BAMBINI-SOLDATO, ULTIMO RAPPORTO ONU: NASCE LA COALIZIONE GLOBALE PER IL REINSERIMENTO

Pubblicato nel dicembre dell’anno appena trascorso, il Rapporto del Rappresentante Speciale del Segretario Generale per i Bambini e i Conflitti Armati getta luce sulla situazione attuale dei bambini che oltre a subire la guerra, la fanno.

Armi al posto di penne e zaini, campi militari, violenza e frastuono d’artiglieria al posto di una normale infanzia costellata di affetto e dolci suoni ludici. È la condizione vissuta da circa 300.000 bambini in tutto il mondo, nelle zone calde del pianeta dove i conflitti rendono combattenti in prima linea anche la parte più fragile e indifesa della società. Ogni anno i numeri cambiano, il fenomeno si tinge di nuove caratteristiche e nuovi paesi entrano nel novero dei responsabili del reclutamento di bambini, sia tra le fila di eserciti regolari sia tra gruppi militari irregolari. Ma emergono anche nuovi progressi volti ad estirpare l’orribile fenomeno, come la nascita della Coalizione Globale per il Reinserimento.

È il Rappresentante Speciale del Segretario Generale dell’ONU per i bambini e i conflitti armati, incarnato dalla funzionaria delle Nazioni Unite Virginia Gamba dall’aprile del 2017, a fornire ogni anno alla Comunità Internazionale un resoconto dettagliato della condizione globale dei bambini-soldato nel mondo. Il periodo di riferimento copre 12 mesi a partire dal dicembre 2017.

Ma andiamo con ordine.

Cosa s’intende quando si parla di bambini-soldato?

Sono i principi di Città del Capo del 1997, nati da un incontro tra Organizzazioni Non Governative volto a prevenire il reclutamento e smobilitare bambini presenti all’interno di gruppi armati, a chiarirne la reale definizione. Si tratta non soltanto di minori che impugnano le armi ma “qualsiasi bambino o bambina con meno di 18 anni che sia parte di qualsiasi forza armata, regolare o irregolare, con qualsiasi funzione comprese quelle di cuochi, facchini, messaggeri e schiave sessuali”.

Perché l’infanzia si spoglia della propria innocenza per indossare l’uniforme?

Bambini e adolescenti, la cui età oscilla in media dagli 8 ai 17 anni, costituiscono il mirino di operazioni di sequestro su larga scala da parte di gruppi armati sia regolari che non, operanti in Africa (in particolar modo in Uganda, Repubblica Democratica del Congo, Sud Sudan), Asia e America Latina. Villaggi, scuole, mercati: il serbatoio da cui i signori della guerra attingono quotidianamente per rimpinguare le loro fila. Ma il reclutamento non è solo forzato, ma fame e povertà spiegano come mai nel mondo due bambini su tre siano responsabili della propria uniforme. La ferrea e crudele vita militare, per migliaia di bambini poveri e orfani, rappresenta l’unico modo per garantirsi pasti regolari, indumenti o cure mediche: la guerra paradossalmente è l’unico mezzo per sopravvivere.

Quale tipo di vita li attende?

Disciplina ferrea, brutali punizioni fisiche. Appena arruolati vengono subito coinvolti in situazioni di estrema violenza mentre nelle loro vene scorre un cocktail di cocaina e/o anfetamine che annienta ogni resistenza e paura. Facilmente indottrinabili, veloci nell’apprendimento dell’uso di armi leggere e automatiche, i piccoli vengono usati senza alcuna pietà come carne da cannone, mandati avanti sui campi minati per aprire la strada all’esercito. Situazione ancor più drammatica per le bambine che oltre ad essere usate come combattenti divengono “mogli della savana”, schiave sessuali di membri del gruppo armato.

Rapporto ONU 2018

“Mentre il mondo sta per celebrare il trentesimo anniversario della Convenzione sui Diritti del Fanciullo (1989), i diritti contenuti in questo documento cardine sono minacciati”.

Con queste parole si apre l’ultimo rapporto ONU sui bambini coinvolti nei conflitti armati che sottolinea quanto guerre protratte e ad alta intensità, recrudescenza della violenza ed estremismo continuino a colpire in modo sproporzionato i bambini di tutto il mondo.

Scuole sotto attacco. Uno dei dati più allarmanti forniti dal recente documento è l’aumento vertiginoso, durante l’ultimo anno, di rapimenti di minori dalle scuole con un effetto devastante sul loro diritto allo studio. In Sud Sudan, per esempio, l’Esercito di Liberazione del Popolo del Sudan è noto per attacchi contro scuole e ospedali. In Somalia e Nigeria, Al-Shabaab and Boko Haram continuano a rapire bambini dalle scuole, per scopi di reclutamento militare.

Rapimenti transfrontalieri e non. Particolarmente diffuso negli ultimi anni, il rapimento transfrontaliero è stato utilizzato da una serie di gruppi armati tra cui L’esercito di Resistenza del Signore, Boko Haram, ISIS. In alcuni casi, bambini rapiti in un paese sono stati trasportati oltre confine, nei paesi limitrofi, per essere addestrati, usati come combattenti, venduti o ridotti in schiavitù. Solo in Somalia, oltre 1600 bambini sono stati rapiti da Al-shabaab nel 2017 e successivamente inviati in campi di addestramento e utilizzati come soldati in vari ruoli di supporto. In Nigeria, Boko Haram ha spesso rapito ragazze per usarle come schiave del sesso o bombe umane, legando ordigni esplosivi improvvisati ai loro corpi e costringendole a perpetrare attacchi suicidi. Nel febbraio 2018 il gruppo ha rapito 110 ragazze e 1 ragazzo da un college a Dapchi, nello stato di Yobe, la maggior parte dei quali tuttavia è stata rilasciata.

Nel 2015 il Consiglio di Sicurezza ha riconosciuto la gravità di tale violazione, adottando la Risoluzione 2225. Quest’atto stabiliva che le parti in conflitto avvezze al rapimento di bambini avrebbero dovuto essere elencate negli allegati della relazione annuale del Segretario Generale. Nel 2016 sono state elencate sei parti in conflitto per tale violazione. Nel 2018 il numero è più che raddoppiato con 14 parti elencate.

Rilasci. Già nel 2017, oltre 10.000 bambini sono stati rilasciati dalle fila di parti in conflitto nella Repubblica Centrafricana, Colombia, Congo, Myanmar, Nigeria, Somalia, nel Sud Sudan e in Sudan.

Nel corso del 2018, in Colombia, in seguito al processo di pace promosso dall’ex Presidente Juan Manuel Santos che nel 2016 ha portato alla smilitarizzazione delle FARC (Forze Armate Rivoluzionarie della Colombia), il gruppo armato ha posto fine all’uso di minori, rilasciato 135 bambini ed è stato rimosso dalle liste allegate al rapporto. Nel corso del 2018, in Myanmar, l’esercito nazionale ha liberato 75 bambini mentre la Civilian Joint Task Force, gruppo armato nigeriano affiliato a Boko Haram, ha lasciato andare 833 bambini. Grazie al connubio tra le Nazioni Unite, leader religiosi, gruppi armati e governo nazionale, 955 minori sono stati rilasciati in Sud Sudan.

Programmi di Reinserimento. Caposaldo del documento è la volontà di reintegrare nella vita civile minori ingiustamente resi soldati attraverso programmi di reintegrazione, a lungo termine e sostenibili, sensibili al genere e all’età, volti a fornire ai bambini l’accesso all’assistenza sanitaria, sostegno psicosociale ed educazione. Si legge infatti che “il supporto per il reinserimento deve essere inteso come uno strumento cruciale per la prevenzione dei conflitti”. Infatti è fondamentale usare la reintegrazione per interrompere cicli di violenza: se l’assistenza ai bambini rilasciati non è imminente o di breve durata, corrono il rischio di essere nuovamente reclutati per mancanza di alternative. In questa direzione lo sforzo profuso dal Rappresentante Speciale Valeria Gamba convinta che la risposta della Comunità Internazionale ai conflitti di oggi deve includere maggiori risorse per garantire che tutti i bambini rilasciati possano beneficiare di programmi di reintegrazione a lungo termine.

La Coalizione Globale per il Reinserimento

Nel settembre 2018, a margine della 73° sessione dell’Assemblea Generale, l’ufficio del Rappresentante Speciale ha co-organizzato con il Belgio un evento dal titolo: “Finanziare il futuro: sfide e risposte al reinserimento dei bambini-soldato”. Durante l’evento, che ha riunito stati membri, organizzazioni della società civile e rappresentanti delle Nazioni Unite, il Rappresentante ha lanciato la Coalizione Globale per il Reinserimento volta a generare nuove idee per sostenere programmi di reintegrazione dei minori precedentemente arruolati.

La Coalizione è guidata dal Fondo delle Nazioni Unite per l’Infanzia, composta da esperti delle Nazioni Unite nella protezione dei minori e organizzazioni della società civile, nonché dalla banca mondiale e dagli stati membri.

Nel corso del 2019, la Coalizione esplorerà modalità di finanziamento, condivisione di buone pratiche tra tutti gli attori coinvolti con lo scopo di portare alla ribalta il ruolo della reintegrazione dei bambini-soldato nell’agenda di sviluppo e pace globale. La sua nascita mira inoltre a fare luce sull’attuale programmazione della reintegrazione, sui suoi successi e lacune evidenziando la vulnerabilità psicosociale dei bambini e dei loro bisogni in termini d’istruzione, inserimento nella società e reinserimento in comunità resilienti. Il comitato direttivo della Coalizione Globale, che è co-presieduto dal Rappresentante speciale, dall’Unicef e comprende rappresentanti degli stati membri, della società civile e delle Nazioni Unite, ha tenuto la sua prima riunione il 7 dicembre 2018.

Un concreto risveglio della Comunità Internazionale che guarda in faccia una delle conseguenze più aberranti della conflittualità mondiale, perché, come affermava Desmond Tutu, Premio Nobel per la pace nel 1984, “è immorale che gli adulti vogliano far combattere i bambini al loro posto. Non ci sono scuse, né motivi accettabili per armare i bambini”.

Federica Governanti

Classe 1987. Palermitana di nascita, cosmopolita nel sangue e ambientalista nell’animo. Alla passione per i diritti umani e le discipline politologiche devo la mia laurea in Relazioni Internazionali, alla curiosità per la cultura a tutto tondo, i miei interessi che spaziano dalla musica alla poesia, dal cinema alla letteratura specie di viaggio. D’indole sognatrice e idealista, ho sposato l’utopia e indosso una fede laica per le cose impossibili. 

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