Nel senso moderno del termine, il doping va fatto risalire alla fine del XIX secolo, epoca in cui venne messo a disposizione degli atleti un armamentario farmacologico straordinariamente potente e selettivo. In tal senso, è possibile tracciare un parallelismo tra l’evoluzione del doping nell’età moderna e nel corso del XX secolo e l’evoluzione e la diffusione delle sostanze d’abuso
Gran parte delle numerose trattazioni sul doping prende avvio facendo riferimento ai tempi in cui gli atleti, per migliorare le proprie prestazioni fisiche, ricorrevano all’uso di estratti vegetali dalle decantate proprietà stimolanti, ovvero seguivano regimi dietetici con improbabili proprietà energizzanti, a base di grandi quantità di fichi secchi, carne cruda e vino rosso (Galeno, ca. 130-200 d.C.). L’affermazione “l’atleta per divenire forte non può vivere a lungo” attribuita a Ippocrate (ca. 460 – 370 a.C) ci appare significativa, e in qualche modo profetica, di quanto sarebbe accaduto nei secoli successivi.
Nel senso moderno del termine il doping deve essere fatto risalire alla fine del XIX secolo, epoca in cui venne messo a disposizione degli atleti un armamentario farmacologico straordinariamente potente e selettivo. In tal senso, è possibile tracciare un parallelismo tra l’evoluzione del doping nell’età moderna e nel corso del XX secolo e l’evoluzione e la diffusione delle sostanze d’abuso: la capacità infatti di estrarre in forma purificata e/o di sintetizzare sostanze farmacologicamente attive ha fornito insperati e insospettabili strumenti capaci di alterare profondamente le prestazioni atletiche (doping) ma anche il comportamento (tossicodipendenza) di un individuo. Il ricorso al doping viene generalmente spiegato tenendo conto di numerosi e complessi fattori che richiederebbero da soli un’accurata analisi che esula, tuttavia, dal presente discorso.
In questa sede vogliamo almeno richiamare quelli che riteniamo più significativi: la profonda crisi dell’etica sportiva; l’elevata professionalizzazione degli atleti e l’enorme interesse economico suscitato dallo sport; la fortissima pressione dei media e del pubblico; il diffuso convincimento che il doping migliori le prestazioni e che anche gli avversari vi facciano ricorso (si veda in proposito la tabella 1 che riporta i risultati di uno studio condotto in Italia tra giovani di età compresa tra i 12 e i 19 anni). Questo insieme di fattori deve sfortunatamente essere trasferito, con i dovuti correttivi, dal cosiddetto sport di èlite agli sport praticati a livello amatoriale, non agonistico e nei settori giovanili, dove l’emulazione dei campioni e la pressione di allenatori, dirigenti e talvolta familiari espongono i giovani atleti al rischio di ricorrere a sostanze vietate.
In questo contesto si inserisce un altro fenomeno noto come doping cosmetico. Questo interessa fasce sempre più estese di giovani e conferma ancora di più come nella nostra società farmacocentrica (dove si tende a risolvere i problemi di natura non solo medica con un massiccio ricorso ai farmaci), l’uso di sostanze vietate si accompagna tanto nella pratica sportiva quanto nel body shaping (modellamento del corpo) alla sottovalutazione e più spesso alla totale ignoranza di numerose reazioni avverse.
In accordo con la American Academy of Pediatrics (AAP) che ufficialmente denuncia la circostanza per la quale “un significativo numero di adolescenti non coinvolti a livello agonistico utilizza sostanze destinate al miglioramento delle performances”, una recente indagine pubblicata dall’organo ufficiale della AAP (Calfee and Fadale, Pediatrics, 2006) ha rilevato come un numero sempre crescente di adolescenti americani ricorra all’uso di steroidi anabolizzanti (testosterone) e dei loro precursori (androstenedione e diidroepiandrosterone), dell’ormone somatotropo (ormone della crescita – hGH) e di alcaloidi dell’Ephedra Sinica (efedrina e composti analoghi). Questo preoccupante quadro della situazione è confermato dal “Monitoring the future: National Results on Adolescent Drug Use?” rapporto annuale del National Institute on Drug Abuse (NIDA) sull’Uso di sostanze da parte dei giovani americani, che sottolinea nel 2006 percentuali d’uso in crescita, a fronte di un’aumentata facilità nella reperibilità delle sostanze e di una ridotta percezione del rischio conseguente al loro utilizzo. In sintesi ciò che risulta evidente è che l’assunzione di steroidi e di ormone della crescita in particolare, riguarda non soltanto i giovani impegnati nella pratica sportiva a livello agonistico ma più diffusamente giovani con problemi comportamentali quali “limited coping strategies and social skills” (giovani con compromesse capacità reattive e di socializzazione), che li espongono a maggiore rischio di utilizzo di sostanze con finalità di doping cosmetico.
La situazione sul versante europeo non appare meno preoccupante. Uno studio francese (Morente et al., Addictive Behaviors, 2005) condotto in sei Università di Scienza dello Sport, somministrando un questionario agli studenti del secondo e terzo anno sull’uso della cannabis nella pratica sportiva e non, ha rivelato un’alta correlazione tra l’uso di cannabis fuori dallo sport (for relaxing and forgetting problems – per rilassarsi e per allontanarsi dai problemi) e il suo uso nella pratica sportiva (performance enhancer – miglioratori delle performances) con una reciproca influenza dell’uso (di cannabis) nello sport sull’uso fuori dallo sport e viceversa. La situazione tedesca è descritta dettagliatamente da un recente studio (Wanjek et al., Int. J. Sports Med., 2007) che denuncia un uso di sostanze proibite da parte del 15% dei 2319 adolescenti intervistati, con una distribuzione percentuale d’uso pari allo 0.7% per gli steroidi anabolizzanti, allo 0.4% per l’ormone della crescita, allo 0.3% per l’eritropoietina e al 13.2% per la cannabis. Come detto, le ragioni per cui un individuo assume farmaci senza prescrizione medica e con presunte finalità di doping (sportivo, amatoriale, cosmetico etc.) possono variare molto da persona a persona, ma hanno in comune l’ignoranza o quanto meno la grave sottovalutazione delle conseguenze – gli effetti avversi a breve e a lungo termine – che invariabilmente si accompagnano all’assunzione non terapeutica dei farmaci.
L’eritropoietina (la famosa EPO più volte assurta agli onori della cronaca recente per le vicende legate a famosi ciclisti) è un farmaco che trova indicazioni terapeutiche nel trattamento di forme molto gravi di anemia e in alcune pratiche chirurgiche ortopediche e cardiache, per la sua proprietà di stimolare la produzione di globuli rossi da parte del midollo osseo e pertanto di arricchire il sangue di emoglobina e ossigeno. La sua somministrazione sotto il controllo medico prevede un monitoraggio sistematico di tutti i parametri ematologici e l’eventuale correzione del regime terapeutico. Gli sportivi che si dopano con l’eritropoietina lo fanno per aumentare la loro “cilindrata aerobica”, per aumentare cioè la quantità di ossigeno veicolata dal sangue durante prove di durata e resistenza come, per esempio, nello sci di fondo o nel ciclismo. Le reazioni avverse che si accompagnano all’uso dell’eritropoietina sono tutte conseguenze dell’effetto di concentrazione o, come si dice, “ispessimento” del sangue e vanno dall’ipertensione arteriosa (con un’incidenza variabile dall’1 al 30%) alla tossicità cardiovascolare caratterizzata da accidenti ischemici, infarto miocardico, infarto cerebrale e trombosi venosa profonda. Non meno preoccupante appare la situazione sull’insidioso versante degli steroidi anabolizzanti. Impiegati per modellare e accelerare surrettiziamente la crescita delle masse muscolari (attraverso un’incrementata sintesi proteica a livello della muscolatura scheletrica), gli steroidi anabolizzanti o i loro precursori sono anche assunti dagli sportivi per la loro proprietà di fare aumentare la forza e la resistenza muscolare, la resistenza ad allenamenti e impegni agonistici sempre più frequenti e la performance aerobica.
Il tutto a dosaggi da 5 a 10 volte superiori a quelli che si utilizzerebbero in terapia per trattare disturbi ormonali quali ipogonadismo, endometriosi o tumore della mammella. Quanto agli effetti avversi degli steroidi anabolizzanti basterebbe citare la cronaca nostrana della morte di un giovane body builder per miocardiopatia dilatativa ed elencare le gravi conseguenze a livello cardiovascolare (ictus, infarto, ispessimento della parete ventricolare sinistra), epatico (tumori, iperplasia nodulare focale, colestasi) e a carico del sistema nervoso centrale (euforia, mania, aggressività, depressione, dipendenza psichica). Inoltre, mentre la cronaca quotidiana segnala le vicende di questo o quel campione (punta dell’iceberg), troppo spesso tralascia di mettere in evidenza le dimensioni sommerse del fenomeno, delle quali possiamo avere una misura indiretta dall’entità dei furti di farmaci dopanti nonché dei sequestri operati dalle forze dell’ordine, che sono arrivate a confiscare in una sola circostanza un quantitativo dell’ordine di milioni di confezioni di eritropoietina per un valore di svariati milioni di euro, stimato sufficiente a dopare 50.000 atleti per un’intera stagione agonistica. La carenza di informazione è testimoniata anche da due indagini indipendenti promosse dalla Commissione di Vigilanza sul Doping (CVD), istituita dal Ministero della Salute, dalle quali risulta che i giovani italiani possiedono conoscenze fortemente inadeguate sulle sostanze dopanti meno note (si veda la tabella 2). A questi aspetti si aggiunge quello della continua rincorsa sul filo dell’interpretazione della normativa tra le pratiche mediche lecite e gli sviluppi analitici per l’individuazione dell’uso di sostanze dopanti da una parte, e l’uso per finalità illecite e lo sviluppo di metodi per eludere i controlli dall’altra. Il doping, in altre parole, sempre più prepotentemente pone il problema di come separare lo sviluppo della ricerca farmacologica di sostanze progettate e realizzate per fini terapeutici dalla loro applicazione illecita. Questo dilemma è ancora oggi ben lungi dal trovare una soluzione. Lo studio e la formazione culturale degli allenatori e degli educatori, prima ancora che degli atleti e dei ragazzi, sollecita prepotentemente un’opera di divulgazione di una cultura scientifica ancora oggi colpevolmente assente dalle nostre scuole e dalle nostre famiglie.
Elio Acquas
Professore associato dipartimento di tossicologia e centro di eccellenza per lo studio
della neurobiologia della tossicodipendenza,
università degli Studi di Cagliari