Cosa dice la legge sullo sfruttamento del lavoro minorile
È dal 1919 che l’ILO (International Labour Organisation) lavora per regolare fattivamente, attraverso misure legislative internazionali, la partecipazione dei minori al mercato del lavoro.
È proprio in quell’anno che la 5° Convenzione dell’ILO fissa a 14 anni il limite minimo per l’impiego di bambini nell’industria. Nel 1973, con la Convenzione n.138, il limite viene elevato ai 15 anni di età e, in ogni caso, per lavori dannosi alla salute psico-fisica dei minori, tale limite si attesta ai 18 anni.
Altri strumenti giuridici internazionali, come i Patti sui Diritti Civili e Politici e sui Diritti Economici, Sociali e Culturali, approvati dall’Assemblea Generale dell’ONU nel 1976, entrano nel merito del lavoro minorile e ottengono la ratifica di quasi tutti i paesi del mondo.
Ma è con la Convenzione Internazionale sui diritti dell’Infanzia del 1989 che le Nazioni Unite stabiliscono una volta per tutte una regolamentazione in materia, attraverso quello che può essere definito il più articolato e completo documento redatto in favore dell’infanzia.
Bambine e bambini non vengono più considerati meri oggetti di tutela, ma veri e propri soggetti di diritto fin dalla nascita, alla stessa stregua degli adulti. I diritti umani elementari vengono così associati a quelli di seconda e terza generazione, così che a ciascun bambino non viene soltanto riconosciuto il diritto alla vita, ad un nome e ad una famiglia, ma anche quello alla salute e al gioco, alla libera espressione e alla privacy.
A partire da un contenuto rivoluzionario dal punto di vista della tutela e della promozione dei diritti del bambino, la Convenzione concentra la sua attenzione, tra l’altro, alla salvaguardia contro lo sfruttamento economico dei bambini. L’Art.32 della Convenzione riconosce il diritto per ciascun bambino a non essere costretto a lavori dannosi alla sua salute e al suo sviluppo psico-fisici e invita tutti gli stati ad applicare nel concreto quella che altrimenti resterebbe soltanto una dichiarazione d’intenti.
Infatti, il problema delle convenzioni internazionali è sempre quello che attiene alla reale possibilità di una loro applicazione concreta. Finché non esisteranno governi o tribunali sovranazionali deputati al controllo dell’attuazione di ogni singola disposizione e incaricati a sanzionare il loro mancato rispetto, ogni tentativo di salvaguardare l’integrità dei bambini nel mondo risulterà vano e rimarrà unicamente un tentativo mal riuscito, sicuramente di alto profilo etico e politico, ma pur sempre mal riuscito.
La Convenzione Internazionale sui diritti dell’Infanzia è senza dubbio molto di più di una dichiarazione d’intenti – soprattutto per il valore universale dei suoi principi – anche perché è applicata, prima fra tutti i trattati, in quasi tutto il mondo (ad eccezione della Somalia e degli Stati Uniti d’America), e perché è riuscita nel difficile tentativo di diventare un punto di riferimento fondamentale per organizzazioni e governi che vogliono operare in favore dell’infanzia, un segnale concreto che assegna valore e significato all’esistenza di ogni minore, un punto di partenza per l’elaborazione di strategie e programmi per combattere con efficacia ogni manifestazione deleteria del fenomeno del lavoro minorile.
In Italia, il limite di età per l’accesso al mercato del lavoro è fissato, dalla Legge n. 977 del 1967, ai 15 anni, anche se già a 14 anni si può regolarmente lavorare in ambito agricolo, nei servizi familiari, nell’industria, pur svolgendo mansioni leggere. Il limite è innalzato ai 18 anni se si lavora in ambienti nocivi alla salute e se il lavoro è svolto contravvenendo agli obblighi scolastici.
Molto prima quindi dell’approvazione della Convenzione Internazionale, l’Italia si era fornita di strumenti legislativi adeguati alla protezione del benessere psicologico e fisico del bambino nei luoghi di lavoro, tuttavia mostrando evidenti limiti dal versante delle sanzioni per chi non ottempera alle direttive della legge. Infatti, è ormai assodato e dimostrabile in ogni tempo, che nel nostro paese proliferano sia il lavoro minorile (nella maggior parte dei casi irregolare e clandestino), sia i frequentissimi episodi di abbandono ed evasione scolastici.