Atleti come cavie

In certe discipline l’uso di sostanze dopanti viene praticamente imposto e in ciclismo, atletica, calcio e altro il doping è diventato un virus ormai radicato e difficile da combattere

Il doping nello sport d’alto livello rappresenta a tutt’oggi un problema che si cerca di debellare, con sempre maggiore successo, mediante controlli in allenamento da parte non solo delle organizzazioni nazionali, ma anche delle Federazioni internazionali competenti. Tuttavia, in molti Paesi, non vengono ancora effettuati controlli antidoping soddisfacenti; in particolare sussistono gravi carenze per quanto concerne le misure di controllo da mettere in atto in allenamento. Bisogna mettere allo scoperto meccanismi di carattere economico che sono alle radici dell’induzione all’uso di sostanze dopanti. Io ho la fortuna di appartenere a una categoria sportiva appena sfiorata dal doping (almeno in Italia), ma in certe discipline praticamente te lo impongono. Infatti in alcuni sport (vedi ciclismo, atletica, calcio ecc.) il doping è diventato un virus ormai radicato e difficile da combattere. Questo è avvenuto, a parer mio, a causa dei troppi interessi economici in gioco che portano ad esasperare il tutto in funzione di più spettacolarità quindi più popolarità e quindi più soldi.

Tutto ciò porta ad usare gli atleti come delle cavie ed a farli entrare in un sistema dal quale è difficile uscire (in alcuni casi gli atleti sono all’oscuro del tipo di sostanza che gli viene somministrata). Nella pallavolo,per fortuna, non presenzia un problema di proporzioni così grandi. Io pratico questo sport da quasi 15 anni giocando a medio-alto livello (A2-B1), e non mi è mai capitato di assistere o essere indotto all’uso di sostanze dopanti. Questo non significa che non ci sia il problema ma solo che è molto ridotto, dato che: gli interessi in gioco sono minori di altre discipline, la disciplina stessa non incentiva l’uso di sostanze e merito anche di un linea di pensiero che, grazie alla nazionale degli anni d’oro guidata dal sig. Velasco, si è diffusa nel mio sport.

IL NON VOLER CREARE LA CULTURA DELL’AIUTO.
Questo concetto è molto formativo non solo per lo sportivo d’alto livello ma anche per l’individuo in genere. In sostanza avere comunque la certezza che ci sia l’aiuto esterno (le sostanze dopanti) in caso di non perfetta condizione,porta una rilassatezza a livello mentale (sufficienza, deconcentrazione, minore caparbietà) dell’atleta che lo porta a non centrare gli obbiettivi che con le sue forze avrebbe raggiunto e dunque ricorrere al doping creando un circolo vizioso. Tale concetto, secondo il mio modesto parere, andrebbe diffuso in tutti gli ambienti sportivi di qualsiasi livello. Ma, soprattutto, andrebbe insegnato ai giovani facendogli capire che gli obbiettivi sportivi si raggiungono usando tutte le proprie risorse fisiche e mentali,e che la soddisfazione che si ottiene al raggiungimento di un traguardo (senza “l’aiutino”) è impagabile. Un altro problema che andrebbe toccato è il costo degli esami antidoping. Infatti spesso le federazioni non riescono ad effettuare molti controlli a causa dei costi degli stessi. Bisognerebbe dunque incentivare i controlli (e quindi combattere il doping) mettendo a disposizione delle federazioni degli staff di specialisti che abbiano costi nulli o molto limitati. Ho avuto il piacere di allenarmi e giocare con diversi campioni di diverse nazionalità ed attraverso i loro racconti ho conosciuto realtà diverse. Ad esempio in alcuni paesi il doping nella pallavolo è molto più diffuso (casualmente negli ultimi anni in questi paesi girano cifre astronomiche per il volley) e che quasi tutti gli atleti stranieri che vanno a giocare lì per qualche loro club, non sanno che a loro insaputa gli vengono somministrate sostanze dopanti. Molti club russi fanno credere (a detta di miei colleghi che hanno militato lì per qualche stagione) all’atleta di dargli normali integratori alimentari (sali minerali, amminoacidi ecc.) mentre non è così.

Insomma il problema e molto vasto e colpisce tutti chi più chi meno e tutto questo, spesso, a causa del business che c’è dietro le società sportive e le federazioni. È chiaro che senza il denaro non sarebbe possibile dar vita ai campionati ed alle varie manifestazioni nazionali ed internazionali, ma il gioco vale la candela? Le persone che seguono lo sport lo seguirebbero ancora con la stessa passione sapendo cosa c’è dietro? Ma ancora più importante i genitori sarebbero ancora entusiasti di mandare i loro figli ad intraprendere una disciplina sportiva? Certo, queste domande sono un po’ drastiche ma, purtroppo, è in questa direzione che si sta andando cioè si sta togliendo credibilità allo sport ed agli atleti che lo praticano (e non dimentichiamo la salute degli atleti che viene minata drasticamente). Per non pensare a tutti gli sportivi che militano in serie dilettantistiche che si dopano per cercare di accedere al professionismo o per emulare i grandi campioni senza considerare che, ad alto livello, ci sono dei medici che seguono gli atleti mentre loro improvvisano mettendo a repentaglio la propria salute ed in alcuni casi la vita.

Lo sport deve rimanere un piacere sano e formativo che rappresenti dei valori ben precisi quindi non deve essere contaminato dal doping.

 Valmi Fontanot
Pallavolista del “Volley Brolo” serie B1

Massimiliano Fanni Canelles

Viceprimario al reparto di Accettazione ed Emergenza dell'Ospedale ¨Franz Tappeiner¨di Merano nella Südtiroler Sanitätsbetrieb – Azienda sanitaria dell'Alto Adige – da giugno 2019. Attualmente in prima linea nella gestione clinica e nell'organizzazione per l'emergenza Coronavirus. In particolare responsabile del reparto di infettivi e semi – intensiva del Pronto Soccorso dell'ospedale di Merano. 

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