In passato i nuclei familiari includevano parenti che riuscivano ad essere di aiuto nei casi di bisogno. Con il modificarsi della cultura e dei rapporti, il legislatore ha deciso di definire le regole che consentano al bambino, figlio di genitori in difficoltà, di essere accolto da persone in grado di amarlo e proteggerlo
Purtroppo può capitare che una madre ed un padre si trovino ad attraversare una fase di difficoltà che, se protratta nel tempo, finisce con l’impedir loro di occuparsi del figlio in maniera adeguata. In passato spesso le famiglie allargate con nonni e zii riuscivano ad essere di aiuto nei casi di bisogno ma con il modificarsi della cultura e dei rapporti familiari il legislatore con la Legge n.184 del 1983, successivamente modificata dalla n.149 del 2001 ha deciso di definire le regole perché la società possa prendersi cura delle famiglie in difficoltà. L’affido, che è e deve rimanere temporaneo, permette al bambino figlio di genitori in difficoltà di essere accolto presso una nuova famiglia, che ha il compito di mantenere e persino incentivare i rapporti con papà e mamma biologici. Questo perché la funzione di questo istituto deve essere quella di tutelare il minore fino a quando i genitori naturali sono di nuovo in grado di svolgere la funzione educativa ed affettiva senza che avvengano scambi di ruolo tra affidatari ed affidanti. Il legame genitoriale non deve essere quindi modificato e nel momento in cui la crisi è superata la famiglia originaria deve avere la possibilità di incominciare un nuovo percorso. Il mestiere del genitore, sia esso naturale o biologico, è difficile e l’impegno di chi si rende disponibile ad aiutare una famiglia in difficoltà è un “impiego” a tempo pieno, non retribuito in termini economici, ma di certo ottimamente “pagato” in termini d’affetto e calore umano. I bambini costano sia a livello economico che energetico, ma nessuno meglio di loro, è capace anche solo con un semplice sorriso, di far scordare tutti gli oneri quotidiani. Crescere un figlio è tanto complicato quanto gratificante e se il compito viene svolto con amore, scrupolosità ed attenzione è sempre possibile raccoglierne i frutti. è necessario quindi sostenere le famiglie disponibili e competenti ad un servizio sociale di tale importanza anche con contributi e rimborsi spese come già avviene ma è importante che sia solo l’amore e la solidarietà a spingere i genitori affidatari a prendersi cura e ad educare i bambini che a loro vengono assegnati.
D’altro canto esistono molti casi difficili quali quelli di adolescenti del circuito penale o di bambini che provengono da esperienze familiari traumatizzanti che tutt’ora non vengono affrontati in maniera adeguata. La mancanza di famiglie disponibili poco qualificate e preparate ad affrontare problemi così complessi è forse la principale causa. In questi casi ed in quelli dove la famiglia d’origine rimane nel tempo inadatta al ruolo genitoriale l’istituto dell’affido diventa di difficile applicabilità ed è quindi necessario sviluppare nuovi progetti e sperimentazioni per far fronte ad una necessità di grave impatto sociale. La professionalizzazione della famiglia, fondata sull’acquisizione di specifiche competenze e sulla regolazione delle prestazioni in un rapporto di lavoro che è prevista da vari progetti riguardo a nuovi sviluppi dell’istituto dell’affido può offrire garanzie di maggior tenuta rispetto a situazioni estremamente complesse, certezza del sistema d’offerta di accoglienza e specializzazione delle famiglie rispetto ad alcune tipologie di problemi, ma la possibile aridità affettiva che ne potrebbe conseguire è un rischio difficilmente accettabile soprattutto nella prima infanzia. Infatti considerare l’istituto dell’affido come unico ed esclusivo indipendentemente dalle caratteristiche dell’affidato senza differenziarne le caratteristiche secondo le necessità e soprattutto l’età è fallimentare in partenza. Le famiglie dovrebbero essere preparate e seguite secondo lo scopo per il quale si sono rese disponibili. Nei casi di violenza e di devianza minorile ci dovrebbero essere delle competenze e garanzie adeguate.
è anche possibile considerare un servizio “professionale” in alcuni di questi casi, soprattutto nel periodo adolescenziale, in modo che nell’arco di due o quattro anni si possa condurre il minore alla vita adulta. Ma nella maggior parte dei casi e in particolar modo nell’ambito di un affido durante la prima infanzia solo l’amore duraturo può far fronte alla necessità di uno sviluppo psico-emozionale equilibrato.
Alessandra Guerra
Consigliere regionale Friuli Venezia Giulia
già presidente della regione Friuli Venezia Giulia