Giovanissimi e nuove mafie

L’escalation di violenza, registrata dalle cronache degli ultimi anni, costituisce l’effetto più eclatante del processo di ridefinizione degli equilibri tra gruppi criminali che controllano buona parte del territorio nazionale; contemporaneamente si è assistito anche all’affermarsi di una nuova generazione criminale di particolare ferocia

Il fenomeno dell’immigrazione minorile

“Ho incontrato per la prima volta Hassan, per caso, durante una visita rituale all’istituto Cesare Beccaria, il carcere minorile di Milano….la direttrice dell’istituto ci disse che nessuno era ancora riuscito a capire esattamente quale fosse stato il percorso che l’aveva condotto dal Marocco in Italia. Qualche giorno prima, in occasione dell’inaugurazione dell’anno giudiziario, esaminando la questione, di grande rilievo per il mio ufficio, dell’ingresso in Italia dei minori non accompagnati, avevo dedicato un intero capitolo a descrivere, secondo le informazioni contenute nei fascicoli processuali, il percorso verso l’Italia di gran parte dei ragazzi marocchini…”“Il padre di Petru beveva come una spugna…..la moglie lavorava come operaia, stava fuori di casa tutto il giorno…il fratello maggiore di Petru era in carcere…il piccolo Petru di undici anni…era peraltro affascinato dalla carriera criminale del fratello….l’addestramento durò alcuni mesi fino a quando il padre non valutò che Petru fosse diventato un vero professionista… la decisione era dunque presa: la sua ditta famigliare del furto si sarebbe trasferita in Italia.”(Livia Pomodoro ed. Melampo “a quattordici anni smetto”; Hassan – meglio a casa pg 79; Petru- rubare stanca pg 97-99) Storie come queste raccontate da Livia Pomodoro, per molti anni Presidente del Tribunale per i Minorenni di Milano, riempiono le cronache dei giornali come i fascicoli giudiziari dei nostri tribunali. Storie, vite, che testimoniano il dilagare di un fenomeno che desta grande allarme sociale e che stenta a trovare una risposta soddisfacente sia in termini di repressione che di prevenzione o di recupero. L’attenzione generale sulle connessioni tra immigrazione e delinquenza è stata catalizzata, alcuni anni or sono, dall’esodo innescato dalla crisi albanese e dalle conseguenti problematiche sulla sicurezza e sull’ordine pubblico. Parallelamente agli sbarchi in massa, è proseguito il flusso migratorio clandestino dall’area balcanica. L’azione informativa dei servizi di sicurezza svolta in Italia ed all’estero ha consentito di tracciare un quadro composito dei soggetti implicati nel traffico, risultati spesso inseriti in ramificate reti multinazionali. La presenza, sul territorio, di espressioni criminali di diversa nazionalità risulta quindi strettamente correlata ai flussi migratori clandestini. Oggetto dell’azione conoscitiva sono state anche altre forme “importate” di criminalità che, seppure ritenute di minore impatto sulla realtà, non possono essere sottovalutate per il potenziale di violenza dimostrato. Tra queste vanno citate le organizzazioni cinesi, dedite all’immigrazione clandestina di connazionali da impiegare nel lavoro nero, quelle magrebine impegnate prevalentemente nel traffico degli stupefacenti, quelle Rumene e quelle Slave. L’area maggiormente interessata è l’Italia centro-settentrionale, dove l’elevato livello di industrializzazione facilita la possibilità di mascherare la movimentazione di denaro di illecita provenienza.

Le cifre della devianza minorile tra gli immigrati

Secondo i dati forniti dal servizio statistiche del Dipartimento per la Giustizia Minorile sono oltre 4000 i minori stranieri segnalati per la presa in carico, nel solo anno 2006, dall’autorità giudiziaria agli Uffici di Servizio Sociale per i Minorenni; circa il 20% del totale delle segnalazioni. Gli ingressi nei centri di Prima accoglienza – perchè sottoposti alla misura dell’accompagnamento, dell’arresto o del fermo – nel primo semestre del 2007 sono stati 997, circa il 55 % del totale. Per lo più si tratta di ragazzi provenienti da paesi del Magreb, dalla Romania, dalla Croazia e dalla Serbia; ma sono presenti anche ragazzi Sud Americani ed Asiatici. Per una esigua percentuale di questi l’autorità giudiziaria ha proceduto all’applicazione della custodia cautelare in Istituto penale per minorenni. Malgrado ciò nel primo semestre del 2007 i minori stranieri presenti negli IPM sono stati circa il 51% del totale. Sicuramente le statistiche ufficiali non consentono di ricostruire in maniera scientificamente esatta fenomeni di criminalità minorile, tuttavia i dati riscontrati permettono di affermare, senza ombra di smentita, la rilevanza che assume l’immigrazione nelle analisi sulla devianza minorile in Italia.

Le nuove mafie

Come osservò alcuni anni fa il prof. Gaetano De Leo, alla devianza minorile sono strettamente interconessi alcuni fenomeni come l’aumento delle denunce a carico di minori non imputabili, l’aumento delle relazioni tra agire criminale ed uso di sostanze psicotrope, l’emergere di nuove forme di violenza,l’aumento della capacità attrattiva delle organizzazioni di criminalità organizzata, l’aumento dell’immigrazione extracomunitaria giovanile. Questi ultimi tre aspetti della realtà criminale minorile sono quelli per noi più interessanti. Ampia bibliografia testimonia come i minori stranieri che delinquono nel nostro paese agiscono in stretta connessione, dipendenza sarebbe più corretto, con sistemi di criminalità organizzata esogeni che operano, quasi in una rigida ripartizione del territorio con i sistemi endogeni, nelle aree del centro nord del paese. Ha acutamente osservato il dott. Vigna, ai tempi in cui rivestiva l’incarico di procuratore generale antimafia, come oggi sul nostro territorio è presente un complesso sistema di criminalità organizzata in cui è necessario includere vecchie e nuove mafie, ricomprendendo nell’accezione mafia tutti quei sistemi criminali, appunto, che si caratterizzano per la presenza di fattori quali la propensione a ricercare il controllo del territorio, il continuo arricchimento degli arsenali, la prosecuzione delle attività intimidatorie. L’escalation di violenza, registrata dalle cronache degli ultimi anni, costituisce l’effetto più eclatante del processo di ridefinizione degli equilibri tra gruppi criminali che controllano buona parte del territorio nazionale; contemporaneamente si è assistito anche all’affermarsi di una nuova generazione criminale di particolare ferocia, espressione estrema di un tessuto nel quale fasce giovanili emarginate alimentano microrealtà delinquenziali. I minori, anche per il sistema di tutele assicurato dal nostro paese, costituiscono manovalanza facile da reclutare ed economica. Di contro questi giovani trovano nei sistemi organizzati un riconoscimento, un “codice di valori di riferimento” e l’opportunità di ricoprire in tempi rapidi posizioni di “prestigio sociale”, una risposta ai bisogni economici indotti dalla società consumistica. Quella del fenomeno migratorio collegato ai diversi sistemi di criminalità organizzata è una realtà marginale rispetto ai flussi migratori, che si presenta però di estrema delicatezza, di grande attualità e di cui non appare ancora in tutta la sua pericolosità l’effettiva potenzialità delinquenziale. È stato accertato che la criminalità associata immigrata si avvale del traffico illegale di “schiavi” per introdurre in un determinato territorio persone, anche giovanissimi, consapevoli fin dall’inizio che, per pagare il viaggio, saranno costretti a commettere reati di ogni tipo per conto di quelle organizzazioni.

Il traffico di clandestini sembra essere l’attività principale, sia al fine dell’inserimento degli immigrati in attività illecite che insistono sul nostro territorio sia per il loro transito verso l’Europa o il Nord America. Conoscere la realtà migratoria è allora essenziale per poter adottare “terapie” che riescano a frenare l’avanzata della parte malsana di una comunità di emigrati da sempre composta essenzialmente da lavoratori osservanti della legge. L’analisi sulla fenomenologia delinquenziale immigrata deve considerare che laddove si insedia una comunità è alto il rischio che si inserisca un elemento criminale con caratteristiche tali da sfruttare la maggioranza degli immigrati che lavora onestamente in termini di copertura. In questo ambito assume una propria specificità il nomadismo slavo ed, oggi, rumeno. Il nomadismo implica modi di vita, valori, orientamenti, in primo luogo la concezione e l’organizzazione stessa del tempo e dello spazio, talmente diversi da quelli delle società occidentali industrializzate che spesso ne risultano due linguaggi tra loro incomprensibili, al punto da ostacolare una piena partecipazione a molte delle attività che costituiscono la vita sociale (frequenza scolastica regolare, attività lavorativa stabile, ecc.). Le forme di mobilità praticate possono essere diverse e sono determinate dalle circostanze ed assoggettate a cicli stagionali, oltre che alle vicende giudiziarie. Di devianza si deve parlare ogni volta che il minore pone in essere attività, come il furto in appartamenti, il borseggio, il manghel, la vendita delle rose per le strade e il lavaggio dei vetri ai semafori, che sono illegali per l’ordinamento del nostro Stato, sebbene in molti casi non possono essere definite tali alla luce dei registri normativi della loro cultura d’origine.

Prospettive d’intervento

Quali sono le risposte verso le quali il nostro sistema si muove a fronte di questo complesso problema?

Il processo penale minorile, nato come sistema con importanti finalità rieducative e di recupero adeguate alla personalità e alle esigenze del minore, e caratterizzano da un’elevata attitudine responsabilizzante e valenza educativa, si è rivelato nella pratica applicativa discriminatorio proprio nei confronti dei nomadi e degli immigrati. Nei loro riguardi, come dimostrano i dati statistici, il processo tende ad irrigidirsi in risposte contenitive e sanzionatorie, secondo logiche di controllo, a scapito di un intervento propositivo e di sostegno del minore. Il minore straniero viene sottoposto a misure cautelari maggiormente restrittive rispetto a quello italiano: in questo modo l’accesso al circuito penale dei minori stranieri assume una incidenza percentuale maggiore. La custodia cautelare, in assenza di alternative, viene applicata quasi come una regola, e tutte le misure alternative vengono difficilmente utilizzate. La differenza di trattamento si fa più forte per alcuni aspetti specifici: istituti come la messa alla prova sono di difficile applicazione; sotto il profilo delle garanzie difensive è più raro che un minore straniero, frequentemente nella condizione di minore non accompagnato, possa fruire dell’assistenza affettiva del genitori; tutti gli strumenti alternativi alla detenzione appaiono di difficoltosa e limitatissima applicazione per soggetti che all’esterno non hanno nè casa nè lavoro. Per questo verso la risposta penale risulta fine a sè stessa ed inefficace in termini di recupero delle ragioni della devianza. Se a ciò si aggiunge il sostanziale disinteresse delle pubbliche amministrazioni competenti, un problema vasto e complesso quale quello del fenomeno della criminalità minorile straniera rischia di diventare la cartina al tornasole di un sistema, sociale e giudiziario, incapace di trovare soluzioni efficaci alle emergenze. La nostra è ormai una società multietnica che vive con difficoltà l’esperienza dell’integrazione. Il limite delle politiche multiculturali è spesso rinvenuto proprio nel fatto che sebbene siano state adottate per fronteggiare il razzismo, nella loro pratica attuazione abbiano spesso portato ad una esacerbazione del sentimento stesso di non accettazione dello straniero. Il superamento del pregiudizio, frutto di ingiustificati allarmismi alimentati da alcune forme superficiali di comunicazione di massa, può avvenire solo attraverso processi di inclusione che consentano a questi minori di trovare nella società civile le risposte adeguate ai loro bisogni di sopravvivenza e di crescita. Si agisce così non più per una “integrazione subalterna” ma per una “uguaglianza emancipante”, funzionale a riconoscere nello straniero immigrato il valore di persona di cui promuovere le potenzialità e garantire i diritti pretendendo, di contro, l’adesione alle regole sociali. Pensare, sentire ed agire per l’uguaglianza può avvenire solo favorendo un impegno quotidiano e costante per superare ogni ragione di conflitto e di separazione. Occorre integrare l’eterogeneità delle cittadinanze per raggiungere l’omogeneità del sentirsi tutti insieme cittadini ed “uguali”. Fondamentale è il coinvolgimento della famiglia nel processo di accoglienza e di inclusione. Il processo di inclusione del giovane immigrato produce, inevitabilmente, dei disequilibri e disorientamenti nella struttura familiare che sarà costretta a ridefinire modelli educativi, sistemi culturali e prassi d’azione che dovranno essere rielaborati alla luce dell’esigenza di integrazione in una nuova, diversa realtà sociale. Per questo l’azione che coinvolge il minore non può prescindere dal coinvolgimento della rete affettiva di riferimento. L’intercultura può costituire una prospettiva ed una prassi operativa, oltre che un metodo, funzionale a cogliere le dinamiche e gli effetti che possono essere generati dall’incontro di codici culturali fra loro, talvolta, non rapportabili. La creazione di spazi e tempi di aggregazione su un fare concreto, possono essere occasione in cui attraverso la narrazione della propria specificità culturale e della propria esperienza di vita si può favorire la costituzione di una identità condivisa. Così anche la mediazione culturale può essere uno strumento funzionale all’accoglienza. Attraverso una dinamica di definizione delle diversità e delle possibili conflittualità, si può prevenire l’emarginazione ed attivare una relazione riflessiva ed empatica tra culture diverse che, superando le tentazioni per una assimilazione o prevalenza dell’una sull’altra, necessariamente trovino ragioni ed occasioni di incontro nel rispetto delle reciprocità, si rendano disponibili a conoscersi ed a contaminarsi. In sostanza il superamento della devianza tra i giovani immigrati può essere un obiettivo raggiungibile solo ponendo in essere un’azione che abbia come finalità l’effettiva inclusione del minore straniero nel tessuto sociale, garantendo la possibilità di partecipare alla costruzione della cittadinanza locale e creando un sentimento omogeneo di appartenenza idoneo a favorire la identificazione su un modello comune pro sociale funzionale a superare le ragioni dell’appartenenza ai sistemi criminali.

Gianluca Guida
Direttore dell’istituto penale per minorenni di Nisida

Massimiliano Fanni Canelles

Viceprimario al reparto di Accettazione ed Emergenza dell'Ospedale ¨Franz Tappeiner¨di Merano nella Südtiroler Sanitätsbetrieb – Azienda sanitaria dell'Alto Adige – da giugno 2019. Attualmente in prima linea nella gestione clinica e nell'organizzazione per l'emergenza Coronavirus. In particolare responsabile del reparto di infettivi e semi – intensiva del Pronto Soccorso dell'ospedale di Merano. 

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