La differenza tra libertà e liberalizzazione

Dalla droga legale alla stanza del buco

Compito di uno Stato assistenziale è assicurare che il cittadino goda dei diritti fondamentali pur nel rispetto di quelle regole democratiche che lo Stato stesso, in base alla sua cultura ed alle sue tradizioni, si pone. Il trend, in Italia, pare piuttosto portare da un’altra parte, con fasulle aperture nel settore economico o sociale, dietro le quali si nascondono interessi di parte

C’è una evidente differenza tra il concetto di libertà e quello di liberalizzazione. Il diritto ad agire secondo coscienza, a professare le proprie idee, a seguire le proprie inclinazioni è un concetto democratico che tuttavia non ha come approdo “naturale” la liberalizzazione tout court.
Assistiamo sgomenti, in questo primo scorcio di legislatura, ad una certa tendenza del governo di centrosinistra che, sventolando con retorica la bandiera della libertà contro il proibizionismo di maniera, vorrebbe portare la liberalizzazione ovunque. Nulla di più errato.
Compito di uno Stato assistenziale, infatti, è quello di assicurare che il cittadino goda dei diritti fondamentali pur nel rispetto di quelle regole democratiche che lo Stato stesso, in base alla sua cultura ed alle sue tradizioni, si pone. Il trend, in Italia, pare piuttosto portare da un’altra parte, con fasulle aperture nel settore economico o sociale, dietro le quali si nascondono interessi di parte. Nelle smanie anarchiche del governo Prodi non poteva non cadere la legge sull’uso e lo spaccio di sostanze stupefacenti approvata dal centrodestra. Una legge, la Giovanardi-Fini (L. 49/06), che ha posto in maniera netta un confine tra chi fa uso personale di droga, chi invece la smercia a fini di lucro, stabilendo regole e strumenti di sostegno chiari per quanti vogliono uscire dal tunnel della tossicodipendenza. Ebbene, in totale spregio della vita di centinaia di nostri giovani, in irriverente scherno nei confronti delle famiglie di chi è vittima della droga, il centrosinistra è diventato paladino della liberalizzazione di droghe come la cannabis, dell’uso terapeutico di farmaci composti da canapa. Ma ciò che raccapriccia di più ed avvilisce quanti, giorno dopo giorno, lottano per il recupero reale dei tossicodipendenti, le Comunità terapeutiche, le centinaia di volontari che combattono contro la morte, è la proposta di istituire anche in Italia le cosiddette “stanze del buco”, luoghi “riconosciuti” e quindi legali per bucarsi o sniffare. Non scendo nel merito etico di questi luoghi da “una botta e via”. Non ci sarebbero parole sufficienti per raccontarne l’abominio. Lascio la parola ai fatti, alle ricerche.

I fautori delle camere del buco sostengono che tra i benefici che esse portano c’è la diminuzione dei morti per overdose, quella dei morti per malattie infettive e la riduzione su strada della criminalità. E’ del tutto evidente che nessuno dei suddetti obiettivi viene raggiunto, come si evince non solo da numerosi studi e pubblicazioni, ma anche dalla documentazione prodotta dagli antiproibizionisti italiani nel corso della Conferenza di Palermo dello scorso dicembre. Dal report di valutazione del professor Uwe Kemmesies del Centro per la ricerca dell’Università di Francoforte, riguardante l’esperienza tedesca sulle stanze del buco, si legge ad esempio: “le safe injection room sono ancora un’esperienza limitata. Tuttavia esistono già parecchi studi di valutazione su questi servizi e nessuno finora ha portato una prova univoca sulla loro efficacia e sul fatto che riescano a raggiungere gli obiettivi che si propongono”. Ma è dal report del pastore Hans Visser e della dottoressa Marie Kok-Egu di Rotterdam che giungono le dichiarazioni più agghiaccianti sull’esperienza olandese delle stanze del buco. Si legge: “la cripta della chiesa di San Paolo è il luogo dove si svolgono tutte le attività. Si legge, si gioca, si mangia. Lì vi sono anche gli spacciatori che vendono le droghe. C’è poi un’altra stanza dove si aspirano le sostanze ed un’altra ancora dove si possono iniettare. Gli spacciatori sono tre, sempre gli stessi, scelti su criteri di onestà, di responsabilità e per la buona qualità della merce”. Sic et simpliciter, con relativa registrazione e versamento dei contributi per gli spacciatori sotto le false spoglia di operatori sociali. Pur non volendo esprimersi sul degrado morale che queste stanze hanno in sé, alcune considerazioni sono inevitabili. Come è possibile ipotizzare di legittimare uno spacciatore? Quanti sono i rischi che altre persone, estranee all’uso di stupefacenti, siano indotte all’uso di droga, attratte proprio dall’idea del luogo “protetto”? Chi garantisce che i clienti delle camere dl buco non si sentano incoraggiati ad usare maggiori quantitativi di stupefacenti o con modalità d’uso più rischiose?

Nella malaugurata ipotesi che un tale scempio dovesse approdare all’esame Parlamento, il centrodestra porterà avanti una battaglia senza esclusione di colpi per dire no ad una ipotesi che suona come un via libera a lasciarsi morire. Non a caso le cosiddette stanze del buco confliggono col nostro codice penale agli articoli 55 (droga=corpo del reato), 347 e 361. Senza considerare che a livello internazionale c’è una chiara condanna da parte dell’Onu: “ogni Stato o autorità locale che permette la creazione e l’operatività di safe injection room facilita anche il traffico illecito di droga” (International Narcotic Control Board).

Quanto all’altra questione, la legalizzazione della cannabis e l’elevazione della soglia tra l’uso personale e lo spaccio della stessa, la verità è che si darà man forte allo spacciatore, che potrà con più facilità dimostrare che la sostanza detenuta è per uso personale, evitando la sanzione penale. Oggi, invece, la legge punisce severamente chi fa della droga uno strumento di lucro, mentre fissa sanzioni amministrative per chi eccede nell’uso personale. Ed infine, una precisazione. Sui media molta eco ha la liberalizzazione della coltivazione della cannabis ad uso terapeutico.  Ora, sugli effetti positivi che ha la canna per curare alcune patologie o sintomatologie, tutto è ancora da verificare. Altra cosa è ammettere la commercializzazione di farmaci che ne hanno il principio attivo, ritenuti efficaci per alleviare le sofferenze di chi è malato di tumore o sclerosi multipla. Ora, nessuno ha intenzione di dire un no aprioristico a questo tipi di medicinali. Ma da qui a dire che una canna ti salva la vita c’è un abisso incolmabile.

 

Maurizio Gasparri
Componente dell’Intergruppo parlamentare Libertà dalla droga
già ministro delle comunicazioni

Rispondi