia e coclea o a pistone; l’avanzamento si ottiene regolando opportunamente la velocità di rotazione e l’inclinazione del forno. Le temperature operative sono comprese tra i 1200 e i 1400 °C.
Il forno rotativo necessita in ogni caso del cambiamento del refrattario ogni anno e produce scorie vetrose. Negli impianti a letto fluido la combustione è attuata in una sospensione in aria (letto) del rifiuto immerso in una matrice inerte, generalmente sabbia. La fluidizzazione del letto avviene tramite una corrente d’aria (comburente) la cui velocità caratterizza il letto medesimo: da 1 – 2 m/s ” letto bollente” a 4 – 9 m/s ” letto circolante”. I problemi insiti nell’incenerimento sono innumerevoli. Anzitutto va sfatato il mito della “economicità”: l’inceneritore è un sistema termico che consuma più energia di quella che produce, se lavora in modo corretto. Infatti, per ottenere temperature superiori ai 1000°C, al fine di evitare la formazione di diossine, la combustione deve avvenire utilizzando anche combustibile immesso nel forno, per “sostenere” la fiamma. La maggior parte degli impianti recupera energia solo per l’impianto stesso. I termovalorizzatori impiegano parte dell’energia termica di risulta per produrre energia termica e elettricità, ma il bilancio di energia è comunque estremamente negativo. Le dimensioni dei sistemi di incenerimento sono da “industria pesante”, così come il loro impatto sull’ambiente. Il costo di smaltimento è molto elevato e per abbatterlo si è costretti ad aumentare a dismisura le dimensioni di impianto (dalle vecchie 100.000 ton/annue, i nuovi impianti sono dimensionati per 400 – 600.000 tonnellate/annue). Ciò ovviamente comporta un esborso notevole per l’erario, in più le lungaggini burocratiche di espletamento delle gare porta i progetti ad essere già vecchi ancora prima di essere messi in pratica; oltretutto, le tecnologie oggi disponibili sul mercato dell’incenerimento a grande scala sono vecchi di almeno 30-40 anni. L’area adibita allo stoccaggio e al trattamento primario dei RSU determina accumuli di rifiuti che giacciono mesi prima di essere smaltiti. In genere tale situazione porta alla degradazione del rifiuto, con conseguente emissione di odori e percolato, oltre alla proliferazione di insetti. Altro problema è la gestione delle scorie. Solo le cosidette scorie di fondo possono essere reimpiegate, mentre le fly ash costituiscono ancora un grosso problema, data la loro composizione chimica ricca in metalli pesanti e in composti organici di rilievo tossicologico. Inoltre il pericolo di formazione di diossine e furani (PCDD e PCDF) è sempre presente, dato che tali prodotti sono sicuramente decomposti a temperature superiori ai 1000 °C. Infine ultimo ma non meno importante dei problemi che affliggono le soluzioni di incenerimento riguarda l’assenza di flessibilità. Un impianto di termovalorizzazione che viene appaltato oggi, pensato per un determinato quantitativo di rifiuti non si può “ridurre” domani per un quantitativo minore, magari a seguito di una corretta raccolta differenziata. Ciò inevitabilmente porta a due soluzioni:
– impianti non utilizzati o malutilizzati, dove l’acccensione occasionale porta inevitabilmente ad un aumento abnorme delle emissioni pericolose in atmosfera
– impianti che utilizzano rifiuti “esterni” al bacino, come nel caso della Germania.
3. Tecnologia THOR
La tecnologia THOR è, insieme ad altre tecnologie a basso impatto ambientale, un sistema innovativo, economico e flessibile per il trattamento di RSU. THOR si basa sull’impiego di energia meccanica per ottenere la micronizzazione del rifiuto, secondo uno schema inventato e collaudato dal CNR e dalla ASSING SpA.
è ben noto che una conversione del rifiuto in combustibile è vantaggiosa per l’economia e l’ambiente solo se si aumenta il potere calorifico del prodotto e si eliminano i residui tossici. Al di là delle dichiarazioni di intenti e delle normative europee o nazionali che “fissano” criteri di bontà del combustibile, a nostro avviso la scelta per il CDR si può fare solo se esso rispetta i seguenti parametri:
– contenuto in metalli (complessivo) < 500 ppm
– residuo ceneri (a 800°C) < 5 %
– contenuto in alogeni escluso cloro (fluoro+bromo+iodio) < 100 ppm, Cl < 200 ppm
– contenuto in Idrocarburi policiclici aromatici < 100 ppm
Per ottenere questi valori è necessario passare il rifiuto attraverso una serie di stadi di raffinazione che sono per la maggior parte di tipo meccanico, cioè impiegano processi a freddo.
Il processo prevede:
– una prima separazione dei metalli ferrosi e non ferrosi in testa all’impianto (I selezione)
– un primo stadio di frantumazione fine
– un secondo stadio di separazione dei metalli non ferrosi mediante induzione di correnti parassite
– un secondo stadio di frantumazione
– uno stadio di micronizzazione per ATTRITO, durante il quale il materiale viene ridotto in granuli di diametro inferiore ai 20 micron e miscelato con sali di sodio o calcio in quantità stechiometriche rispetto ai composti di cloro
– un terzo stadio di separazione magnetica ad alta intensità delle polveri ferrose
– una ciclonatura con separazione ad aria delle frazioni leggere (d< 0.7-0.9) dalle frazioni pesanti residue (d > 1.4-1.5)
Il processo di micronizzazione per attrito, cuore del sistema, si basa sull’utilizzo dello stress da attrito provocato da un mulino a corpi eccentrici, chiamato “reattore meccanochimico”. Nel reattore meccanochimico un movimento eccentrico ne accelera le masse macinanti molto più di quanto accade nei mulini tradizionali, quale ad esempio i mulini a sfere per cementerie; questi mulini agiscono per urto, mentre un mulino per meccanochimica agisce per attrito e secondariamente per urto: le masse macinanti sono scagliate ad elevata velocità sul materiale che viene sottoposto ad un’azione di compressione e di taglio. La somma delle azioni meccaniche imposte diffonde nel materiale una grandissima quantità di difetti strutturali, che sui materiali determina la progressiva e irrecuperabile distruzione della struttura a livello molecolare, determinando la formazione di nanostrutture, con proprietà molto particolari. Nel 2003 iniziammo la costruzione del primo mulino per meccanochimica di capacità industriale italiano, denominato THOR. Si tratta di un mulino a nutazione dotato di una giara che viene agitata a velocità comprese tra 20 e 50 Hz, con una massa di macinazione dinamica pari a circa 3000 kg; l’accellerazione raggiungibile è superiore ai 50 G, mentre la forza di attrito è superiore ai 74 kN. La massa macinante assicura pressioni di taglio con intensità di svariate migliaia di atmosfere. La conseguenza dell’attrito radente sulle particelle di legno, carta, plastica e materiali organici, secchi o bagnati che siano, determina la “delaminazione” del prodotto in particelle molto piccole, secche e, nel caso dei polimeri o della cellulosa, la perdita quasi totale della struttura: ciò permette di aumentare il rendimento di “crackizzazione”, cioè di rottura delle macromolecole in molecole più semplici ed una più facile pirolisi. Il processo di micronizzazione avviene attraverso l’impiego di un impianto estremamente semplice (figura 2). Il prodotto in testa all’impianto viene dapprima aperto e subisce una separazione magnetica delle carcasse ferrose, sottoposto poi ad una separazione con eddy current dei metalli non ferrosi. Il prodotto viene immesso in un mulino a rulli dove subisce una pressatura simile alla pasta di cellulosa; il prodotto perde quindi gran parte della sua acqua di imbibizione, insieme alle salamoie e ai residui solubili di vario tipo, oltre ai frammenti cementizi, inerti e vetrosi che vengono separati per caduta. Il materiale così essiccato, trasformato in un “film” viene frantumato in un mulino e successivamente micronizzato dal mulino THOR, che lavora a velocità estremamente elevate e che permette un’azione macinante per attrito sul prodotto. Il risultato è la macinazione ultrafine del rifiuto, con dimensioni di granulo molto piccole, di una ventina di micron. Il prodotto viene nuovamente deferrizzato con un separatore a campo intenso. In questo modo anche le frazioni che sono state rilasciate dagli stessi mulini possono facilmente essere eliminate. Infine, a chiusura del ciclo, il prodotto in polvere viene pompato in un ciclone ad aria e lì separato delle componenti più grossolane e delle componenti più pesanti, costituite dalle tracce metalliche non ferrose, dai cluster di granuli umidi salini e dalle eventuali frazioni inerti presenti. Il prodotto che ne deriva risulta estremamente povero in metalli, sali di alogeni ed è arricchito da un elevato potere calorifico, superiore ai limiti indicati nei recenti provvedimenti legislativi in materia di CDR di qualità.
Nella figura 3 è visibile il mulino THOR, vero elemento centrale di tutto il processo. Nel 2004 è iniziata una campagna di prove che ha portato alla determinazione dei parametri necessari per l’impianto definitivo, che è infine stato costruito tra il 2007 e il 2008 ed è oggi in funzione. L’esperimento, unico al mondo per dimensioni e per impegno finanziario, è stato consentito grazie alle risorse messe a disposizione dal MIUR (Ministero Istruzione Università e Ricerca) e dal finanziamento e dall’esperienza ingegneristica della ASSING SpA. L’“Ultramulino” THOR, studiato, progettato e realizzato dalla ASSING SpA per portare a micronizzazione il rifiuto (figura 3), è stato realizzato con una capacità operativa di circa 4 tonnellate / ora di materiale frantumato, con pezzatura in ingresso di circa 2.5 cm, per un totale di 5 mc di materiale ogni ora.
Figura 3: Il mulino THOR II
4. Il Combustibile “microCDR”
Mediante THOR si recuperano le frazioni non combustibili (metalli e inerti) mentre tutto ciò che ha anche un minimo di potere calorifico viene valorizzato. Ne deriva un combustibile solido, all’apparenza una farina di colore nocciola, senza odore, con un potere calorifico molto elevato (tabella 3, figura 4). Dai test effettuati sull’ impianto pilota è risultato evidente come il prodotto brucia in modo notevolmente più efficiente del CDR classico. Le prove effettuate hanno permesso di ottenere prodotti micronizzati omogenei formati da polveri di circa 10-20 micron, spesso agglomerati in forma di sferule di circa 70 micron (figura 5).
Figura 5: Foto al microscopio elettronico a scansione della carta prima del trattamento e dopo il trattamento. Si osservino le agglomerazioni di particelle, di qualche decina di micron, formanti grosse particelle di 70 – 100 micron
Tabella 3: Potere calorifico delle miscele utilizzate nei test di impianto
L’ultramulino porta la granulometria del materiale ai 30-50 micron necessari per le ulteriori fasi del raffinamento. Il prodotto micronizzato viene allontanato e raffinato da una separazione per ciclonatura ad aria e quindi insaccato in big bags. Il materiale che si ottiene dopo pochi secondi di trattamento nel mulino risulta completamente frantumato, in polvere minutissima. Nel caso di materiali contenenti forti percentuali di cloro, come nel caso di PVC, il cloro viene separato come HCl nel corso del trattamento e riprecipita unendosi ai sali di sodio o calcio nelle forme saline NaCl o CaCl2. Il materiale ha un colore rosso mattone, derivante da un inquinamento di ferro dalle pareti del mulino. Il contenuto in cloro, analizzato prima e dopo il trattamento indicano una riduzione complessiva del 90 %.
5. Nuovi scenari di gestione mediante la tecnologia THOR
Tramite tecnologie come THOR o altre similari a basso impatto ambientale, di piccolo taglio e soprattutto non invasive e costose quali l’incenerimento, è possibile ipotizzare scenari di gestione ben diversi da quelli attuali. Secondo la nostra visione, forse utopistica, è auspicabile dotare le singole comunità (i Paesi, le piccole Città, i quartieri o le circoscrizioni) di impianti di trattamento di piccolo taglio, a basso impatto ambientale, che trattino ciò che viene giornalmente prodotto come rifiuto e che ridiano alla comunità un ricavo utile in termini di materie prime o di risparmio energetico, piuttosto che costringere i paesi e le città ad aderire a patti societari che impongono tariffe e metodi di smaltimento senza vie alternative.
Piccoli impianti per ciascuna comunità, anche sotto al livello stradale, smaltirebbero la spazzatura o la sola frazione secca della spazzatura in modo “on demand”, senza avere emissioni odorose, rumore o polveri in aria e riducendo il traffico di camion e veicoli adibiti al trasporto dei rifiuti verso i “megacentri” di smaltimento.
Il combustibile da THOR non è esplosivo, non avrebbe emissioni in atmosfera di gas o composti volatili ed è esente da cloro e metalli perchè eliminati in fase di preparazione.
Il combustibile prodotto da tali microimpianti verrebbe così utilizzato in impianti più grandi a pirolisi, che possono produrre notevoli quantità di gas da città o, separate le frazioni, idrogeno; le ceneri di questi impianti verrebbero quindi recuperate in granulati e inerti per cemento
Altra soluzione può prevedere l’uso del combustibile THOR per alimentare (in quota parte) centrali a biomasse, centrali elettriche policombustibili e centrali di gassificazione.
Il gas può poi essere utilizzato da generatori locali per produrre energia elettrica, termica o come combustibile per trasporto pubblico.
Figura 6: il ciclo THOR
Le ceneri di questo ciclo verrebbero recuperate con cemento producendo inerti per costruzioni e per misti bituminosi stradali, nell’ottica delle recenti norme sull’utilizzo privilegiato dei prodotti da recupero. Lo schema accennato ha i seguenti vantaggi:
– sfrutta piattaforme e strutture di raccolta già esistenti, non modifica la filiera della raccolta, ma permette di razionalizzare l’offerta di trattamento e di evitare pericolosi ingolfamenti di rifiuti per problemi di chiusura o fermo impianto
– riduce il volume dei materiali e ne permette una gestione migliore dal punto di vista dell’impatto ambientale, eliminando le cariche batteriche e gli odori
– l’impianto di pirolisi riduce a zero le emissioni in atmosfera, se si esclude il vapore acqueo
– l’idrogeno prodotto può essere utilizzato nell’autotrazione dei mezzi comunali o in altra attività; rientra pienamente nei programmi idrogeno dei quali si sta dotando la maggior parte dei grandi Comuni italiani.
Paolo Plescia
CNR Istituto Studio Materiali Nanostrutturati Montelibretti RM
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