Unione europea e doping

Il Libro Bianco presentato dalla Commissione europea, se da un lato conferma il ruolo sociale ed economico dello sport, dall’altro rimarca il peso delle “nuove minacce” tra cui lo sfruttamento dei giovani giocatori

Nel Libro Bianco sullo Sport presentato dalla Commissione europea l’11 luglio 2007 si afferma che lo sport è un fenomeno sociale ed economico d’importanza crescente che contribuisce in modo significativo agli obiettivi strategici di solidarietà e prosperità perseguiti dall’Unione europea. Anche lo sport però si trova ad affrontare le nuove minacce e sfide emerse nella società europea, come la pressione commerciale, lo sfruttamento dei giovani giocatori, il doping, il razzismo, la violenza, la corruzione e il riciclaggio del denaro. Il doping, in particolare, rappresenta, secondo la Commissione, una minaccia per lo sport in tutto il mondo, anche in Europa. Esso mina alla radice il principio di una competizione aperta e leale (…) e minaccia seriamente la salute degli individui. La Commissione invita, in tal senso, tutti i soggetti responsabili della salute pubblica a tenere conto dei rischi dovuti al doping e si rivolge alle organizzazioni sportive affinché elaborino norme di buona pratica per garantire una migliore informazione ed educazione dei giovani sportivi per quanto riguarda le sostanze dopanti, i medicinali su ricetta che potrebbero contenere tali sostanze e i loro effetti sulla salute.

Il fenomeno del doping nello sport ha assunto, in questi ultimi anni, aspetti e dimensioni di estrema gravità, una vera e propria emergenza sociale, trovando un sempre maggiore coinvolgimento del mondo dei giovani sportivi, a livello non solo professionistico, ma soprattutto dilettantistico e amatoriale: su diecimila ragazzi che fanno sport, tra i tredici e i diciotto anni, il 7 per cento ha ammesso di fare uso di sostanze dopanti e di averle utilizzate dietro consiglio di amici o allenatori. In generale, sono stati stimati in 500 mila gli italiani che fanno uso di sostanze dopanti e, calcolando quanto avviene in altri Paesi europei, come la Gran Bretagna o la Germania, sono 2 milioni gli europei che ricorrono a sostanze dopanti, e 15.5 milioni i “clienti” del doping in tutto il mondo.
Dall’entrata in vigore, in Italia, della legge n. 376/2000, in tema di lotta contro il doping, l’assunzione e lo spaccio di sostanze dopanti sono in netta crescita: dai dati ufficiali forniti dal Comando dei Carabinieri per la Tutela della Salute risulta che, nel 2006, i sequestri totali di sostanze ad azione anabolizzante sono stati pari a 88.550.

In totale il giro d’affari corrispondente alle operazioni più importanti è stato di circa 20 milioni e mezzo di euro. Le fonti per l’approvvigionamento delle sostanze illecite, come evidenziato dai Carabinieri, sono molteplici e coinvolgono direttamente familiari, amici, compagni, allenatori, medici e farmacisti, ma anche esponenti della criminalità organizzata (cfr., www.ministerosalute.it, sezione Antidoping). I dati emersi devono indurre ad una riflessione seria, accurata, che abbia come scopo principale la tutela dell’integrità psicofisica degli sportivi, che la legge n. 376/2000, nella sua interpretazione giurisprudenziale anche recente, solo in parte persegue. La tendenza comunitaria muove ormai da tempo, come ribadito nel Libro Bianco, dai possibili danni agli atleti, prescindendo dalla distinzione tra sport professionistici, dilettantistici o amatoriali, e considera, solo in un secondo momento, i profili attinenti agli illeciti sportivi. Ciò che occorre evidenziare e promuovere con maggior rigore è il sistema di informazione e formazione relativo ai rischi connessi all’utilizzo di sostanze dopanti (e/o all’abuso di integratori), soprattutto nei confronti dei giovani che si avviano alla pratica sportiva, nonché di quelli che frequentano le palestre e i centri fitness.

In tale direzione si è mosso il progetto europeo “Palestre Sicure – Attività motoria e benessere dei consumatori”, cofinanziato dalla Commissione europea e promosso dall’Associazione Consumatori Utenti-ACU, in collaborazione con Coni Servizi, Iusm e numerosi enti pubblici, a livello regionale e locale, e istituti scolastici (cfr., www.palestresicure.net).
Nel progetto in parola si è evidenziato come il profilo della sicurezza nelle palestre e centri fitness è da intendere riferito a molteplici aspetti, tra i quali, in particolare:
– la qualificazione professionale degli operatori dello sport e del fitness;
– la salubrità e sostenibilità ambientale;
– la corretta educazione alla pratica fisico-sportiva;
– l’uguaglianza sostanziale delle opportunità d’accesso all’attività sportiva e motorio-ricreativa;
– la cultura antidoping.

Tra gli elementi di criticità emersi dall’indagine, si segnala, in questa sede, la qualificazione degli istruttori e degli operatori del settore, anche per il ruolo educativo nella promozione della salute e nella prevenzione del doping e dell’abuso di integratori alimentari (cfr., Il Sole 24 Ore Sport, n. 7/8, p. 1, 2007). La necessità di rafforzare la consapevolezza nei giovani sportivi o praticanti attività fisico-motoria del diritto alla sicurezza ha determinato, nel corso del 2006, una serie di azioni da parte della Commissione per la vigilanza ed il controllo sul doping e per la tutela della salute nelle attività sportive (cd. CVD), istituita dalla legge n. 376/2000. Tale organismo ha stipulato, in particolare, un accordo di collaborazione biennale con l’Istituto Superiore di Sanità (ISS) per la realizzazione dei seguenti obiettivi:
1) campagne informative/formative ed organizzazione di convegni, in collaborazione con le istituzioni universitarie e scolastiche, il Coni, gli enti del servizio sanitario nazionale, le federazioni sportive nazionali, le leghe nazionali, le discipline associate, gli enti di promozione sportiva, le società affiliate;
2) campagne informative/formative di aggiornamento indirizzate ai medici;
3) campagne di informazione rivolte principalmente ai giovani, tese a promuovere stili di vita sani, nonché a valorizzare il ruolo sociale ed etico dello sport.

Tra i progetti finanziati rivolti all’informazione sui temi del doping, si richiama l’indagine condotta sugli adolescenti dal Dipartimento di Psicologia dell’Università “La Sapienza” di Roma, la quale ha evidenziato che quelli di sesso maschile più costantemente dediti allo sport sono più propensi a utilizzare sostanze (steroidi anabolizzanti) per aumentare la performance sportiva, ignorando, però, le conseguenze dannose che possono provocare sull’organismo. Un’altra indagine dell’Università degli Studi di Roma “Tor Vergata” ha rivelato che su 921 giovani di età compresa fra i 12 e i 19 anni, il 64 per cento dichiara di sapere che cos’è il doping, ma soltanto una percentuale molto bassa sa riconoscere le sostanze dopanti. In generale emerge che l’80 per cento dei ragazzi sono molto interessati a ricevere informazioni su queste sostanze e consapevoli dell’inadeguatezza delle notizie che hanno a disposizione (la ribalta mediatica è data a chi si dopa e non alle cause che portano al doping, come alla droga, all’alcool, alla violenza).

Dalle interviste si evidenzia inoltre il ruolo marginale degli allenatori e dei dirigenti sportivi nell’informazione sui temi del doping, mentre il 18 per cento dei giovani vorrebbe essere informato proprio dal mondo dello sport e il 24 per cento dai medici. I più giovani preferiscono rivolgersi ai genitori; tra i 14 e 15 anni scelgono gli insegnanti, mentre tra i 16 e i 19 anni confrontano i dati raccolti con gli amici. La scuola, rispetto alla famiglia, diventa quindi la risorsa informativa più importante. Gli intervistati hanno dimostrato di fare ancora confusione sull’uso di integratori, considerandoli, in ogni caso, importanti per l’attività sportiva, in sostituzione, spesso, di una sana alimentazione. La medicalizzazione dell’atleta è ormai diventata una vera e propria ricetta, con l’uso di sostanze facilmente reperibili (supermercati, erboristeria, internet). Più di un ragazzo su due è convinto, infine, che il doping serva per vincere, mentre più bassa è la percentuale di coloro che pensano che migliori la forza fisica, la concentrazione, i riflessi, che allontani la fatica muscolare e migliori il recupero fisico.

Si pone quindi la necessità di pervenire ad un coordinamento a livello nazionale (ma anche regionale) – come richiesto dalla stessa Convenzione Internazionale contro il Doping, approvata dall’Assemblea Generale dell’Unesco il 19 ottobre 2005 e in fase di ratifica ed esecuzione anche per l’Italia – tra tutti gli enti interessati alla lotta al doping, per garantire una maggiore efficacia e costanza delle azioni di prevenzione. Un altro punto qualificante è infatti il diretto coinvolgimento delle Regioni nella lotta al doping. In particolare, nell’Accordo siglato il 28 luglio 2005 tra il Ministero della Salute, le Regioni e le Province Autonome di Trento e di Bolzano, sono state definite le “Linee guida sui requisiti organizzativi e di funzionamento dei laboratori antidoping regionali”. I laboratori devono garantire non solo l’effettuazione dell’attività di controllo antidoping, ma anche la tutela della salute dei praticanti l’attività sportiva, soprattutto a livello amatoriale. Nonostante emerga una realtà locale piuttosto disomogenea, si rilevano, tra gli altri, piani regionali antidoping di particolare interesse a favore dei giovani sportivi, come quello della Regione Piemonte per il 2007, caratterizzato dalla costituzione di un gruppo interdisciplinare che sviluppa un’articolata riflessione etica, psicologica, filosofica e antropologica sull’attività sportiva, organizzando su questi temi corsi di educazione permanente per allenatori di squadre/gruppi giovanili, i quali costituiscono il canale privilegiato di promozione dell’etica sportiva.
Lo scambio di informazioni e le buone pratiche tra governi, organizzazioni antidoping e laboratori (nazionali e regionali) è l’auspicio rivolto dalla Commissione europea nel Libro Bianco sullo Sport per combattere il dilagante fenomeno del doping.

Lina Musumarra
Avvocato. Professore di diritto dello sport, università di Firenze

Massimiliano Fanni Canelles

Viceprimario al reparto di Accettazione ed Emergenza dell'Ospedale ¨Franz Tappeiner¨di Merano nella Südtiroler Sanitätsbetrieb – Azienda sanitaria dell'Alto Adige – da giugno 2019. Attualmente in prima linea nella gestione clinica e nell'organizzazione per l'emergenza Coronavirus. In particolare responsabile del reparto di infettivi e semi – intensiva del Pronto Soccorso dell'ospedale di Merano. 

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