Anche le donne rischiano

Il genere maschile è quello maggiormente colpito dalle disgrazie in ambito lavorativo, anche se gli incidenti domestici che coinvolgono maggiormente le donne stanno assumendo dimensioni allarmanti

Quando si affronta il delicato tema degli incidenti sul lavoro, il pensiero corre immediato ai troppi uomini che perdono la vita o diventano degli invalidi perché non sono stati messi in condizione di svolgere le proprie mansioni in totale sicurezza. Morti bianche ed infortuni gravi sono ormai una realtà che appartiene sempre di più al nostro Paese, alla nostra Italia che, per quanto preoccupata, sembra non voler ricordare che gli incidenti non prendono in causa solo gli uomini, ma coinvolgono anche le donne. è un dato di fatto, le statistiche ce lo confermano, che il genere maschile è quello maggiormente colpito dalle disgrazie in ambito lavorativo. La lunga lista di caduti include muratori che quasi a cadenza regolare precipitano dall’alto di impalcature, elettricisti folgorati, operai schiacciati da carichi non sorvegliati, camionisti usciti di strada. Ciò non significa però che, nonostante le vittime di sesso femminile rappresentino una percentuale minima su quella che è la totalità degli incidentati, esse vadano sottovalutate, o peggio trattate come una categoria di serie B. Perché, sebbene le morti sul lavoro non siano affatto un fenomeno totalmente maschile – come spesso si tende a voler dimostrare, delle donne non si parla come si dovrebbe? Stando al rapporto che l’AMNIL (Associazione Nazionale Mutilati e Invalidi del Lavoro) mette a disposizione ogni anno sul tema “Donne, infortuni sul lavoro e tutela delle vittime” sono in aumento (dopo la leggera diminuzione del 2005) i casi mortali che interessano le lavoratrici della nostra nazione. Secondo tale rapporto, infatti, dai 78 casi rilevati nei primi undici mesi del 2005, si è passati ai 93 casi (riscontrati nello stesso periodo) del 2006, il che sta a significare che si è verificato un allarmante aumento pari al 19,2%. Inoltre, ad essere in crescita sono anche gli infortuni non mortali, ma comunque gravi: nel 2005 a subirli sono state 229.540 lavoratrici, mentre nel 2006, con una crescita dello 0,7%, ad essere coinvolte in sinistri invalidanti sono state ben 231.120 dipendenti. Al 31 dicembre 2006, le donne inabili a causa di un infortunio sul lavoro o di una malattia professionale sono risultate essere 121.926. Numero davanti al quale non si può restare indifferenti e che di certo impone il tentativo di capire come mai, nel nostro Paese, le cose stiano prendendo una piega tanto seria. La risposta viene fornita proprio dai dati relativi agli infortuni sul lavoro, secondo i quali, all’innalzarsi del tasso di occupazione femminile corrisponderebbe una crescita proporzionale degli incidenti e delle malattie professionali. Tra il 2001 ed il 2005, infatti, l’occupazione femminile è cresciuta del 5,86% ed al tempo stesso, le donne vittime di un incidente sul lavoro sono aumentate, guarda caso, del 5% (percentuale che considera i soli settori Industria e conto Stato e le malattie professionali). L’Italia, quindi, tiene in sé migliaia di donne alle quali, non si capisce perché, nessuno sembra essere particolarmente interessato a prestare la dovuta attenzione. Donne che continuano a domandarsi, per esempio, come mai quando subiscono infortuni ottengono indennizzi meno elevati di quelli (tra l’altro già insufficienti) riservati ai colleghi uomini. Donne che hanno bisogno e chiedono a gran voce di essere tutelate sul posto di lavoro, ma che soprattutto, in caso di disgrazia, reclamano di essere sostenute nella difficile fase del recupero post incidente. Fase che quasi sempre comporta risvolti psicologici negativi che non andrebbero sottovalutati, ma che al contrario, non vengono neppure considerati. Le difficoltà si riscontrano per lo più in ambito sociale e familiare, dove i rapporti risentono della nuova condizione di handicap che viene vissuta come un problema di difficile gestione. Diventa complicato svolgere le normali mansioni quotidiane, accudire sé stessi o i figli ed ancor di più, concedersi degli svaghi che consentano di relazionarsi con altre persone. Con il passare dei mesi, ad aggravare quella che può essere una “normale” forma di depressione reattiva, è il timore di non essere in grado di reinserirsi a tempo debito nel mondo del lavoro. La paura prevalente è data dall’ansia di venir ritenute inidonei e rimanere, pertanto, un peso per la famiglia, per la società stessa. Paura tutto sommato fondata, dal momento che la stessa ANMIL non fa mistero del fatto che la percentuale di soggetti femminili non accettati dal mondo del lavoro a seguito di un infortunio, è nettamente superiore rispetto a quella dei colleghi maschi. Inoltre, il reinserimento, anche quando ha luogo, si rivela spesso traumatico in quanto non sono pochi quei dirigenti d’azienda che usano pressare psicologicamente le lavoratrici affinché siano loro stesse ad abbandonare il posto per recarsi altrove. Allo stato attuale, rimane disoccupato il 96,2% delle donne invalide in Italia iscritte nelle liste provinciali della legge n. 68 del 1999 e disponibili al lavoro. Al restante 3,8% viene trovato un posto che nella quasi totalità dei casi è temporaneo e poco retribuito. Per quanto riguarda l’universo femminile, inoltre, non è ancora chiaro a tutti che l’attività della casalinga è da considerarsi alla pari di qualsiasi altro lavoro esterno e pertanto va riconosciuta e soprattutto tutelata. Gli incidenti domestici stanno assumendo dimensioni allarmanti. Ogni tre mesi, 249.000 casalinghe sono vittime di attività svolte in cucina (ustioni, tagli, cadute) ed è più che mai necessario sviluppare politiche di prevenzione, attraverso la diffusione di linee guida e la realizzazione di campagne di informazione e di educazione alla sicurezza, volte a ridurne l’incidenza. La Legge 3 dicembre 1999, n. 493, ha istituito una polizza contro gli infortuni domestici che riconosce e valorizza chi svolge lavoro domestico in maniera abituale, esclusiva e gratuita. Dal 1° marzo 2001 l’assicurazione è divenuta obbligatoria. Il premio va pagato entro il 31 gennaio di ogni anno per poter usufruire di una copertura fino al 31 dicembre dello stesso anno.

Emanuel Mian
Psicologo, presidente dell’istituto internazionale sul disagio e la salute nell’adolescenza (IRIDSA).
Giudice onorario minorile Corte d’Appello Tribunale di Trieste

Massimiliano Fanni Canelles

Viceprimario al reparto di Accettazione ed Emergenza dell'Ospedale ¨Franz Tappeiner¨di Merano nella Südtiroler Sanitätsbetrieb – Azienda sanitaria dell'Alto Adige – da giugno 2019. Attualmente in prima linea nella gestione clinica e nell'organizzazione per l'emergenza Coronavirus. In particolare responsabile del reparto di infettivi e semi – intensiva del Pronto Soccorso dell'ospedale di Merano. 

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