Ha fatto scalpore il ritrovamento, da parte di funzionari cinesi del comitato olimpico, presso un centro d’allenamento nella provincia cinese del Liaoning, di 300 dosi di EPO, 94 di testosterone e 124 di steroidi; inoltre 25 dosi (flaconi) di EPO e 141 dosi di steroidi anabolizzanti erano pronte per essere somministrate agli atleti fra i 15 e i 18 anni
Nel 2005, i pediatri dell’ospedale Bambino Gesù di Roma, hanno segnalato che il doping è ormai presente anche tra i giovanissimi. Il dottor Marco Cappa, dell’unità operativa di endocrinologia ha, tra l’altro affermato: “Il doping è diventato un fenomeno sociale preoccupante, non più circoscritto alla sola cerchia degli atleti professionisti, e non più limitato al giorno prima della gara, ma esteso ad ampi strati della popolazione sportiva, con coinvolgimento dilagante dei più giovani ed anche dei bambini: la fascia di età a rischio si è infatti progressivamente abbassata, arrivando ad interessare bambini e adolescenti di 8-17 anni, con gravi rischi per la salute». Fino a non molto tempo fa si riteneva che il doping non fosse molto diffuso fra gli atleti più giovani, cioè tra coloro che svolgevano attività sportiva nelle categorie giovanili e juniores.
«Il sudanese Idriss Abdulagadir, campione mondiale allievi dei 400 hs (50”78) sarebbe risultato positivo (nandrolone) ai Mondiali di categoria svoltisi nel luglio del 2005 a Marrakech. La medaglia d’oro passerebbe al saudita Daak Mohammed, 2° in 50”90».
Si credeva, che si mantenessero “puliti”, nella fallace convinzione che almeno in giovane età essi fossero ancora motivati unicamente dalla grande passione per lo sport. Quale sorpresa, dunque, quando è stata riscontrata la positività ai controlli in atleti insospettabili proprio in grazia della loro giovanissima età! La responsabilità, talvolta, è di alcuni allenatori e medici senza scrupoli che li convincono a fare ricorso ai farmaci proibiti. Costoro, una volta scoperti, andrebbero radiati e costretti ad abbandonare qualsiasi attività in ambito sportivo: in ogni caso dovrebbero essere severamente puniti. Infatti, ha causato un grande clamore, quando alcuni funzionari del Comitato olimpico cinese, durante un’ispezione effettuata ad Agosto 2006 presso il centro d’allenamento di atletica leggera (nella provincia cinese del Liaoning), hanno sequestrato prodotti illeciti (illegali) come l’eritropoietina (EPO) e testosterone, e aghi ipodermici trovati nel frigorifero dell’ufficio dell’allenatore (preside) Shao Huibin. Le autorità hanno trovato 300 dosi di EPO, 94 di testosterone e 124 di steroidi; inoltre 25 dosi (flaconi) di EPO e 141 dosi di steroidi anabolizzanti erano pronte per essere somministrate agli atleti fra i 15 e i 18 anni. L’accusa che viene mossa agli autori degli atti delittuosi è che i ragazzi che frequentavano la scuola (tra i 13 e i 19 anni) sarebbero stati dopati per migliorare le prestazioni sportive in vista dei campionati provinciali.
Per molti, il problema del doping è legato all’attività di alcuni medici senza scrupoli, a cui sono legati alcuni atleti e se non si riesce a spezzare questa catena sarà difficile che il doping possa subire una battuta d’arresto. Houlihan riporta da “Hormonal doping and androgenization of athletes, a secret program of the German Republic Government” il seguente commento degli autori, W.W. Franke & Berendonk: «Il ruolo che scienziati e medici hanno giocato in questo sistema clandestino è particolarmente triste, non solo perché questi professionisti hanno attivamente contribuito alla frode di livello mondiale, ma anche perché hanno violato l’etica medica e scientifica». Infatti, l’incremento della diffusione del doping nello sport, è stata possibile anche grazie all’avvento di medici che hanno scoperto di aver trovato nello sport una buona fonte di guadagno che gli avrebbe consentito di arricchirsi in modo facile e rapido.
Così, molti medici si sono trasformati in preparatori di atleti, le cui tecniche accompagnate da risultati eclatanti, sono state classificate come “moderne metodologie” che naturalmente hanno fatto presa in quegli sport molto popolari presso l’opinione pubblica.
Alla luce dei risultati agonistici rilevanti ottenuti da alcuni atleti, molti sport si sono dovuti inchinare a questi medici-scienziati, molti dei quali non facevano altro che introdurre il doping nello sport.
Agli inizi degli anni ‘80 e durante tutti gli anni ‘90, molti di questi medici hanno creato dei veri e propri laboratori-imprese, sfuggendo alle leggi ordinarie a cui riescono a sottrarsi ancora oggi.
Questi medici, sono riusciti a creare una fitta rete commerciale, costringendo di fatto, molti sport ad essere vincolati a queste organizzazioni che, con il passare degli anni, sono state prese in mano, anche dalla criminalità organizzata. L’ex pm di Bologna, Giovanni Spinosa, ha recentemente affermato per quanto riguarda il doping: «è un mercato con fatturato miliardario che trae la propria manovalanza dalla malavita organizzata e si dirama in una rete di connessioni e connivenze che vanno dal medico al farmacista complice, al portantino dell’ospedale che trafuga prodotti vietati, al gestore di palestre». «Molti di questi medici, sono passati alla storia per aver favorito e somministrato il doping nello sport. Il primo della lista dal punto di vista cronologico è il dottor Ziegler, che realizzò il potenziale distruttivo degli steroidi. Ben Johnson […] seguiva le direttive del suo medico, Jamie Astaphan. Negli Stati Uniti, negli anni ottanta, si calcola che vi erano almeno settanta medici della zona di Los Angeles che prescrivevano steroidi anabolizzanti agli atleti. Il dottor Ara Artinian di Toronto, che seguiva soprattutto giocatori di football americano e praticanti di body building, prescrisse più di 200.000 dollari di steroidi tra il 1981 e il 1988. La Commissione Black del senato australiano durante un’audizione scoprì che il 4% dei praticanti di body building in Australia ottenevano la fornitura di steroidi dai medici». Il Dottor Michele Ferrari, nell’ottobre 2004, è stato condannato in primo grado dal Tribunale di Bologna ad un anno di reclusione e 900 euro di multa. Michele Ferrari è stato ex assistente del Prof. Francesco Conconi, all’Università di Ferrara, noto per aver consigliato l’uso di EPO ed altri prodotti dopanti agli atleti suoi assistiti. Infatti, Michele Ferrari, era considerato uno dei medici sportivi più famosi del mondo per alcune discipline sportive. Nel corso degli anni a lui si sono rivolti alcuni dei più forti ciclisti professionisti, tra cui il texano Lance Armstrong (vincitore di sette Tour de France).
«A Michele Ferrari è attribuito lo slogan tanto in uso nel mondo dello sport: “è doping solo quello che risulta dai controlli».
Nelle motivazioni della sentenza, il Giudice Maurizio Passarin, ha scritto: «quando a ricorrere al doping sono, come nel caso del Dott. Ferrari, i migliori medici sportivi, quelli usciti dall’eccellenza di un centro di ricerca finanziato dallo stesso CONI, allora forse c’è veramente da temere che l’imbroglio, il volgare imbroglio, per quanto farmacologicamente raffinato, continuerà ad avere la meglio sull’effettivo valore degli atleti. C’è da temere che prevalga la cultura del “così fan tutti” e che, dietro le più o meno sincere affermazioni di principio, la convinzione aberrante resti quella che non sia possibile ottenere grandi risultati senza ausili farmacologici».
Nel maggio del 2005, il dottor Michele Ferrari, verrà assolto in appello, per prescrizione. A tale proposito va evidenziato che molte sentenze emesse dalla Suprema Corte di Cassazione, hanno indicato che il medico dello sport deve avere nei confronti dei suoi assistiti-atleti «maggiore diligenza» di un medico generico verso i suoi pazienti. Gli atleti che fanno parte di queste organizzazioni si giustificano sostenendo che “se lo fanno gli altri, lo devono fare tutti”, ed è naturale che i medici-preparatori hanno interesse a sostenere queste tesi, facendo si che il doping nello sport dilaghi sempre più.
Dinnanzi ad una realtà così evidente è necessario l’intervento della giustizia ordinaria, senza la quale non si può interrompere ed infliggere dei duri colpi a queste organizzazioni criminali. Il largo uso di sostanze dopanti, capaci (in grado) di migliorare la prestazione sportiva è fonte di preoccupazioni nell’intera società, per le gravi conseguenze spesso irreversibili per la salute. Nei giovani sportivi, la tentazione di utilizzare queste sostanze deriva dal desiderio del successo, perché la vittoria è considerata uno dei traguardi più importanti da raggiungere, poiché la nostra società premia il successo sportivo, con la fama (popolarità) e una posizione sociale ed economica invidiabile. Varie sono le motivazioni, che inducono il giovane sportivo a fare ricorso al doping; e che, in particolare, possono essere così riassunte:
1) il successo nello sport, viene considerato più importante delle gravi conseguenze che il doping può procurare alla salute; complicazioni che possono compromettere la crescita e la maturazione (sviluppo) dell’organismo. Spesso, per molti giovani, (adolescenti) l’uso del doping, coincide con il passaggio alla pubertà, “periodo in cui si definisce l’identità sessuale”, e che pertanto viene irrimediabilmente compromessa.
2) l’emancipazione dalla famiglia, diventa un bisogno, si cerca di conquistarla a tutti i costi e spesso al di fuori di essa ci si identifica con coloro che vengono considerati “miti”;
– gli adolescenti si preoccupano molto, forse troppo della loro immagine, dell’apparenza e quindi avere un fisico ben proporzionato, muscoloso, gratifica il giovane, e gli dà maggiore sicurezza;
Si assiste pertanto, ad una situazione in cui molti giovani pur non facendo parte del circuito delle competizioni ufficiali-agonistiche, fa comunque uso di sostanze dopanti.
Da un’indagine effettuata nel nostro Paese, risulta che i giovani dai 14 ai 18 anni, nella misura del 6% (ragazzi) e del 2% (ragazze) ha fatto uso, almeno una volta, di sostanze dopanti.
Questa è una percentuale piuttosto alta se la si confronta con quella di altri Paesi (ad esempio gli USA), in cui la pratica sportiva è molto più diffusa. Da questa indagine è emerso anche che il 30% dei giovani ha fatto uso di sostanze dopanti autonomamente, il 17% è stato spinto dal consiglio di un amico, il 14% da quello dell’allenatore, il 9% dal responsabile di una palestra, mentre il 18% dei giovani ha seguito il suggerimento ricevuto dal medico di famiglia o sportivo. La lotta al doping, passa attraverso un’attività di prevenzione di tipo educativo e formativo, per sconfiggere la “cultura del bisogno della vittoria ad ogni costo”, cioè quel comportamento che non accetta la sconfitta. Raffaele Alessandrini, ha scritto sull’osservatore Romano del 19 Dicembre 2004: «è ormai evidente la necessità che il fenomeno doping vada affrontato a livello educativo, essendosi imposto sul piano culturale, espressione di una visione del mondo consumistica, asservita alle logiche dell’apparenza, dell’esteriorità e del successo. Un successo da raggiungere con qualsiasi mezzo».
Una campagna di prevenzione deve essere rivolta soprattutto ai giovani e posta in essere dagli organismi competenti: in primis dal Ministero della Salute, dalla scuola, dall’Università, nonché dagli organismi sportivi istituzionali, il cui fine non deve limitarsi alla propaganda e alla diffusione di una disciplina sportiva.
I medici di famiglia, i professori e gli insegnanti di educazione fisica, dovrebbero essere i riferimenti per una campagna preventiva per la lotta al doping, anche se da una recente indagine, condotta dall’Istituto Italiano di Medicina Sociale, emerge che solo il 30% dei medici è in grado di offrire informazioni sul doping.
Il medico, dovrebbe essere sempre contrario a proporre sostanze dopanti, anche se ciò può comportare la perdita di pazienti.
Infatti, l’opera e la prestazione dei medici deve essere indirizzata sempre alla tutela della salute dell’individuo (assistito); e non va condiviso neanche il comportamento di coloro che credono di ridurre il danno, tollerando un comportamento sbagliato e limitandosi ad offrire siringhe sterili per iniettare le varie sostanze, per evitare, per lo meno il contagio da epatite virale o Hiv.. La campagna educativa e formativa contro il doping deve essere capillare, ma sono ancora assai pochi coloro che possono parlare con professionalità del problema doping e delle conseguenze dell’uso improprio di sostanze e di metodi dopanti. Quanti si impegneranno in questa missione, dovranno essere preparati e comunque dovranno essere affiancati da personale medico esperto che conosca gli effetti e i danni che possono derivare da un uso improprio. Gli insegnanti dovranno seguire dei corsi, sulle conseguenze negative che possono derivare dall’uso delle sostanze dopanti. Dovranno, infine, essere chiamati a collaborare, anche esperti di diritto in materia che forniscano le relative nozioni elementari. Il personale da utilizzare potrebbe essere ricercato tra i laureati (i docenti) del corso di laurea in Scienze motorie o i laureati in materie affini; gli specialisti di medicina dello sport, nonché il corpo docente di facoltà universitarie che siano in grado di occuparsi di questo tipo di problematiche. In Italia, il compito di promuovere campagne informative a tutela della salute e per la lotta al doping, spetta alla Commissione di vigilanza sul doping (CVD) e ai centri regionali antidoping, che sono stati istituiti recentemente, e che dovranno rivolgersi ai genitori, ai dirigenti sportivi, ai tecnici, alle società, e alle associazioni sportive.
In applicazione della legge n. 376/2000 che in materia di doping affida competenze scientifiche anche alle regioni, è sorto nel novembre 2005 il primo Centro Regionale Anti-Doping in Emilia Romagna, con sede a Modena, come servizio dell’azienda USL, presso il Centro di Medicina Sportiva. Detto centro, ha tra i suoi ruoli primari quello «della prevenzione ed ha proposto la programmazione di un elenco di esami biochimici, da suggerire agli atleti, caratterizzato da parametri indicativi dello stato di salute e dell’eventuale utilizzo di sostanze dopanti, tra le più comuni, senza ricercare direttamente le stesse, bensì effettuando una valutazione sull’indicatore biologico indiretto di potenziale assunzione». Tra i compiti dei centri regionali antidoping, vi è quello di controllo sulle competizioni sportive, attraverso laboratori autonomi, indispensabili (importanti) se si desidera fare una campagna di prevenzione e di tutela della salute. I requisiti organizzativi di cui devono essere dotate le strutture sono stabiliti dal Ministero della Salute. Il primo ostacolo da superare sarà predisporre la formazione del personale specializzato che dovrà operare in questi laboratori regionali, stabilire chi li accrediterà a livello internazionale; e conciliare l’attività di queste strutture con quelle già esistenti e facenti capo al CONI, senza dimenticare e sottovalutare che il CONI, le Federazioni sportive ad esso affiliate, e il CIO in realtà non vogliono affidare la politica, le strategie e l’antidoping a nessun ente estraneo alla propria organizzazione, perché desiderano sovraintendere a tutto ciò che direttamente o indirettamente li possa riguardare in modo da porre i problemi e le soluzioni come meglio credono, anzi il più delle volte il problema in questa spinosa materia, neanche viene sollevato.
Pietro Mennea
Campione olimpionico e recordman mondiale dei 200 m,
avvocato, docente universitario di diritto dello sport,
già parlamentare europeo