Ulteriormente favorito dalla dismorfofobia muscolare giovanile, l’uso delle sostanze dopanti si è diffusa dal “ristretto” mondo degli atleti professionisti di vertice agli atleti amatoriali, ai giovani e finanche ai bambini. Alla diffusione del doping ha anche contribuito il colpevole ritardo delle autorità sportive mondiali nel contrastarlo
Benché il fenomeno del doping abbia origini molto lontane, di fatto riconducibili alle prime “gare sportive” organizzate a memoria d’uomo, è indubbio che esso sia diventato un problema sociale soltanto negli ultimi decenni. A ciò hanno contribuito la trasformazione dello sport da gioco di pochi a spettacolo di massa, gli enormi interessi economici coinvolti, una mentalità farmaco-centrica in cui prevale l’idea che “ci sarà pure un farmaco per risolvere il problema”, la spinta delle ditte produttrici di farmaci e integratori, la trasformazione dei valori della società con l’esaltazione della “cultura dell’immagine” e l’accettazione del principio per cui per emergere e guadagnare si è disposti a qualsiasi compromesso o “imbroglio”. L’edonismo sportivo della fine degli anni ’80 e dei primi anni ’90 ha portato ad enfatizzare gli aspetti estetici del corpo favorendo l’affermazione di canoni fisici di muscolarità. Ulteriormente favorito dalla dismorfofobia muscolare giovanile, l’uso delle sostanze dopanti si è diffusa dal “ristretto” mondo degli atleti professionisti di vertice agli atleti amatoriali, ai giovani e fin anche ai bambini.
Alla diffusione del doping ha anche contribuito il colpevole ritardo delle autorità sportive mondiali nell’affrontare e contrastare il doping. Come non ricordare, a puro titolo esemplificativo, che gli steroidi anabolizzanti sono stati inclusi dal Comitato Olimpico Internazione (CIO) tra le sostanze vietate solo nel 1974, dopo almeno venti anni di loro utilizzo in molte discipline sportive. Oggi, nonostante il problema del doping sia ampiamente trattato dai mass-media, nonostante l’istituzione della World Anti Doping Agency (WADA), il miglioramento e l’ampliamento dei controlli anti-doping e l’istituzione di pene più severe per i casi di positività, non di meno si osserva che un certo numero di atleti continua ad utilizzare farmaci in modo improprio per ottenere un beneficio sportivo illecito.
Come farmacologi non possiamo esimerci dal far presente che tutte le sostanze dopanti (specialmente quando utilizzate nelle dosi in cui manifestano effetti dopanti) causano gravi danni alla salute. Per gli steroidi anabolizzanti: cardiomiopatia, infarto del miocardio, carcinoma della prostata, impotenza, atrofia dell’utero, chiusura prematura dell’epifisi nei bambini, aggressività, paranoia. Per le amfetamine: aggressività, anoressia, ipertermia, collasso circolatorio, convulsioni, emorragia cerebrale, infarto del miocardio, dipendenza fisica, allucinazioni. Per l’eritropoietina: convulsioni, embolia polmonare, infarto del miocardio, ictus, anemia post-trattamento. Per l’ormone della crescita: carcinoma del colon, acromegalia, cardiomegalia, diabete. Abbiamo qui citato i possibili effetti pericolosi (talvolta mortali) delle sostanze dopanti più diffuse. Ma la lista delle sostanze e dei rischi ad esse connessi è ben più ampia e talvolta anche al di fuori dell’immaginazione; è questo il caso del doping genetico, di cui non sappiamo se e quanto sia già pratica corrente.
è importante considerare che spesso questi gravi effetti negativi sulla salute si manifestano a distanza di anni dall’assunzione della sostanza e che quindi l’atleta non ha percezione del male che si sta facendo. Ciò non dovrebbe costituire “scusante” in quanto la pratica del doping porta con se un veleno ben più rilevante e sicuramente noto a tutti: l’emulazione. I vantaggi mediatici (oltre che economici) che derivano dalle imprese sportive rendono di fatto il “campione” personaggio pubblico e “simbolo da emulare”. Il campione sa che il suo comportamento (sia nella gara che nella vita) è preso a modello dagli sportivi amatoriali/dilettanti, specialmente da quelli con minori capacità critiche: i giovani.
Quale è la diffusione del doping tra gli adolescenti? Quali sostanze vengono utilizzate? Quali le motivazioni che spingono all’uso?
Non è semplice rispondere a queste domande in quanto gli studi disponibili non sono molti. Inoltre le metodiche d’indagine, basate su interviste e/o questionari, presentano gli ovvi limiti legati all’omertà/vergogna associate all’utilizzo di pratiche illecite. L’unico sistema inoppugnabile sarebbe quello di determinare l’effettiva assunzione di una sostanza dopante attraverso l’esecuzione a tappeto di test antidoping. Tale pratica è di fatto irrealizzabile, non fosse altro che per motivi economici. Di conseguenza, quasi tutti gli studi si basano su interviste strutturate, in cui si chiede (più o meno direttamente) se si è fatto ricorso a sostanze dopanti (auto-denuncia) o se si conosce qualcuno che fa uso di sostanze dopanti (uso proiettato). Va ricordato che l’approccio della “auto-denuncia” comporta stime delle percentuali di utilizzatori di sostanze dopanti che sono generalmente più basse rispetto a quelle che si ottengono con “l’uso proiettato”.
Al di là dei limiti intrinseci di questi tipi di indagine, i dati disponibili nella letteratura internazionale sono comunque significativi ed evidenziano come il ricorso al doping tra gli adolescenti sia un problema rilevante. Una meta-analisi su 31 studi epidemiologici ha evidenziato una prevalenza del 3-5% di ricorso agli anabolizzanti nei bambini a partire dall’età di 8 anni. Lo studio ha anche dimostrato un maggior ricorso alle sostanze dopanti in chi pratica sport a livello amatoriale rispetto agli atleti professionisti [Laure P. Presse Med 2000; 29:1365-72]. Negli USA almeno 375.000 ragazzi e 175.000 ragazze hanno utilizzato almeno una volta anabolizzanti [Elliot D, Goldberger L. Am J Sport Med 1996; 20:1552-63]. Dati altrettanto allarmanti si riscontrano in Canada, dove il Center for Drugs Free Sport ha stimato che nel 1993 circa 83.000 ragazzi tra gli 11 e i 18 anni hanno utilizzato anabolizzanti [Dawson RT. J Endocrinol 2001; 170:55-61]. In Svezia è stata riscontrata una prevalenza d’uso di anabolizzanti del 3,6% nei maschi di 16 anni e del 2,8% nei maschi di 17 anni. Dato ulteriormente allarmante di questo studio è il fatto che i ragazzi utilizzatori di anabolizzanti ricorrevano all’alcool e agli oppiacei più frequentemente della media dei coetanei [Nilsson S et al. Eur J Public Health 2001; 11:195-7]. In Francia un’analisi su un campione di 1.459 studenti praticanti sport ha portato alla conclusione che la percentuale di adolescenti che facevano uso di sostanze dopanti era pari al 4% [Laure P et al. Int J Sports Med 2004; 25:133-8]; un analogo studio condotto su 16.119 studenti canadesi stima in 2,8% la percentuale di utilizzatori di anabolizzanti [Melia P et al. Clin J Sport Med 1996; 6:9-14]. Analoghe indagini su studenti USA praticanti calcio evidenziano una percentuale di utilizzatori di anabolizzanti pari al 6,3% [Stilger VG, Yesalis CE. J Community Health 1999; 24:131-45].
Anche in Italia sono state condotte simili indagini epidemiologiche tra gli adolescenti e i risultati sono assolutamente confrontabili con quelli sopra riportati. Una ricerca della ASL 6 di Livorno del 2005 [Becherini D e coll., Unità Funzionale di Medicina dello Sport], basata su 1.248 questionari compilati da studenti della seconda classe delle medie superiori, evidenzia che circa il 2% dei giovani per migliorare la propria prestazione fisica ricorre a farmaci o integratori (non necessariamente considerati dopanti dalla WADA); la percentuale sale a circa il 12% come uso proiettato. In una indagine simile da noi condotta nelle Scuole Medie di Verona, il ricorso al doping (come uso proiettato) tra gli adolescenti è risultato superiore al 25%.
In conclusione, nonostante le limitazioni metodologiche e il numero relativamente limitato di studi condotti, si può affermare che il fenomeno è sicuramente diffuso con percentuali d’utilizzo in età giovanile stimabile in Italia intorno ad almeno il 2-5%. Con una popolazione di età inferiore ai 15 anni pari a circa 10 milioni, gli adolescenti italiani coinvolti sono quindi 200-500 mila! Percentuali ancora più elevate si hanno in specifici contesti (es. palestre, ciclismo, sport individuali). Come Facoltà di Scienze Motorie dell’Università di Verona da alcuni anni ci stiamo occupando del problema della diffusione del doping tra gli adolescenti e delle strategie da mettere in atto per contrastarlo. Nel 2004 abbiamo svolto un’indagine conoscitiva tra gli studenti delle classi III e IV delle Scuole Medie Superiori della Provincia di Verona con l’obiettivo di valutare il grado di conoscenza, le opinioni e i comportamenti degli adolescenti nei confronti del doping e dei farmaci in generale [Leone R, Fumagalli G. In: Sport Formazione Umana Società. Padova: CLEUP, pp. 235-250, 2004]. L’analisi è stata fatta su un campione utile di 969 giovani che è rappresentativo dell’intera popolazione studentesca della provincia di Verona compresa nella fascia III e IV Media Superiore (livello di confidenza del 95% e margine di errore del 3%; età media del campione: 16,8 anni). I due dati più interessanti dell’indagine sono: 1) la scarsa conoscenza dei giovani sulle sostanze dopanti (e sui farmaci in genere) e sui loro effetti (ad esempio solo il 28% degli intervistati sa come funziona l’eritropoietina); 2) l’elevata percentuale di giovani con un atteggiamento ambiguo (16,1%) o decisamente favorevole (13,5%) nei confronti del doping. è interessante notare che gli atteggiamenti non contrari al doping sono più frequenti, in modo statisticamente significativo, tra i maschi che praticano sport (complessivamente quasi il 38%).
Sulla base di questa e di altre indagini da noi condotte in diversi ambiti (es. palestre) e sport (es. nuoto, ciclismo, arti marziali) e che hanno costituito oggetto di tesi di laureandi in Scienze Motorie, abbiamo attivato un programma di lotta al doping che si basa innanzitutto sulla realizzazione di interventi formativi/informativi nella scuola e nel mondo sportivo rivolte sia a studenti ed atleti che ai loro docenti e allenatori. In questa strategia di formazione/informazione rientra la realizzazione di un corso on-line [https://fad.motorie.univr.it/dopingnograzie], realizzato in collaborazione con l’Istituto Superiore della Sanità e il finanziamento della “Commissione per la vigilanza ed il controllo sul doping e per la tutela della salute nelle attività sportive”. Rivolto prioritariamente agli insegnanti e agli operatori sportivi (allenatori, dirigenti, preparatori, ecc.), il corso consente di raggiungere un livello di informazione/formazione sull’argomento utile “agli adulti” per promuovere e coordinare attività di lotta al doping direttamente “condotta dai giovani” (vedi figura sotto, prodotta dagli studenti di un liceo artistico veronese a seguito di un intervento della Facoltà in collaborazione con i loro docenti di educazione fisica). Crediamo infatti che solo attraverso un continuo intervento educativo a tutti i livelli (scuola, famiglia, mondo dello sport) e la partecipazione attiva dei giovani si possa operare quel cambiamento culturale che potrà portare a riscoprire gli aspetti positivi delle attività motorie e sportive e, di conseguenza, ad abbandonare le facili scorciatoie del doping.
Indipendentemente dal metodo educativo che si vorrà utilizzare, rimane importante adottare nella lotta al doping un approccio scientifico che consenta di definire efficacia, fattibilità e sostenibilità (anche economica) dei vari interventi. Solo l’approccio scientifico è in grado di togliere il problema del doping dalla sfera dell’emotività mediatica per ricondurlo alla sua reale essenza: una questione culturale di rapporto tra corpo e mente e, soprattutto, una questione di dialogo e apertura nei confronti dei giovani.
Guido Fumagalli
Professore ordinario di farmacologia,
preside della facoltà di scienze motorie, università di Verona
Roberto Leone
Professore associato di farmacologia