Gentiloni commissario all’economia: una scommessa diplomatica

La nomina di Paolo Gentiloni come commissario agli Affari Economici all’interno della nuova Commissione Europea guidata dalla tedesca Ursula Von der Leyen è sicuramente il primo successo diplomatico del governo Conte-Bis. La carica che l’ex Presidente del Consiglio andrà a coprire è considerata la più importante dopo quella di Presidente. Gentiloni potrà vigilare sulle politiche economiche degli Stati Membri ed indirizzarli verso determinate linee programmatiche. Il Governo Italiano sta scommettendo apertamente sull’abilità e sull’astuzia negoziale dell’ex Premier, il quale dovrà saper soddisfare molteplici soggetti politici.

La decisione di proporre Paolo Gentiloni come commissario Italiano nella Commissione Europea è maturata in seno alle negoziazioni per la formazione del nuovo governo giallo-rosso (PD e Movimento Cinque Stelle). Politico del Partito Democratico di lungo corso ed esperto diplomatico – guidò il Ministero degli Esteri nel Governo Renzi e fu Presidente del Consiglio dal 2016 al 2018 – Gentiloni è stato nominato dai partiti di Governo e dal Presidente Conte per poter avere una personalità di spicco nel nuovo esecutivo europeo. Questo per puntare ad una carica di peso. Infatti, l’Italia ha ottenuto la seconda carica più importante nella Commissione, un successo impensabile fino a solo qualche tempo fa. L’intento del Governo è quello di poter aver manforte da parte della Commissione quando si tratterà di decidere quanto margine di flessibilità finanziaria offrire al nostro Paese per l’imminente legge di bilancio. Inoltre, il nostro Governo auspica che la Commissione sospinga gli Stati a basso debito del Nord a fare manovre fiscali espansive che aiutino l’economia stagnante del Continente: i Paesi  con meno costrizioni finanziarie possono aumentare la spesa pubblica (o diminuire la tassazione) più facilmente e potrebbero così stimolare l’economia dell’intera Unione Europea. Ma se da un lato Gentiloni cercherà di fare il possibile in questo senso, egli dovrà anche assecondare, almeno in parte, i cosiddetti falchi: rigoristi pro-austerity ben presenti nella nuova Commissione. Per questo molti osservatori auspicavano che all’Italia spettasse un portafoglio meno impegnativo ove poter aver più ampio margine di manovra, come quello al commercio o all’industria, ed al contempo fare fronte comune con altri Paesi anti-austerity per arginare i possibili intenti rigoristi della Commissione. 

Da un lato, possibili sponde per Gentiloni saranno da ricercare prevalentemente fra gli esponenti del Partito Socialista Europeo, notoriamente più inclini ad una linea economica anti-austerity. In primis, il leader olandese Timmermans, nominato Vicepresidente con deleghe alla green economy. Il suo operato potrebbe essere fondamentale per scorporare dal calcolo del deficit dei Paesi Membri le spese per investimenti in materia di riconversione energetica e salvaguardia ambientale: questo darebbe più respiro agli Stati maggiormente indebitati per poter rimanere comunque al passo con l’agenda di sviluppo sostenibile di cui l’Unione si fa promotrice da diverso tempo. Al di fuori dei Socialisti e Democratici, alleata di Gentiloni potrebbe essere anche la Francese Sylvie Goulard, Commissaria per il Mercato Interno ed esponente del partito Liberale. La sua esperienza politica è decennale – fece anche parte dello staff di Romano Prodi durante il periodo in cui fu Presidente della Commissione – ed è apertamente schierata verso istanze di maggior coesione europea in materia di politica fiscale. Ciò si dovrebbe tradurre in un’ulteriore voce di peso nel richiamare i Paesi a basso debito, quali la Germania, ad aprire a manovre espansive – ad esempio, tramite investimenti pubblici o riduzione della tassazione. Infine, a dare manforte a Gentiloni potrebbe essere un soggetto esterno alla Commissione, ovvero la futura Presidente della Banca Centrale Europea Christine Lagarde. Stando a sue recenti dichiarazioni, l’ormai ex Presidente del Fondo Monetario Internazionale, non si discosterà dalla linea espansiva promossa da Mario Draghi negli ultimi anni. Al contrario, sembrerebbe essere propensa a fare pressioni affinché anche la politica fiscale dell’Eurozona si apra a scenari nuovi e più flessibili. L’apporto della BCE per Gentiloni sarà fondamentale, sia perché la politica fiscale ha bisogno di una politica monetaria che non ne ostacoli il decorso, sia perché si tratta di un’istituzione con uno status politico fra i più importanti nel mondo economico-finanziario. 

Dall’altro lato, l’ostacolo più rilevante verso un’azione pro-crescita tout court del neo Commissario Gentiloni ha le sembianze del Lettone Dombrovskis. Già presente nell’esecutivo a guida Juncker, è stato nominato Vicepresidente nella nuova Commissione, con compiti di gestione e monitoraggio finanziario dell’Eurozona. Il suo è un contrappeso naturale voluto dai governi rigoristi del Nord-Europa per bilanciare le probabili volontà di espansione fiscale del neo commissario agli Affari Economici. Altro profilo possibilmente rigorista è quello del Popolare Austriaco Johannes Hahn, nominato commissario al Budget.  Evidentemente, si è cercato di non lasciare un raggio di azione completa all’ex Premier Italiano, nominando figure di diversa linea ideologica per le altre cariche di politica economica. In un’ultima analisi, è da rimarcare il fatto che anche la Presidente Von Der Leyen non è certamente una sostenitrice della flessibilità e dell’espansione fiscale. Pur forse mitigata dall’intento di accontentare tutti i Paesi Membri, la sua linea programmatica di stampo Conservatore tenderà con tutta probabilità al sostenere il rispetto dei trattati europei, incluso il famoso Patto di Stabilità.

Secondo molti osservatori, i prossimi cinque anni saranno decisivi per il futuro dell’Unione Europea: un cambio di passo in materia economica è considerato essenziale per arginare gli euroscetticismi sorti in parte a causa della stagnazione economica. Gentiloni non avrà vita facile nella sua nuova impegnativa azione economico-diplomatica. Pur non mancando di alleati importanti, dovrà saper gestire anche possibili avversari dall’elevato peso politico.  Data la sua esperienza ed il suo apprezzamento internazionale, la figura dell’ex Premier potrebbe essere quella ideale per rilanciare un progetto economico comune nell’Unione, con ricadute positive specialmente sui Paesi come l’Italia. Se, invece, dovesse fallire, la crisi di fiducia nei confronti dell’UE si acuirebbe inesorabilmente. Siamo quindi di fronte ad un compito arduo, denso di insidie e dall’alto impatto sul futuro dell’Unione e dell’Italia. 






Piero Lorenzini

Mi sono laureato in Affari Internazionali presso l’Università di Bologna e presso la Johns Hopkins University, con focus in Affari Europei ed Economia Internazionale. Appassionato di politica, economia, giornalismo e di sport; nel tempo libero sono infatti un ciclista agonista che compete a livello nazionale ed internazionale. 

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