Apatia Morale

Esce, o forse è già uscito, nelle sale cinematografiche un film dove si racconta di una madre che fa partecipare il piccolo figlio , tra i suoi sette e dieci anni, alla propria vita scandita al ritmo della più convenzionale e destruente trasgressività.

Lei fuori di senno per le abbondanti  droghe, lo coinvolge in amori con camionisti, storie di droga , prostituzione, in spettacoli di travestitismo e abusi sessuali.

Il film è, ovviamente, recensito dai maggiori quotidiani nazionali e alla fine dell’articolo del critico di turno, appare il solito “ bollino qualità “ che indica la piacevolezza o meno della pellicola, e che nel caso specifico pare mediocre.

Tutto nella norma: cioè, a dire: anche questa è una possibile esperienza dell’umano, che, in quanto tale vale la pena di rappresentare.Sì, ma perchè farlo?

Naturalmente il film è interpretato, diretto e sceneggiato da un’  attrice, come definirla ….. “ scomoda “? o “  trasgressiva ”?  Sicuramente la stessa sarà felice di provocare le reazioni di sdegno, non è questo che ha cercato nel pubblico – se si usa ancora dire così – dei benpensanti?

I benpensanti esistono ancora o sono passati di moda? Probabilmente oggi i benpensanti sono stati tutti sostituiti dai sostenitori del politically correct, gli stessi che di fronte ad un film del genere  non muovono un sopraciglio, per non lasciar insinuare il sospetto di poter aver anche un minimo , antidemocratico pensiero di censura rispetto al contenuto. Censura ad una possibile discriminazione tra bene e male, quindi in odore di essere ispirato ad una qualche categoria della morale.

E allora ecco la critica sul giornale assolutamente a-tona e a-patica, come se si trattasse di ordinaria cinematografia, con un giudizio di qualità sul film e poco altro. Certo, viene da pensare che a ciascuno di noi sarebbe insopportabile l’idea che tutto questo potesse accadere ad un proprio figlio, ad un proprio nipote.  E’ ovvio ritenere che il doverlo sostenere come esperienza di vita comporti un tale livello di dolore soggettivo, e di com-passione, ben al di là di ogni possibile e immaginabile fredda astrazione di pensiero, con un immediato giudizio di valore, in questo caso negativo, che oggi non siamo più in grado di far appartenere ad una categoria morale di conoscenza, ma che lasciamo sorgere e far diventare vera solo quando diventa esperienza di vita dolorosa.

Ecco, sembra essere qui il nodo della questione: questa nostra società pare aver sviluppato una sensibilità  e, forse, essere ora in grado di percepire solo nel dolore sperimentato, o vissuto, il “ male ”, mentre manifesta totale estraneità se non ostilità molto “ politically correct “ al   definire delle categorie etiche a cui dedicare le azioni umane.

Ecco allora che tutto diventa possibile e in quanto tale manifestabile e rappresentabile senza l’onere di alcun tipo di giudizio che ne entri nel merito e nella sostanza.

Se non avesse insito l’anelito ad un giudizio morale verrebbe da chiedersi : è giusto così ?

Essegia

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