Oggi l’utopia economica sa che deve passare attraverso un’utopia spirituale, un salto quantico che porti alla realizzazione di un nuovo concetto di Valore. Non a caso, solo in certe comunità fondate sulla condivisione e l’autocoscienza, va via via scomparendo l’accumulo di pezzi di carta per dare risalto all’unico valore degno di essere chiamato tale: quello umano
La storia dell’umanità è costellata di utopie, di spinte a progredire, migliorare le condizioni del quotidiano con attento spirito critico e la squisita fantasia del sogno.
Senza le utopie la vita sulla terra sarebbe rimasta statica ed ancorata alle certezze del momento, al sistema costituito, seppure il migliore possibile o comunque migliore solo per qualcuno.
Ripercorrere la letteratura utopica dei pensatori di ogni tempo ci riporta il respiro dei secoli ma ci mostra anche come quell’anelito di paradiso terrestre non sia mai sopito nel cuore degli esseri umani.
Il coraggio intellettuale degli utopisti mette anche in luce che ogni sogno ha in sé il seme di una fattibile realtà. Eppure, nessuna delle società immaginate come perfette, in pagine intrise di slancio evolutivo, si è mai ancora realizzata sul piano concreto, qui ed ora.
La Repubblica divina delle idee o la Città di Dio classiche, dove mitologia ed escatologia si intrecciano ad edificare Terre promesse, nel nome del motto “lo spirito abiterà la Terra” (G. da Fiore), diventano Bengodi medievali, contrade felici.
E’ sempre la beatitudine a contraddistinguere la pienezza della vita, dalla salute fisica e spirituale, dalla mancanza di dolore e fatica, dalla ricchezza dell’abbondanza. L’utopia classica è ancora una visione, come magistralmente Dante sottolinea nel suo Purgatorio [XXVIII, 139-144]:
“Quelli ch’anticamente poetaro / l’età dell’oro e suo stato felice / forse in paradiso esto loco sognaro. / Qui fu innocente l’umana radice; / qui primavera sempre ed ogni frutto; / nettare è questo di che ciascun dice.”
Il Rinascimento mette in luce una chiave per accedere all’utopia: la libertà. Il motto diventa: “Io vivo come voglio” (T. Moro), il naturalismo ottimistico senza regole diventa critica acuta al potere, l’Abbazia di Théleme del Rabelais si contrappone ai canoni scolastici ed autoritari della Sorbona.
Ma non c’è tempo qui per ripercorrere l’evoluzione della stessa utopia, secondo il pensiero dell’epoca, anche perché ciò che interessa focalizzare è la concezione di Economia in queste isole felici ideate nel tempo.
Diventa quasi superfluo analizzarle tutte quando si scopre che alla base di cotanta perfezione sociale e felicità individuale, c’è sempre un’economia comunitaria, un’abolizione dello sfruttamento, indipendentemente se rette da Stati religiosi e Chiese laiche o dalla Dea Natura, che tutto ordina come grande artefice di pace.
Se nell’utopia classica e rinascimentale l’aspetto economico ideale è implicito e scontato, in quelle illuministiche, romantiche e moderne esso diventa fulcro e trampolino dell’utopia stessa. Si codifica la proprietà comune, l’equa distribuzione, la cooperazione, l’abolizione delle classi e delle eredità, un socialismo utopistico che diventerà poi scientifico con Marx.
Se Cyrano de Bergerac, nel suo “Viaggi all’altro mondo” (1650) ipotizza una moneta-poesia, dove spendere sonetti ed odi, celebrando la sovranità naturale, non c’è da meravigliarsi se, dopo la nascita delle fabbriche e della forza-lavoro, si arrivi ad ipotizzare ogni sorta di moneta, fuorché quella emessa dai banchieri o dallo Stato (del quale si inizia ad ipotizzare il dissolvimento).
L’industrialismo dei capitali fa nascere utopie di denuncia delle contraddizioni e delle brutalità del sistema capitalistico, sia esso pubblico o privato, si evidenzia l’ostacolo alla realizzazione di qualsiasi utopia.
La “società” diventa “comunità”, grandi utopisti fondano piccole città, esperimenti di Comune, laboratori di altra-economia.
L’utopia si colora di rivoluzione culturale, sfocia tra i figli dei fiori e passa attraverso una sospirata fase dell’umanità che si chiede, con rinnovato vigore, dove-stiamo-andando?
La centralità della scienza, esaltata dai Lumi ed osannata dai romantici sogni di progresso tecnologico liberatorio, s’accompagna oggi ad una visione di utopia concreta, di altra-economia possibile, fattibile fin d’ora per scardinare ingiustizie ed iniquità.
Ma ancora sembra non bastare.. Nonostante le intuizioni di sovranità monetaria e nonostante i predicozzi cristiani sul distacco dai beni materiali, non si è prodotto alcuna idea valida per una società che funzioni senza la moneta. Abolire il denaro non appare nemmeno un’utopia ma forse solo una follia.
Eppure le più altisonanti utopie classiche di beatitudini terrestri nemmeno lo citavano il denaro, nel vero Eden c’era ancora la visione incontaminata di un’umanità capace di dono, scambio e condivisione, così come la ipotizzano i bambini.
Oggi l’utopia economica sa che deve passare attraverso un’utopia spirituale, un salto quantico che porti alla realizzazione di un nuovo concetto di Valore. Non a caso, solo in certe comunità fondate sulla condivisione e l’autocoscienza, va via via scomparendo l’accumulo di pezzi di carta, per dare risalto all’unico valore degno di essere chiamato tale: quello umano.
L’utopia si fa concreta, qui ed ora, solo laddove la moneta è vissuta come mero mezzo di scambio, assolutamente scevro da interesse e pragmaticamente liberato da qualsiasi controllo di potere centralizzato.
Non sarà utopico nemmeno abolirlo, questo odiato ed amato denaro, quando capiremo che è la domanda a creare l’offerta e non viceversa, quando ci accorgeremo che il denaro è basato solo ed esclusivamente sulla fiducia che vi riponiamo collettivamente… e quando questa fiducia sapremo riporla in noi stessi e quindi negli altri.
Paola Gandin
Altramoneta-Utopia Concreta FVG
Fonti bibliografiche:
“L’utopia” Maurilio Adriani – Ed. Studium, 1961
“E’ ancora possibile un pensiero utopico?” Diego Fusaro
“Saggio sull’utopia” Alfredo Alì – www.utopia.it