La percezione del rischio può divenire accettazione o sfida del pericolo allo scopo di esorcizzare la paura della morte alla quale originariamente si correla il bisogno di ammirazione. Ed è significativo che i giovani accettino la probabilità di morte di un incidente stradale ma non la certezza della morte dopo una malattia
La percezione del rischio, ovvero la consapevolezza di essere esposti ad un pericolo di danno, suscita nell’uomo una reazione di difesa che tende a mitigare il rischio o a limitarne i danni. Perché ci sia la percezione del rischio è necessario che ci sia la conoscenza del pericolo, ossia “l’esperienza”, che è il risultato della elaborazione cognitiva delle percezioni, stimoli sensoriali che provengono dall’ambiente nel quale l’uomo vive e che, discriminati dal potere critico individuale e ricomposti in un insieme significativo, diventano “coscienza”. L’impronta originaria che caratterizza il modello di discriminazione e ricomposizione degli stimoli è l’istinto vitale, che, tuttavia, genera le dipendenze dell’uomo dai bisogni vitali e dalle esigenze di autonomia. Alla nascita l’istinto vitale realizza la dipendenza dell’uomo dall’allattamento correlato all’ammirazione della madre, e sviluppa il “bisogno di ammirazione” che, col tempo, si trasformerà in bisogno di autostima, di identità sociale e culturale. Il messaggio di “ammirazione” per essere credibile deve derivare da un “leader” in un contesto sociale. La famiglia è la prima comunità all’interno della quale si realizza una organizzazione che, sorretta dal bisogno di ammirazione, afferma il ruolo di un leader e appaga l’istinto vitale dei suoi seguaci. La scuola ne è la continuità. Laddove l’individuo si ritrovasse privo di un leader, non troverebbe risposta al bisogno di ammirazione e, sospinto dal proprio egocentrismo, adotterebbe percorsi con finalità “liberatorie” che possono avvalersi di modelli di affermazione esposti al rischio, fino alle scelte estreme di autonomia dal bisogno di ammirazione.
L’ egocentrismo induce l’uomo ed in particolare il giovane, in una logica liberatoria, alla creazione di un “super io”; genera la visione della realtà subordinata alla propria persona che diviene invulnerabile in una dimensione fantastica e di inconsapevole distacco dalla realtà; alimenta l’esigenza di liberazione dal bisogno di ammirazione, spinge il giovane ad affermarsi come leader o a divenire seguace di un leader in aggregazioni diverse dalla famiglia e dalla scuola. In alcune circostanze la percezione del rischio può divenire accettazione o sfida del pericolo allo scopo di esorcizzare la paura della morte alla quale originariamente si correla il bisogno di ammirazione. Ed è significativo che, nei giovani, l’accettazione del rischio si collochi prevalentemente nelle scelte con probabilità aleatoria, non sicura, di morte; la malattia caratterizzata da certezza di morte incute più timore dell’incidente stradale probabilmente mortale. Per i giovani il rischio è una opportunità per realizzare “l’autoaffermazione”, imporsi all’ammirazione quando ancora ne sono bisognosi, o vincere la paura della morte sfidando la morte, per sentirsi liberi dal bisogno di ammirazione. Le situazioni che espongono maggiormente i giovani al rischio sono i confronti di gruppo. Il pericolo corso ed i danni subiti, per una temeraria esposizione al rischio, sono testimonianze di una eccitante esperienza di confronto dal quale si è usciti sopravvissuti o, comunque, liberi da un vincolante interesse a vivere. Il rischio così concepito, ricercato e valorizzato, non può essere mitigato, necessita di essere sopraffatto dal desiderio di vivere, per il quale la famiglia e poi la scuola sono riferimenti sostanziali purché riescano a realizzare una aggregazione sociale all’interno della quale il leader sappia reclutare seguaci.
Elio Cerchietti
Direttore della struttura complessa 118 elisoccorso regionale FVG;
docente alla scuola di specializzazione di anestesia e rianimazione
Università Campus Bio medico di Roma e Università di Trieste