Vanno portate avanti le operazioni di controllo e applicate sanzioni certe e tempestive. Ma al tempo stesso va curato anche l’aspetto informativo ed educativo, nella speranza che chi fa sport ne accetti e apprezzi le regole e i significati
Non arriveremo mai a risolvere l’angoscioso problema del doping nello sport se lo trasformeremo in una specie di guerra tra guardie e ladri. Per quanto possa migliorare e perfezionarsi il sistema dei controlli, non sarà mai in grado di scoprire ed evidenziare le nuove frontiere escogitate per migliorare artificialmente e in modo truffaldino le prestazioni degli atleti. è una convinzione che deriva da un’esperienza ormai pluriennale e tale da indurre a quasi fatalistica rassegnazione. Ma è chiaro che non ci si può arrendere, non si può accettare che vengano minate in modo così palese e volgare le più elementari regole di lealtà sportiva. Non ho veste né titolo per poter affrontare la questione in chiave scientifica, per cui mi limiterò ad alcune osservazioni di carattere generale. Va da sé che un minimo di coscienza professionale e deontologica dovrebbe costituire un vincolo assoluto per medici e ricercatori a non mettere le proprie conoscenze al servizio di soluzioni contrarie all’ etica sportiva e dannose per il fisico degli atleti, lo si dice da sempre. Appelli che restano inascoltati, anche se è doveroso non generalizzare: ma bastano pochi soggetti senza scrupoli per far gettare ombre e sospetti su intere categorie.
Non che ci siano maggiori speranze di raccogliere nell’immediato risultati importanti, ma ritengo che sia opportuno analizzare la questione anche da un punto di vista strettamente sportivo. Ci si chiede da sempre perché l’attività agonistica generi tanti consensi e approvazioni nell’opinione pubblica, perché piaccia così tanto alla gente e sappia
mobilitare passioni e stuzzicare fantasie. Una delle risposte possibili sta nella natura stessa della pratica sportiva attiva: tra tutte le attività dell’uomo, lo sport, se correttamente interpretato ed esercitato, è l’unica che consenta di stabilire classifiche e gerarchie di valori incontestabili. Di chi è diventato ricco si potrà sempre dire chissà quanto ha rubato; sulla stellina diventata famosa si potranno ricamare dicerie di ogni genere; il telecronista che ha raccontato per anni le partite della nazionale sarà arrivato solo grazie a fior di raccomandazioni. Che poi sia vero o meno, poco importa, si sa che spesso il sospetto è sufficiente a sporcare carriere e situazioni. In linea teorica nulla di simile dovrebbe essere proposto sui campioni dello sport: se uno salta due metri e quaranta in alto, a nessuno salta in mente di dire che ha raggiunto quella misura perché raccomandato, che so io, dallo zio cardinale. Ma ecco che l’ombra inquietante del doping viene a cancellare ogni certezza, annulla quel valore autonomo e unico dello sport, semina sospetti e scandalo.
In quest’ottica diventa quasi automatico sostenere che il doping è la negazione stessa dello sport, la profanazione volgare e inaccettabile dei valori primi e originari dell’agonismo.
Esistono riscontri interessanti anche nella valutazione che normalmente viene riservata al doping nello sport. Viviamo in una società che è malata di farmacomania: alla pilloletta-aiutino ricorre lo studente che deve sostenere un esame importante, l’avvocato alle prese con una causa insidiosa, la massaia che ha paura di cadere in depressione, l’amante non del tutto sicuro e via elencando. Abitudini discutibili e non raccomandabili ma che a livello di percezione sociale originano al massimo una larvata disapprovazone, con frequenti giustificazioni rapportate al buon risultato conseguito. Fossi difeso da un avvocato in una causa penale, non troveri nulla da ridire se venissi a sapere che, per essere più brillante e farmi assolvere, s’è aiutato con la famosa pilloletta. Completamente diversa la reazione sociale nel campo dello sport: l’atleta scoperto a far uso di sostanze dopanti genera scandalo e riprovazione assoluta,viene bollato dall’opinione pubblica, privato di vittorie e medaglie. Un’altra implicita dimostrazione che lo sport è qualcosa di particolare, ha e dovrebbe rispettare sue regole specifiche, pretende lealtà e trasparenza di comportamenti. Certo non bastano simili considerazioni dal sapore moraleggiante a indicare la strada da percorrere per debellare la piaga del doping nello sport, ma fanno intendere che una più accurata e consapevole educazione sportiva consentirebbe una presa di coscienza da parte degli atleti forse produttiva di effetti positivi. Del resto il problema non è nuovo né tipico del mondo moderno.
Abbiamo testimonianze dirette di testimoni contemporanei i quali riferiscono che, in occasione dei Giochi classici di Olimpia, Corinto e Panellenici, di frequente venivano scoperti atleti che infrangevano le regole: per esempio mangiavano di nascosto delle succose bistecche, cosa proibita nel periodo delle gare, con la speranza di accumulare maggior forza e vincere il lancio del giavellotto. La moderna dietologia ci dice che l’effetto non era quello sperato, ma da un punto di vista etico quegli antichi imbroglioni si comportavano esattamente come i moderni dopati. Chiaro che appaiono del tutto diverse anche le possibili conseguenze negative sul piano della salute, oggi con le sofisticate sostanze si corrono rischi ben maggiori e non sempre valutabili a breve termine. Il guaio è che quando il successo sportivo garantisce grandi gratificazioni materiali (soldi, fama, gloria, successo, popolarità) scattano nell’uomo meccanismi perversi di tentazione: si fa qualsiasi cosa, si ricorre a qualsiasi mezzo pur di vincere. Accade oggi, accadeva un tempo e non solo nell’antica Grecia. Che fare, allora, arrendersi all’inevitabile? No davvero, vanno portate avanti le operazioni di controllo, applicate sanzioni certe e tempestive, ma al tempo stesso va curato anche l’aspetto informativo ed educativo, nella speranza che chi fa sport ne accetti e apprezzi le regole e i significati. Con particolare attenzione per la pratica agonistica giovanile, dove il doping non deve mai assolutamente poter entrare.
Bruno Pizzul
Giornalista sportivo e commentatore televisivo