Meglio secondi che imbroglioni

L’abuso di sostanze dopanti e il conseguente voler vincere a tutti i costi trasgredendo la regola del “fair play” non è previsto all’interno di un contesto sportivo di qualità. Contesto dove per qualità non ci si riferisce solo al risultato ottenuto, ma al modo in cui esso è stato ottenuto, della parità ed uguaglianza universali, e non da ultimo della cultura.

Tempo addietro, chiunque si dedicasse ad una attività sportiva era tenuto o forse è meglio dire, obbligato, ad interessarsi esclusivamente della propria preparazione atletica. Tutto ciò che esulava da questo era visto come estraneo all’atleta stesso e, per questo motivo, considerato non di sua competenza. Allo sportivo andava il compito di allenarsi, ad altri tutto il resto.

Oggi le cose sono cambiate, in meglio direi. Il terzo millennio sta portando con sé una ventata di innovazione e ha fatto sì che gli sportivi e atleti abbiano finalmente potuto iniziare ad occuparsi non solo della loro preparazione atletica, ma anche degli aspetti organizzativi, legati per esempio, alle gare cui partecipano. Oggi l’atleta, dall’essere elemento “passivo”, è diventato quindi, non senza sforzo, elemento “attivo”, anche nei confronti degli aspetti politici e a volte persino dirigenziali dello Sport. Per fare un esempio: attualmente sono quindici gli atleti di tutto il mondo a far parte, come me, del cosiddetto “Parlamento” dello Sport mondiale e questo è da considerarsi una specie di “rivoluzione”, un vero e proprio traguardo. In effetti tali incarichi non sono che il frutto del nuovo ruolo ricoperto dall’atleta di oggi.

Ruolo spesso oneroso, ma sempre appagante perché regala un senso di completezza che un tempo, per forza di cose, non poteva esistere. Personalmente, sin dagli inizi della carriera ho impostato la mia attività sportiva credendo che essere atleta non significasse soltanto gareggiare, ma anche occuparsi dei diritti e, parimenti, dei doveri dello sportivo. La gara fine a se stessa è troppo semplice e riduttiva. Quando si parla di diritti dell’atleta, ci si riferisce, ad esempio, al diritto di partecipare all’organizzazione, anche dal punto di vista dei controlli in materia di doping, di strutture, di questioni tecniche, dell’ambiente, della parità, della cultura insomma. Per quel che mi riguarda, tra i vari compiti che svolgo come membro CIO eletto dagli atleti di tutto il mondo, in particolare seguo la commissione mondiale su radio e TV, commissione che esamina le questioni inerenti i proventi radiotelevisivi delle gare, che costituiscono la parte più consistente delle entrate con le quali il CIO si finanzia. Con il mio impegno propongo e mi auguro, di poter vedere crescere un nuovo tipo di formazione e soprattutto, una diversa coscienza del “nuovo” atleta.

È vero che stiamo lavorando in tal senso ancora da poco tempo, ma i risultati non sono stati pochi e, ci si auspica che le cose continuino ad evolversi verso una direzione sempre più positiva. Questo è l’ideale che ho portato con me durante le olimpiadi: contribuire a costruire, attraverso l’educazione dei giovani, un mondo migliore, un mondo fatto di pace, dove lo sport viene praticato senza discriminazioni di alcun tipo (sesso, religione, cultura, educazione). Lo spirito olimpico richiede comprensione reciproca, va vissuto con semplicità e tenacia, spirito di amicizia e solidarietà, fair play e lealtà. Esiste infatti una regola non scritta, stabilita da un codice d’onore presente in qualsiasi sport, che prevede l’onestà sia nei confronti dell’avversario quanto di sé stessi. Si tratta di un insieme di valori morali sani ed educativi, che possono aiutare, in particolar modo chi si avvicina allo sport in tenera età, a rafforzare il carattere e a vivere nel rispetto del prossimo. Per questi motivi, l’uso e l’abuso di sostanze dopanti e il conseguente voler vincere a tutti i costi trasgredendo la regola del “fair play” non è ovviamente previsto all’interno di un contesto sportivo di qualità.

Contesto dove per qualità non ci si riferisce solo al risultato ottenuto dall’atleta, ma al modo in cui esso è stato ottenuto. D’altra parte, vincere con disonestà, alla fin fine può rivelarsi meno gratificante che arrivare secondi, avendo dato invece il massimo di se stessi. Da sportiva e da Deputato nazionale, mi accade spesso di ragionare su questi concetti e ancor più, di soffermarmi a riflettere sulla particolare bellezza di questa universalità presente nel pensiero olimpico. Penso alla profondità del suo simbolo, nel quale, i cinque cerchi stanno a rappresentare l’umanità che vive in un unico meraviglioso mondo, tutta insieme, senza distinzioni. Tutti alla pari, tutti con lo stesso potenziale di vincere o perdere. Volete che vi dica il mio sogno attuale? Spero che il simbolo olimpico diventi un giorno l’espressione di un futuro di eguaglianza, dove la filosofia di vita che incarna si applichi alla quotidianità di tutti, sportivi e non. Il principio olimpico è ormai un qualcosa di radicato, che sento fortemente dentro di me, in qualsiasi tipo di attività che svolgo, inclusa quella che prevede i miei nuovi progetti alpinistici, progetti di cui non posso che andare fiera, ma che forse, non avrebbero avuto lo stesso valore senza l’applicazione di questo principio che mi è stato insegnato dallo sport. 

Manuela Di Centa
Pluricampionessa olimpica; recordmen mondiale;
vincitrice della coppa del mondo di sci di fondo,
conduttrice Rai, vice presidente vicario del CONI, membro CIO, parlamentare

Massimiliano Fanni Canelles

Viceprimario al reparto di Accettazione ed Emergenza dell'Ospedale ¨Franz Tappeiner¨di Merano nella Südtiroler Sanitätsbetrieb – Azienda sanitaria dell'Alto Adige – da giugno 2019. Attualmente in prima linea nella gestione clinica e nell'organizzazione per l'emergenza Coronavirus. In particolare responsabile del reparto di infettivi e semi – intensiva del Pronto Soccorso dell'ospedale di Merano. 

Rispondi