Io sto con Maria

I genitori affidatari hanno sfidato il sistema, la legge e la regione di Stato hanno prevalso. Ma il Governo avrebbe potuto rammentare all’ambasciatore della Bielorussia che la Convenzione sui diritti dell’uomo e, prima ancora, la nostra Carta costituzionale non è un’astratta enunciazione di principi, buona per le manifestazioni di piazza di studenti svogliati, ma uno dei cardini irrinunciabili di un Paese libero

 

Esistono almeno due modi per affrontare la vicenda della piccola Maria, la bambina venuta dalla Bielorussia (e ivi ricondotta manu militari), che ha riempito le cronache di questi ultimi tempi.

Il primo. Maria, in questo Paese, ha trovato una famiglia che le ha dato quell’affetto di cui ha bisogno e che le manca in patria; ha assaporato, e forse ci si stava abituando, ciò che non ha mai avuto; è diventata, insomma, una bambina normale, come tante altre.  In questa prospettiva, bene hanno fatto i genitori affidatari a deliberatamente sfidare l’intero sistema, rischiando addirittura di compromettere le relazioni diplomatiche con il paese di origine della bambina per scongiurare il suo ritorno in patria e assicurarle un futuro migliore. Il secondo. La Legge e la ragione di Stato prevalgono, e non possono che pre-valere, sulle istanze dei singoli individui: le regole sono fatte per essere rispettate, sempre e comunque: anche quando, all’apparenza, confliggono con gli ideali ed i valori delle persone. Sotto questo profilo, invece, bene hanno fatto le Autorità a disporre ricerche finalizzate al rinvenimento della bambina e a riconsegnarla – come si dice – a chi di dovere. La semplice enunciazione delle due possibili opzioni rende evidente e facilmente percepibile a chiunque quanto sia difficile, ove non impossibile, esprimere un giudizio netto sulla vicenda, formulare una valutazione in grado di resistere a ragionevoli obiezioni contrarie. Conseguentemente, a fronte di chi rivendica il diritto alla disobbedienza in nome degli inviolabili diritti dell’individuo, ci sarà sempre chi – non senza qualche ragione – ricorda l’esigenza di riaffermare l’imperio della legge.

E’ sempre stato così e, ovviamente, sarà sempre così. Giuseppe Garibaldi, per taluni, era un eversore, un terrorista, un soggetto pericoloso da eliminare; per altri, invece, era un patriota, un uomo che agiva per liberare i suoi fratelli dal giogo dell’oppressore, un eroe. Anche Mazzini era così. Silvio Pellico, pure. Magari, in qualche parte di questo travagliato mondo, c’è qualcuno che pensa che anche i membri di Al Qaeda siano così: non dei barbari terroristi che uccidono persone innocenti, ma irredentisti che difendono i propri ideali e per questi si sacrificano. C’è solo una piccola differenza. Maria è una bambina: in carne ed ossa, una persona vera, indifesa, che può essere protetta senza fare del male a nessuno. Maria non è un simbolo, un’icona religiosa o politica in nome della quale immolare vita ed affetti, ma un  individuo irripetibile, unico, che non può essere oggetto di mercanteggiamenti secondo i canoni delle moderne diplomazie. Seguendo la vicenda di Maria, vedendo le foto che la ritraevano con la sua “mamma” in riva al mare, sentendo le opinioni della gente comune – quella che non si preoccupa di esprimere giudizi politicamente corretti; quella che i figli li fa e li alleva davvero -, mi sono reso conto di quanto grande sia ancora il divario tra i principi ai quali diciamo di ispirarci e le norme che regolano la nostra vita. Ho pensato a quelle coppie che attendono anni per avere un bambino che vive segregato in un orfanotrofio di Stato e che potrebbe crescere circondato da affetto; ho pensato alle pressioni politiche che possono essere esercitate sulla pelle di chi, per non esserne in grado, non ha voce; mi sono ricordato degli orrori dei bambini venduti, nella generale indifferenza, quando non con la compiacente assistenza di organi istituzionali stranieri. Mi sono detto ciò che, probabilmente, si sono detti in molti: Maria, almeno lei, la potevamo salvare. Potevamo esigere che il nostro governo, invece, di avventurarsi in una improbabile mediazione, rammentasse al cortese ambasciatore della Bielorussia che la Convenzione sui diritti dell’uomo – e, prima ancora, la nostra Carta costituzionale – non è un’astratta enunciazione di principi, buona per le manifestazioni di piazza di studenti svogliati, ma uno dei cardini irrinunciabili di un Paese libero. Giungo a dire che avrei accettato di buon grado la punizione degli affidatari, se a Maria fosse stato accordata la protezione dello Stato. A che cosa serve vaneggiare di un riconquistato prestigio internazionale se non si è in grado di proteggere un bambino?

Ecco perchè io sto con Maria: non con i suoi genitori, di cui ammiro il coraggio; non con le sue nonne, la cui commozione è un monito alla degenerazione dei nostri principi. Sto con Lei laicamente, perchè l’articolo 2 della nostra Costituzione garantisce i diritti inviolabili dell’uomo “come singolo”, anteponendoli alla ragione di Stato e alle norme di rango inferiore. In un mondo nel quale molti pretendono di riaffermare i diritti con lo sterminio degli innocenti, io scelgo il silenzio di una bambina e, per ossequio alla Costituzione, lo privilegio rispetto alle esigenze della diplomazia, alle secche burocratiche di una farraginosa legge sulle adozioni internazionali, alle possibili conseguenze negative della mia condotta. Così faccio sulla base non già degli entusiasmi tipici di una gioventù, ormai, sfiorita, ma di una scelta razionale maturata – talvolta a caro prezzo – in cinque lustri di avvocatura, nel corso dei quali ho imparato quanto fosse vero ciò che disse Hans Kelsen: chi volesse ricercare la norma fondamentale, quella, cioè, sulla quale si reggono i sistemi giuridici, si troverebbe di fronte ad un velo,  che, squarciato, rivela l’oscuro volto della Gorgone del Potere.

Mauro Anetrini
Avvocato

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