Si sta sottovalutando il rischio che i giovani figli di immigrati di seconda o terza generazione possano un giorno reagire con violenza ad una mancata integrazione come in Francia o nel Regno Unito. Le periferie non dovrebbero diventare terre di nessuno e l’immigrazione dovrebbe essere consentita solo in presenza di garanzie su lavoro e la casa
La sicurezza è tra i problemi che preoccupano maggiormente anche i giovani. Dalla lettura dei quotidiani emerge uno stato di degrado nelle piccole come nelle grandi città. La scuola e gli ambienti da loro frequentati non fanno eccezioni. Gli atti di bullismo e di violenza sulla persona sono sempre più frequenti nei luoghi chiusi ed anche per le strade. Le rapine di cellulari, di denaro o di altri beni vedono sempre più spesso come vittime giovani adolescenti ad opera di coetanei. Minimizzare i fenomeni non serve e non aiuta. L’impressione che le istituzioni oggi danno è di aver perso la capacità di affrontare i problemi con scelte di politica legislativa, e di decidere solo in emergenza, a seguito di fatti gravissimi. La nostra società non dà più fiducia ai giovani, perché non riesce ad elaborare risposte coerenti, strutturate e, soprattutto, coraggiose. Ogni proposta innovativa viene affossata e si perde nelle polemiche di parte. Si passa, quindi, all’emergenza, alla generalizzazione, senza prevedere misure che siano proporzionate e programmate. Le proposte che tendono a rendere più efficace la lotta alla criminalità adeguandola ad una società in divenire, vengono duramente attaccate, anche quelle che non mettono in discussione alcuni capisaldi quali la necessità della prevenzione. Per i giovani, la prevenzione, che è educazione, fa parte della programmazione di ogni ente preposto, sia statale che locale, sia del privato sociale. è patrimonio della normativa del nostro paese. Vi sono punte di eccellenza in molte aree del paese dove la prevenzione sia primaria che secondaria hanno funzionato, anche grazie al coinvolgimento delle famiglie. Quando si tratta di devianza minorile occorre agire in fretta, con approcci individuali, e quindi, la famiglia è indispensabile. In particolare l’abbassamento dell’età di chi commette reati, anche al di sotto della soglia dei quattordici anni, non può essere un problema da risolvere solamente dal punto di vista del codice penale. Occorre agire supportando le famiglie ad assumere pienamente il loro ruolo ed a non allontanarsi dai propri figli, quasi temendo di essere considerati cattivi genitori. Il ruolo educativo delle famiglie non è delegabile. Le regole della nostra società devono essere riaffermate e difese, anche nella scuola. Iniziando dai professori che dovrebbero farsi rispettare cominciando dal non permettere l’uso del “tu” confidenziale. Un esempio modesto ma utile per comprendere come occorra ripartire da zero. I giovani sono anche le prime vittime della violenza, si diceva. A questo proposito la mancanza di fiducia nelle istituzioni crea un primo vulnus nella formazione della coscienza di cittadino. Molte vittime minorenni non denunciano i reati subiti. Quando a commettere il reato è un coetaneo minorenne, anche il sistema processuale penale minorile non aiuta a far emergere un senso di giustizia. L’impossibilità di costituirsi parte civile ed il ruolo marginale, dimenticato della parte lesa nel corso del processo pongono la vittima ai margini. La vittima assiste all’agire di una efficace rete di assistenza composta da giudice, avvocati ed assistenti sociali, nei confronti del minore autore del reato, rete che è, invece, del tutto assente nei suoi riguardi, dal momento che non vi è un soggetto terzo che intervenga per aiutarlo a superare il trauma. Senza dimenticare che un frainteso senso di impunità da parte degli autori del reato può ricadere sulla vittima, una volta rientrata nell’ambiente di vita quotidiana frequentato da tulle le parti coinvolte, con la prosecuzione delle violenze, percepite come consentite dal sistema giudiziario. Vi sono validi istituti, quali la messa alla prova, i quali se non gestiti correttamente dal personale preposto, rischiano di far sentire la vittima colpevole di non consentire il recupero dell’autore del reato. La messa alla prova, che consente l’estinzione del reato, potrebbe, inoltre, essere ripensata nella sua applicabilità per i reati più gravi di omicidio, violenza sessuale e 416 bis. Di certo si sta sottovalutando il rischio che i giovani figli di immigrati di seconda o terza generazione possano un giorno reagire con violenza ad una mancata integrazione, come in Francia o nel Regno Unito. Le periferie urbane non dovrebbero diventare terre di nessuno e l’immigrazione dovrebbe esssere consentita solo in presenza di garanzie per quanto riguarda il lavoro e la casa. Le nuove famiglie di immigrati vivono in molti casi in un mondo separato con proprie abitudini di vita e senza aperture con la società che li accoglie. Da qui può nascere nei giovani un sentimento di ribellione e di distruzione di un luogo che secondo il loro punto di vista, non li avrebbe accolti. Non possiamo permettere che tutto ciò accada e che i giovani perdano definitivamente la fiducia nelle istituzioni alle quali spetta il compito fondamentale di garantire la sicurezza dei cittadini di oggi e di domani.
Sonia Viale
Avvocato, già vicecapo dipartimento giustizia minorile Ministero Giustizia