Gli esiti dell’ultima regolarizzazione e l’alto numero di richieste di ingressi attraverso le quote stabilite per il 2006, nonché il fatto che questi avvenissero in periodi vicinissimi, dimostrano i molti limiti sia nella programmazione dei flussi sia nel governo degli ingressi di questo meccanismo di controllo. Un utile suggerimento in merito all’adozione di strumenti di governo più flessibili e sui possibili strumenti da adottare, è stata fornita dal Parlamento Europeo, che ha invitato la Commissione Europea a prendere in considerazione la possibilità di concedere un permesso di soggiorno per ricerca lavoro della durata di 6 mesi.
L’adozione, da parte della legislazione italiana in materia di immigrazione, di un vero e proprio sistema di quote per i nuovi ingressi costituisce lo strumento primario per la programmazione dei flussi. Esso ha come obiettivo ultimo quello di permettere l’entrata di un contingente di nuovi immigrati tale che possa essere assorbito dal mercato del lavoro. Si presenta dunque come uno dei principali canali di ingresso regolari destinato alla riduzione dei flussi di migranti che entrano senza previa autorizzazione.
E’ la legge n. 39 del 1990 che introduce tale meccanismo ma fino al 1995 non si stabilisce nessun tipo di quote per i nuovi ingressi. Il sistema delle quote viene strutturato con la promulgazione del Testo Unico n. 286 del 1998. Successivamente gli articoli 18 e 20 della legge n. 189 del 2002 sono stati inseristi nel “corpus” del Testo Unico, sostituendone integralmente gli articoli 22 e 24.
Valutando la coerenza di questo sistema di ingessi con il suo obiettivo finale si rileva un suo mancato funzionamento. Sommando il numero degli immigrati che hanno usufruito della possibilità di regolarizzare la propria posizione giuridica in Italia dal 1990 in poi, si ottiene una cifra che corrisponde grosso modo ai due terzi dell’attuale presenza immigrata, cioè circa 1.500.000 di essi sono entrati in Italia senza la necessaria autorizzazione.
Gli esiti dell’ultima regolarizzazione e l’alto numero di richieste di ingressi attraverso le quote stabilite per il 2006, nonché il fatto che questi avvenissero in periodi vicinissimi, dimostrano i molti limiti sia nella programmazione dei flussi sia nel governo degli ingressi di questo meccanismo di controllo. Questi limiti giacciono nei presupposti fondamentali su cui si basa tale sistema e che sono rappresentati, in primo luogo, dall’ipotesi che la domanda di lavoro esercitata dai paesi di accoglienza dei flussi migratori sul mercato del lavoro “mondializzato” non abbia alcun ruolo nell’innesco di nuovi movimenti migratori ma che questi ultimi siano dovuti soprattutto all’aggravarsi dei fattori di spinta dei paesi di invio. Da ciò discende il secondo presupposto che riguarda l’inserimento lavorativo degli immigrati. Si suppone che esso sia concorrenziale rispetto ai lavoratori autoctoni, cioè che gli immigrati svolgono o potrebbero svolgere le stesse occupazioni di questi ultimi. Il terzo ed ultimo presupposto riguarda la composizione dei flussi migratori in entrata secondo il genere, ritenendo che la principale figura sociale di immigrato sia quella del maschio adulto single o capofamiglia ma senza famiglia al seguito.
Questi presupposti esprimono una visione contraddittoria della nuova fase dei movimenti migratori, perché, da un lato essi indicano che la nuova fase rispetto alle precedenti sia caratterizzata da un’emigrazione guidata dai fattori di spinta, mentre dall’altro lato ipotizzano che l’immigrato sia inserito dal punto di vista occupazionale nella fascia centrale del mercato del lavoro dei paesi di arrivo.
Inoltre, non bisogna dimenticare che anche il meccanismo degli accordi bilaterali in merito all’assegnazione delle quote secondo alcune nazionalità presuppone che i flussi migratori siano prevalentemente concentrati in pochi paesi di invio o che perlomeno sia possibile creare un sistema migratorio artificialmente, cioè facendo leva solamente su trattati politici ed istituzionali, tra pochi paesi di invio e un solo paese di accoglienza.
Dall’analisi di tutti questi limiti, si evince che la programmazione dei flussi non può assumere come unico strumento per la determinazione delle quote la stima del fabbisogno occupazionale. L’inserimento lavorativo di una quota importante della forza lavoro immigrata presente in Italia avviene nella fascia secondaria del mercato del lavoro. La forza lavoro immigrata dunque, soddisfa una domanda di lavoro che difficilmente viene stimata dall’attuale sistema delle quote. La principale conseguenza è una sottostima del fabbisogno occupazionale che riguarda proprio i nuovi flussi migratori e, quindi, una sottostima delle quote massime di ingresso annuali. Dato che l’immigrazione è ormai un fattore sistemico delle economie avanzate, una larga parte dei nuovi ingressi sarà priva di autorizzazioni all’ingresso e al soggiorno. Inoltre, in questo modo si ignora una componente fondamentale degli odierni flussi migratori, come ad esempio quella per ricongiungimenti familiari. Infine, la riduzione delle possibilità di ingresso e della libertà di movimento degli stranieri extracomunitari, non farà altro che trasformare la componente circolare dei nuovi flussi migratori in quella parte della popolazione immigrata che opta per l’insediamento definitivo. Dato che migrazioni circolari e inserimento lavorativo nella fascia secondaria del mercato del lavoro il più delle volte coincidono, questa parte dell’immigrazione sarà confinata nella precarietà lavorativa e giuridica per tutto il loro percorso migratorio.
Un utile suggerimento in merito all’adozione di strumenti di governo più flessibili e sui possibili strumenti da adottare, è stata fornita in una recente indicazione del Parlamento Europeo che ha invitato la Commissione Europea a prendere in considerazione la possibilità di concedere un permesso di soggiorno per ricerca lavoro della durata di 6 mesi.
Mattia Vitello
Sociologo ricercatore presso IRPPS Istituto di Ricerca sulla Popolazione e le Politiche Sociali