La paura del fallimento inaccettabile

Il protrarsi di una situazione in cui lo sport viene vissuto solo ed esclusivamente dal punto di vista competitivo, a livello intrapsichico fa sì che l´atleta non sia più in grado di sopportare la sconfitta e che per questo, nel corso degli anni faccia di tutto per continuare a risultare sempre il “vincente”. Non esiste perciò un piacere dato dall´attività che si pratica, ma solo quello derivante dal risultato: la vittoria

Le motivazioni psicologiche che spingono uno sportivo a fare uso di sostanze farmacologiche per migliorare la performance atletica e/o aumentare la massa muscolare sono molteplici e vanno dal desiderio di controllare il dolore e l’attivazione psicofisica, alla possibilità di aumentare la concentrazione e l´autostima. L’atleta che ricorre al doping ha solitamente una personalità che mal tollera lo stress della competizione e nella quale è frequente il pensiero dicotomico: “o vinco o perdo”. Arrivare secondo o non infrangere un record, viene vissuto come un fallimento inaccettabile. Tale caratteristica, unita, specie negli atleti d´elitè, alla dipendenza dal successo e dall’acclamazione del pubblico, sfocia in una sottomissione alla sostanza dopante difficile da gestire. Il protrarsi di una situazione in cui lo sport viene vissuto solo ed esclusivamente dal punto di vista competitivo, a livello intrapsichico fa sì che l´atleta non sia più in grado di sopportare la sconfitta e che per questo, nel corso degli anni faccia di tutto per continuare a risultare sempre il “vincente”; non esiste perciò un piacere dato dall´attività che si pratica, ma solo quello derivante dal risultato ottenuto: la vittoria. è fuor di dubbio, che l´uso di tali sostanze crei dipendenza sin dall´inizio della loro assunzione e comporti anche importanti, talvolta irreversibili, cambiamenti psicologici. I cambiamenti psicologici variano all´aumentare della dose assunta e sono sensibili all´interazione con altri farmaci di struttura simile o meno.

Alcuni effetti precoci presenti sin dall´inizio (aumento della motivazione, resistenza maggiore allo stress dato dagli allenamenti, uno stato di euforia unito ad un aumento, talvolta ai limiti delle manie di onnipotenza, della fiducia nelle proprie capacità), sono in sintonia con l´obiettivo di performance atletica, e perciò aumentano la cosiddetta “fiducia nella sostanza”, rendendo quasi impossibile l´interruzione dell´assunzione. Con un utilizzo più intensivo di tali sostanze, indipendentemente se ci riferiamo ad eccitanti quali efedrina, caffeina ed amfetamine o ad anabolizzanti steroidei androgeni o meno, compaiono effetti indesiderati quali irritabilità, insonnia, agitazione ed aumento della libido. Ad alte e prolungate dosi, gli effetti psicologici difficilmente sono reversibili e minano anche i rapporti sia con sé stessi che con gli altri. La perdita di giudizio obiettivo, la difficoltà di concentrazione, l’instabilità emotiva, mista ad una spesso incontrollabile aggressività, possono causare l´isolamento dell´atleta con periodi di depressione anche grave. Non è rara in questa fase la comparsa o un aumento dei conflitti relazionali e matrimoniali (Pope & Katz, 1998; Yates, 2000), come non lo è un comportamento tipicamente antisociale. Dati recenti indicano che tale fenomeno investe un numero sempre maggiore di giovani sportivi, infatti, gli adolescenti di sesso maschile che fanno uso di queste sostanze (Yesalis & Bahrke), vanno dal 3% al 12%, mentre le ragazze sono l´1%/2%: numeri sicuramente in difetto vista l´alta propensione a mantenere segreto l´uso di tali farmaci proibiti sia in ambiente professionistico, che in quello amatoriale.

Il “caso doping” ha ormai inquinato gran parte degli ambienti sportivi raggiungendo giovani e meno giovani e ad esso, pare non esservi rimedio, almeno non a breve termine. E´chiaro che davanti al dilagare di un fenomeno così grave, sorge spontaneo chiedersi: cui prodest? A chi giova? A che serve avere una massa di atleti che elevano artificialmente le proprie prestazioni e che gareggiano tutti sotto l´effetto di tali sostanze? Tanto varrebbe restare “natural” e confrontarsi in maniera sana visto che comunque il doping non è ormai un segreto sia fra i professionisti che, e duole dirlo, fra gli atleti “della domenica”. Forse questi interrogativi sarebbe corretto porgerli più che a noi stessi, alle industrie farmaceutiche, che tanto per fare un esempio, solo in Italia, producono tanto GH (ormone della crescita), quanto ne servirebbe ad un´intera popolazione di nani ipofisari. In conclusione, le conseguenze psicologiche del doping, specie in atleti cosiddetti “d´elìte”, sono anche connesse alla possibilità di subire accuse, derisioni e colpevolizzazioni da parte dell’opinione pubblica, come è accaduto nel corso di inchieste antidoping, che hanno causato un crollo inesorabile dell’immagine pubblica (e anche dell’identità privata ad essa strettamente collegata) di molti atleti. L´atleta diventa una vittima della propria paura di perdere e, nel miraggio della vittoria perenne, mette in atto un comportamento autodistruttivo: meglio ardere per un secondo o spegnersi lentamente?

Emanuel Mian
Psicologo, presidente dell’Istituto
internazionale sul disagio e la salute nell’adolescenza

Massimiliano Fanni Canelles

Viceprimario al reparto di Accettazione ed Emergenza dell'Ospedale ¨Franz Tappeiner¨di Merano nella Südtiroler Sanitätsbetrieb – Azienda sanitaria dell'Alto Adige – da giugno 2019. Attualmente in prima linea nella gestione clinica e nell'organizzazione per l'emergenza Coronavirus. In particolare responsabile del reparto di infettivi e semi – intensiva del Pronto Soccorso dell'ospedale di Merano. 

Rispondi