L’alimentazione in eccesso e il recupero del peso vengono favoriti dalle modificazioni neurormonali determinate dalla restrizione alimentare e dal decremento ponderale, che inducono entrambi un aumento della fame e una riduzione della sazietà. Dieta ferrea e decremento ponderale possono anche portare allo sviluppo di depressione, ansia, irritabilità che, a loro volta, scatenano le abbuffate
In passato, la ricerca clinica aveva cercato di individuare un unico fattore come possibile responsabile dei disturbi alimentari; attualmente, si ritiene che un complesso insieme di aspetti biologici, individuali e socioculturali concorra a formare i fattori di rischio, i fattori precipitanti e di mantenimento di tali disturbi. I fattori di rischio sono condizioni antecedenti al disturbo, che aumentano la probabilità del suo sviluppo. Dalle ricerche attuali, sembra che tali condizioni vadano rintracciate nella compresenza di una predisposizione genetica e di un ampio numero di agenti ambientali. Tra questi ultimi, distinguiamo quelli generali (sesso femminile, adolescenza o prima età adulta, vivere nella società occidentale), quelli specifici (fare diete, disturbi dell’alimentazione in famiglia) e quelli generici (bassa valutazione di sé, abuso di sostanze). I fattori precipitanti sono situazioni che si verificano nell’anno che precede l’esordio del disturbo e agiscono attivando lo schema di autovalutazione disfunzionale formatosi per il concorso combinato dei fattori di rischio (cambio di città, interruzione di una relazione sentimentale, fallimenti scolastici, lavorativi).
I fattori di mantenimento del disturbo si distinguono in standard (schema di autovalutazione disfunzionale, preoccupazioni e pensieri sull’alimentazione, rinforzi positivi e negativi, comportamenti di controllo dell’alimentazione, vomito auotindotto, esercizio fisico eccessivo) e aggiuntivi (perfezionismo clinico, bassa autostima, intolleranza alle emozioni). La teoria cognitivo-comportamentale sostiene che il meccanismo centrale di mantenimento della bulimia nervosa è uno schema disfunzionale di autovalutazione e che da esso derivano le altre caratteristiche cliniche del disturbo (dieta ferrea, esercizio fisico eccessivo, vomito autoindotto). In condizioni di normalità, le persone si valutano in base alla percezione delle proprie prestazioni in una varietà di domini della propria vita; al contrario, le persone affette da disturbi dell’alimentazione giudicano il proprio valore sulla base soprattutto del grado di controllo che esercitano sull’alimentazione o sul peso o sulle forme corporee.
Di seguito analizzeremo il ruolo di alcuni di questi fattori. Le persone affette da bulimia nervosa hanno caratteristici pensieri automatici su alimentazione, peso e forme corporei che non dipendono da processi di ragionamento, ma si verificano in concomitanza di esperienze capaci di attivare lo schema di autovalutazione disfunzionale. Ad es., una persona affetta da bulimia nervosa se mangia un dolce può pensare in modo automatico “Ho perso il controllo, ingrasserò come una botte” e inizia a rimuginare sul fatto che ha mangiato troppo, che deve avere più controllo e che l’unico modo per recuperare la situazione è saltare il pasto successivo. Pensieri e preoccupazioni persistenti mantengono attivo lo schema di autovalutazione disfunzionale che, a sua volta, produce pensieri e preoccupazioni, il che crea un circolo vizioso che agisce come una specie di blocco del funzionamento mentale. Ciò che mantiene lo schema di autovalutazione disfunzionale in uno stato di continua attivazione sono soprattutto i rinforzi positivi che la persona ottiene quando controlla l’alimentazione, ad esempio i commenti positivi ricevuti dagli altri se e quando riesce a perdere peso. Anche l’esercizio fisico eccessivo mantiene il disturbo bulimico, perché aumenta la preoccupazione per il peso e la forma corporea; favorisce inoltre l’isolamento sociale, perché viene eseguito in solitudine; produce euforia, sensazione di controllo e benessere psicofisico che la persona può ricercare quando sperimenta emozioni negative. Un comportamento caratteristico delle persone affette da bulimia nervosa è l’abbuffata.
Anche se sembra controintuitivo, numerosi studi hanno evidenziato che la principale causa delle abbuffate è il tentativo di restringere l’alimentazione. Il controllo rigido di ciò e di quanto mangiare porta il paziente bulimico a compiere piccole trasgressioni che, se si verificano, favoriscono l’abbuffata, la quale viene perseguita senza troppe angosce con l’idea di potere tornare successivamente a esercitare il controllo. Spesso, la modalità di pensiero sottostante a questo comportamento è del tipo “tutto o nulla” come: “Ormai ho rotto la dieta, tanto vale che mi abbuffi e poi potrò liberarmi di tutto il cibo con il vomito”. L’alimentazione in eccesso e il recupero del peso vengono favoriti dalle modificazioni neurormonali determinate dalla restrizione alimentare e dal decremento ponderale, che inducono entrambi un aumento della fame e una riduzione della sazietà. Dieta ferrea e decremento ponderale possono anche portare allo sviluppo di emozioni negative (depressione, ansia, irritabilità) che, a loro volta, scatenano le abbuffate, utilizzate in questo caso per modulare stati emotivi intollerabili. In alcune pazienti con bulimia nervosa si possono osservare uno o più processi di mantenimento aggiuntivi che ostacolano la guarigione: il perfezionismo clinico, la bassa autostima nucleare, l’intolleranza alle emozioni e i problemi interpersonali. Il perfezionismo clinico è la tendenza dell’individuo a giudicare se stesso in modo predominante o esclusivo rispetto al fatto di riuscire a raggiungere standard eccessivamente esigenti in almeno un dominio della vita (scuola, lavoro, sport, relazioni), nonostante le conseguenze avverse che ciò comporta. Quando il perfezionismo clinico coesiste con la bulimia nervosa, si verifica un’interazione tra le due forme di psicopatologia e gli standard perfezionistici si focalizzano sul controllo dell’alimentazione, del peso e delle forme corporei. Come in altre espressioni del perfezionismo clinico, sono presenti la paura del fallimento (paura di ingrassare), i comportamenti di controllo della prestazione (contare le calorie) e l’autocritica se non si raggiungono gli standard autoimposti (non riuscire a seguire la dieta).
La bassa autostima nucleare caratterizza quelle pazienti bulimiche che hanno una visione di sé negativa, incondizionata e pervasiva. Essa rappresenta una costituente permanente dell’identità e ostacola il cambiamento, in quanto crea senso di impotenza e sfiducia sulla possibilità di cambiare, spingendo la paziente a raggiungere il successo nel controllo dell’alimentazione, del peso e delle forme corporei piuttosto che nell’adesione al trattamento (Baruffi, Colombo e Goldwurm, 2005).
L’intolleranza alle emozioni consiste nell’incapacità di gestire in modo adeguato gli stati emotivi negativi come rabbia, ansia e depressione. La persona adotta comportamenti disfunzionali di modulazione dell’umore (autolesionismo, sostanze psicoattive) che riducono la consapevolezza dello stato emotivo e dei pensieri a esso associati. Queste pazienti possono usare l’abbuffata, il vomito o l’esercizio fisico eccessivo come mezzi abituali di modulazione dell’umore, producendo un processo aggiuntivo di mantenimento del disturbo. Infine, alcune pazienti affette da bulimia nervosa manifestano problematiche interpersonali: le tensioni familiari vissute da una giovane paziente bulimica possono aumentare la resistenza a riprendere un’alimentazione corretta, riflettendo un meccanismo di intensificazione della necessità di controllo che si esprime appunto nell’aumento della restrizione dietetica.
Anche vivere in famiglie dove è presente un altro membro con un disturbo dell’alimentazione oppure esercitare professioni in cui è forte la pressione ad essere magri possono a loro volta accentuare la preoccupazione nei confronti dell’alimentazione, del peso e delle forme corporei, minando l’autostima e favorendo lo sviluppo di emozioni negative, che a loro volta sono meccanismi di mantenimento aggiuntivi. Nell’ambito della teoria cognitivo-comportamentale, è stato messo a punto uno specifico trattamento dei disturbi alimentari. Il modello più utilizzato nel trattamento della bulimia nervosa è quello di Fairburn, strutturato in tre fasi: nella prima, si utilizzano tecniche comportamentali per sostituire le abbuffate con un pattern regolare di alimentazione e il ricorso ad attività alternative; nella seconda, si mira a rendere stabile il comportamento alimentare attraverso la normalizzazione delle porzioni e la scelta della qualità degli alimenti, eliminando quindi la restrizione alimentare; insieme, viene implementato un intervento cognitivo per modificare le distorsioni del pensiero al riguardo; nella terza, l’enfasi è posta sul mantenimento del cambiamento.
Secondo Fairburn, il disturbo alimentare è mantenuto dall’interazione autoperpetuante di bassa autostima, estrema preoccupazione per il peso e le forme corporei, dieta ferrea, abbuffate, vomito autoindotto. Nella sua visione, la scarsa valutazione di sé può portare a usare la magrezza quale parametro principale per valutare se stessi, sia per motivi sociali, dato che spesso la perdita di peso è una condotta socialmente rinforzata, sia individuali, poiché il peso e le forme corporee sono più facilmente passibili di controllo rispetto ad altri aspetti della vita. Così, con gli anni, la persona tenderà a giudicare il proprio valore prevalentemente in funzione del peso e delle forme corporee e manifesterà una continua preoccupazione a tenerli sotto controllo attraverso diversi comportamenti (dieta ferrea, vomito autoindotto, controllo del peso). A ciò si aggiunge il perfezionismo e il pensiero dicotomico. Il perfezionismo porta le pazienti bulimiche a imporsi obiettivi ambiziosi, che generano frustrazione ogni volta chenon vengono raggiunti. L’alimentazione è ovviamente solo uno degli ambiti in cui esso può estrinsecarsi ma, essendo più facilmente soggetto al controllo, è probabilmente quello su cui sono riposte le aspettative maggiori. La tendenza al pensiero dicotomico si esprime sia attraverso l’estrema rigidità di giudizio su se stesse, sia riguardoalla capacità di seguire un regime alimentare con caratteristiche estremamente definite. Anche minime trasgressioni rispetto al regime dietetico prefissato conducono a considerare fallimentare tutta l’impalcatura alimentare costruita e quindi a svalutare e considerare inutile ogni tentativo di rimedio all’errore di percorso. Il risultato finale di ogni perdita di controllo sul cibo è il rinforzo della bassa stima di sé e delle angosce riguardo al peso e al corpo.
Obiezioni al modello di Fairburn vengono da nuove proposte di terapia cognitivo-comportamentale che pongono l’accento sui fattori emotivi. Molte pazienti con bulimia nervosa non seguono regolarmente rigide restrizioni alimentari e le abbuffate avvengono anche senza diete o pratiche compensatorie; il che chiama in causa l’intervento di fattori diversi da quelli specificamente connessi agli effetti del controllo calorico. Inoltre, molte pazienti descrivono come antecedenti delle abbuffate stress emotivi piuttosto che appetitivi. A supporto delle osservazioni cliniche circa l’importanza dei fattori emotivi nella genesi e nel mantenimento dei comportamenti di abbuffata, sono state condotte verifiche sperimentali. Meyer, Waller e Waters (1998) hanno mostrato che nelle pazienti bulimiche la fame associata a una deflessione dell’umore ha più probabilità di tradursi in un’abbuffata, mentre il livello di fame precedente all’abbuffata è in genere inferiore a quello che precede episodi di alimentazione normale. Inoltre, le ricerche hanno evidenziato come le pazienti bulimiche riportino più frequentemente stati emotivi negativi prima delle abbuffate piuttosto che prima dei pasti normali. Infine, studi di correlazione hanno evidenziato come comportamenti di tipo compensatorio e perdite di controllo con conseguenti abbuffate sono in stretto rapporto con una polarizzazione dell’attenzione incentrata su stimoli riguardanti l’autostima ed emozioni negative. Pertanto, le ricerche più recenti evidenziano l’esistenza di uno stretto rapporto tra stati emotivi negativi, inclusi i fattori legati all’autostima, e perdita di controllo sul cibo.
Elisabetta Bascelli
dipartimento di scienze biomediche Facoltà di psicologia Università degli studi “G. d’A” di Chieti-Pescara
Tiziana Aureli
Professore straordinario, dipartimento di scienze biomediche,
Facoltà di psicologia Università degli studi “G. d’A” di Chieti-Pescara