Da questo indice si evidenzia che vi sono due settori lavorativi a rischio salute: quello dei trasporti e quello delle costruzioni. In questi ultimi anni il numero di morti per incidenti sul lavoro si è attestato intorno ai 1000 morti/anno o, in altri termini, a circa 4 morti per ogni giorno lavorativo. C’è da chiedersi se questa media sia accettabile o no per un paese industrialmente avanzato qual è l’Italia
L’anno 2007 sarà ricordato come l’anno in cui gli infortuni, mortali e non, sul lavoro hanno avuto una forte recrudescenza che offende la coscienza sociale di tutti i cittadini ed i lavoratori italiani. A questo tragico incremento del numero delle vittime sul lavoro è necessario reagire prontamente ed energicamente dichiarando guerra agli infortuni sul lavoro e applicando la tolleranza zero nei confronti di quegli imprenditori che trasgrediscono le più elementari norme sulla prevenzione e sulla sicurezza del lavoro. L’Italia è un Paese in cui esiste una vasta legislazione sulla prevenzione e sicurezza del lavoro ma al contempo è il Paese in cui sono carenti i controlli, le verifiche, le ispezioni in loco finalizzati alla valutazione dei mezzi e dei sistemi di gestione della sicurezza dei vari settori lavorativi. Il lavoro nero, specialmente nel settore delle costruzioni e dell’agricoltura, oltre a rappresentare una concorrenza sleale nei confronti delle industrie sane, è di per sé fonte di ricchezza per gli sfruttatori, ma di gravi rischi per quei lavoratori che sono costretti a subirlo. Per stroncare questo infame fenomeno non servono altre leggi ma piuttosto applicare quelle che già ci sono accompagnate da maggiori frequenze di controlli ispettivi e repressivi. è in atto in questo momento nel Paese un grande fermento intorno alla realizzazione del Testo Unico sulla Sicurezza del Lavoro: si spera che questa volta il Governo faccia sul serio e che non sia l’ennesimo esercizio di facciata quale è stato per tutti i precedenti Governi. Che in Italia vi sia oggi l’esigenza inderogabile di tenere sotto controllo gli infortuni mortali sul lavoro lo dimostra una statistica elaborata con dati relativi al periodo 2001-2004 sintetizzati in termini di FAR (Fatal Accident Rate), correlati a diverse attività industriali, nella seguente tabella :
Settore di attività economica FAR
Trasporti 20,6
Costruzioni 15,6
Industria Petrolio 6,9
Industria Metalli 6,3
Industria Legno 6,3
Industria Gomma 5,6
Industria Alimentare 5,6
Industria Chimica 4,4
Industria Carta 3,8
Industria Meccanica 3,1
Industria Tessile 2,5
Industria Conciaria 2,5
Il valore di FAR indica il numero di morti attesi per 108 ore lavorate, che corrispondono alle ore lavorate da 1000 persone con una vita lavorativa di 50 anni e che lavorano 50 settimane l’anno e 40 ore la settimana. Pertanto dire per esempio FAR=4 significa dire che su 1000 addetti 4 sono attesi morire per cause correlate all’attività lavorativa prima della pensione. Dalla tabella si evince che vi sono due settori lavorativi che meritano una particolarissima attenzione, che sono quello dei Trasporti e quello delle Costruzioni poiché hanno valori di FAR estremamente elevati rispettivamente 20,6 e 15,6. Rapportando il dato alla situazione italiana si può osservare che in questi ultimi anni il numero di morti per incidenti sul lavoro si è attestato intorno ai 1000 morti/anno o, in altri termini, a circa 4 morti per ogni giorno lavorativo. C’è da chiedersi se questa media sia accettabile o no per un paese industrialmente avanzato qual è l’Italia, nel quale v’è una consolidata storia di civiltà del lavoro fondata su gloriose lotte sindacali. Dietro a questa media si nasconde una riflessione più profonda che coinvolge il generale livello di rischio accettabile che in un certo contesto politico – sociale un Paese ritiene di accettare. Per quanto detto si è del parere che l’Italia sia un paese maturo che ritiene che la media precedente sia assolutamente da abbassare anche se malauguratamente non può essere annullata dato che nelle attività umane non esiste il rischio zero in quanto v’è sempre un rischio residuo per quanto sia il più basso ragionevolmente possibile. Comunque, attraverso le moderne tecnologie e le migliori tecniche possibili si può, anzi si deve produrre in sicurezza attuando una strategia alla base della quale si trovi l’analisi dei rischi finalizzata alla identificazione dei pericoli, alla valutazione delle conseguenze di ogni evento, alla quantificazione delle probabilità di accadimento di ogni evento,alla stima del rischio, alla valutazione del rischio, al confronto con il livello di rischio accettabile. In definitiva la riduzione del rischio si può ottenere attraverso l’azione combinata di misure di prevenzione (per ridurre la probabilità di accadimento dell’evento indesiderato) e di protezione (per ridurre la magnitudo delle conseguenze dell’evento indesiderato). Da tutto quanto precede si può vedere che la prevenzione e la sicurezza del lavoro non sono soltanto un fatto tecnico di addetti ai lavori (progettisti, imprenditori, enti di controllo, lavoratori ecc…) ma sono anche il frutto di una forte coscienza sociale, sorretta dalla volontà politica di salvaguardare la salute e la sicurezza dei lavoratori.
Mario Mariani
Direttore dell’ISPESL (istituto superiore prevenzione e sicurezza sul lavoro) e DIPIA (dipartimento insediamenti produttivi ed interazione con l’ambiente)