Talvolta si ricorre all’integrazione della razione alimentare nel caso non sia possibile, con i soli alimenti, soddisfare i bisogni nutrizionali. Pur non configurandosi come doping, se l’assunzione di integratori provoca un aumento delle quantità disponibili per l’organismo di gran lunga superiore al fabbisogno, siamo di fronte a veri e propri interventi farmacologici
Negli ultimi anni l’uso di sostanze dopanti, sia in ambito agonistico sia non agonistico, ha avuto un forte incremento, non solo tra chi pratica sport ad alto livello, ma anche tra chi pratica lo sport a livello amatoriale. È soprattutto l’atleta in formazione che può essere indotto all’uso di sostanze con effetto doping, sia per imitazione di atleti famosi, sia perché sottoposto a crescenti pressioni da parte di genitori, allenatori e, non da ultimo, coetanei, per il miglioramento a tutti i costi delle prestazioni atletiche. Ci si avvicina all’uso di farmaci ed integratori dietetici ancor prima di apprendere le tecniche basilari dell’allenamento. Occorre considerare che gli integratori alimentari hanno lo scopo di integrare la razione alimentare nel caso non sia possibile con i soli alimenti soddisfare i bisogni nutrizionali; pur non configurandosi come doping, qualora l’assunzione di integratori provochi un aumento delle quantità disponibili per l’organismo di gran lunga superiore al fabbisogno (per alcune sostanze si arriva fino a 1.000 volte il fabbisogno) siamo di fronte a veri e propri interventi farmacologici.
L’uso di tali sostanze ha raggiunto livelli preoccupanti anche tra i giovanissimi. In una ricerca compiuta a fine duemila fra 12.000 scolari delle scuole medie romane (11-13 anni), emerge chiaramente come l’uso di prodotti come la creatina e gli aminoacidi a catena ramificata ad “integrazione” dell’alimentazione, ma in realtà assunti nella ricerca di ipotetici miglioramenti nelle prestazioni sportive, costituisca un’abitudine diffusa oltre ogni aspettativa (7,1% degli intervistati) ed estremamente pericolosa prima di tutto per le implicazioni sanitarie. A questi dati nazionali fanno riscontro i risultati di una revisione di studi in materia di doping da cui è emerso che negli adolescenti praticanti attività sportiva agonistica la prevalenza di uso di sostanze dopanti va dal 3% al 5%, mentre tra gli adulti che praticano sport amatoriali va dal 5% al 15%. Secondo l’ISTAT gli italiani che praticano regolarmente un attività sportiva sono circa 18 milioni, tra questi gli assuntori, saltuari e assidui, di sostanze dopanti possono essere stimati in quasi due milioni. Considerando i gravi effetti sulla salute che deriva dall’uso di tali sostanze possiamo parlare di un vera emergenza sanitaria. Un argine a questo fenomeno potrebbe venire dalla formazione di una cultura antidoping, già dall’età scolare, che aiuti i giovani a difendersi quando, sempre più di frequente, questi venissero a contatto con sostanze dopanti o con chi le promuove.
I veicoli delle informazioni sul doping possono essere la scuola, le associazioni sportive, i media. Molti sforzi sono fatti nel nostro paese per diffondere un cultura anti-doping. Nel volume pubblicato di recente dall’Istituto Italiano di Medicina Sociale (IIMS) sono recensite oltre 30 iniziative promosse da scuole, università, enti locali e associazioni sportive volte ad indagare e far conoscere l’universo delle sostanze dopanti. Un ruolo di rilievo potrebbe essere svolto dai medici di base (MDB), che tra l’altro certificano l’idoneità alla pratica degli sport non agonistici. L’uso di sostanze dopanti tra atleti agonisti e non ha raggiunto livelli tali da doversi considerare un fenomeno epidemico, che non può essere ignorato da chi ha la responsabilità di tutelare la salute pubblica. È compito dei medici di base e dei pediatri occuparsi della salute di coloro che praticano attività sportiva non agonistica, accertandone l’idoneità generica in relazione all’attività che dichiarano di voler intraprendere. Il medico per poter valutare l’integrità psicofisica dell’atleta deve, quindi, possedere una adeguata preparazione scientifica, aggiornata e specifica. Egli deve, inoltre, conoscere la natura e gli effetti dei farmaci dopanti, le loro indicazioni e controindicazioni, le interazioni e le possibili reazioni individuali. Un primo passo per il coinvolgimento diretto dei MDB è stato intrapreso dall’IIMS che con uno studio condotto su un campione di 1.000 medici in quattro province, Novara, Padova, Perugia e Napoli, ha investigato attraverso un questionario strutturato le conoscenze sul doping, la consapevolezza della sua diffusione e la disponibilità a partecipare a campagne di prevenzione. Lo studio ha evidenziato come tra i MDB esista un’evidente percezione dell’entità del fenomeno doping, ma allo stesso tempo come molti di questi si sentono impreparati sul tema.
Le conoscenze dei MDB sugli integratori alimentari sono senz’altro migliori di quelle manifestate sul doping. Gli intervistati sono ben consci che solo una minima parte degli assuntori utilizza tali sostanze per reintegrare stati di carenza, mentre la gran parte spera in un miglioramento delle prestazioni, della propria composizione corporea e del proprio aspetto fisico. Ciononostante, la maggioranza dei MDB intervistati dichiarano di prescrivere integratori agli adulti che praticano sport più di ogni altro farmaco. Si può dedurre che il MDB, pur non suggerendo l’uso degli integratori, diventi di fatto un prescrittore acritico di tali prodotti.
L’uso di integratori alimentari andrebbe prescritto solo da personale medico in situazione metaboliche che ne giustifichino l’uso, prescrivendone la somministrazione al solo scopo di migliorare la prestazione dello sportivo. Tale indicazione è tanto più vera se si considera che, se trova giustificazione la necessità di somministrare integratori ad atleti sottoposti ad elevati carichi di lavoro, anche a scopo preventivo, nell’interesse esclusivo della loro salute, tale giustificazione è totalmente assente nella pratica sportiva giovanile, ove bisogna porre molta più attenzione anche ai danni indotti da sovraccarichi eccessivi in soggetti in età evolutiva.
L’assunzione non giustificata di integratori è quindi inutile e può essere dannosa., Pur non configurandosi come doping, l’assunzione di integratori è una pratica che ha forti affinità con la cultura del doping, cioè con l’idea di intervenire farmacologicamente sul proprio corpo allo scopo di aumentarne le prestazioni. I risvolti sanitari dell’attività sportiva, in termini di prevenzione primaria, ma anche come fattore di rischio per eventi traumatici e acuti, sono del tutto evidenti. I medici di base garantiscono un assistenza capillare e hanno anche la responsabilità di indicare agli assistiti gli sport più consoni alle loro condizioni e informarli correttamente sull’uso di sostanze dopanti ed integratori. È quindi sempre più evidente la necessità di dare ai medici di base nozioni di medicina dello sport, purtroppo ancora non previste dal curriculum di studi universitari, e di coinvolgerli attivamente nella lotta al doping.
La stessa Organizzazione Mondiale della Sanità considera il doping un vero e proprio problema di salute pubblica. Ne consegue che è necessario trattarlo con i dovuti mezzi analizzandone i determinanti, i fattori di rischio, gli aspetti clinici, le complicazioni immediate e a lungo termine, preoccupandosi della presa in carico di chi ne abusa dal punto di vista terapeutico e sociale.
Aldo Rosano
Ricercatore dell’Istituto Italiano di Medicina Sociale