Smartphone e ansia: come i telefonini ci rubano l’anima

La maggioranza delle persone è oggi indissolubilmente legata al proprio telefonino; ci sono quelli che non lo staccano mai, neanche di notte, quelli che lo portano anche in bagno, o nella doccia, o quelli che al termine di un viaggio aereo, ben prima di tirare giù il bagaglio dalla cappelliera già lo riaccendono. Tra queste categorie si nascondono i soggetti affetti dalla “nomofobia”, termine che sta per “no-mobile-phone phobia”.

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Smartphone e ansia: cos’è la nomofobia?

Non è per fortuna una malattia, ma sicuramente identifica quel particolare stato d’ansia che assale coloro che perdono il cellulare, esauriscono le batterie o il credito o anche non riescono ad avere per alcune ore copertura di rete. Viene considerato un disturbo che predilige le donne (70% vs 61%) e non solo quelle che usano il cellulare per lavoro.

Probabilmente la nomofobia materializza la paura di restare soli (anche se in fondo già lo siamo) e ci convince che la mancanza del telefonino non vuol dire solo non telefonare, ma anche rinunciare alla musica, ai giochi, alle chat, ai social network ed a tutte le consuetudini collegate.

Giovani e smartphone, sempre più soli

Un’altra distorsione nell’uso del cellulare riguarda soprattutto i più giovani che restano connessi e navigano in rete durante le ore serali e notturne. Sono quelli che pensano di perdersi qualcosa, o hanno il timore di essere inadeguati, esclusi, tagliati fuori. Tutto questo li induce a sacrificare il riposo notturno per restare al passo con i messaggi, le notizie, gli aggiornamenti.

Una ricerca condotta dall’Università di Glasgow, presentata durante una conferenza della British Psychological Society, ha interrogato oltre 460 ragazzi di una scuola secondaria scozzese di età compresa tra 11 e 17 anni con l’abitudine ad utilizzare PC, smartphone e tablet fino a tarda sera, ha messo in evidenza in questi giovani bassi livelli di autostima, disturbi della qualità del sonno, cefalea, difficoltà di concentrazione.

È noto che durante il periodo dell’adolescenza le problematiche legate alla deprivazione di sonno possono esser considerate fattori di rischio per la comparsa di ansia e depressione. Diventa allora molto interessante la proposta della ricercatrice Heather Cleland Woods di introdurre nelle famiglie di questi ragazzi il “tramonto digitale”, ovvero lo spegnimento di tutti i dispositivi elettronici almeno 2 ore prima di andare a dormire. Ovviamente un invito tutt’altro che semplice da far rispettare, ma che aumenterebbe il tempo di dialogo tra genitori e figli.

…non solo ragazzi soffrono di “ansia da smartphone”

Ma anche gli adulti non stanno messi meglio dei ragazzi… Quelli impegnati a controllare continuamente lo smartphone ed a smanettare tra messaggi, posta e chat potrebbero essere persone depresse. Il rapporto simbiotico col telefonino potrebbe essere il tentativo di coprire o difendersi da uno stato d’animo negativo. Paola Vinciguerra, psicoterapeuta e presidente di Eurodap (associazione europea disturbi da attacchi di panico) afferma che “il telefonino può essere considerato una sorta di psicofarmaco che copre le ansie, le paure, le gelosie”. La sua improvvisa mancanza le fa riaffiorare violentemente, causando un vero malessere psichico.

Dimmi come usi lo smartphone, ti dirò come stai

Fin qui solo le colpe dei cellulari, ma questi oggetti dalle mille risorse hanno già trovato un riscatto. Al nostro smartphone non possiamo nascondere nulla di noi… Uno studio della Northwestern Medicine ha permesso di individuare, attraverso le modalità di utilizzo del cellulare, i sintomi di una eventuale malattia depressiva. La ricerca, pubblicata sul Journal of Medical Internet Research, ha dimostrato che una persona depressa trascorre in media 68 minuti al giorno al cellulare rispetto ai 17 minuti di chi non lo è. Sono stati seguiti 40 soggetti attraverso una app installata che teneva conto dei loro spostamenti e del tempo in cui lo schermo rimaneva acceso. Si è riusciti ad individuare i soggetti depressi con un’accuratezza dell’ 87%. L’uso compulsivo dello smartphone e la riduzione degli spostamenti sono il segno che qualcosa non va. David Mohr, uno degli autori dello studio, sostiene che questa app permette di rilevare se una persona ha sintomi depressivi senza porgli neanche una domanda.

Un’altra ricerca, pubblicata su BMC Psychiatry, condotta su una popolazione di 4163 giovani (1458 maschi e 2705 femmine) di età compresa tra 20 e 24 anni, ha registrato l’intensità di utilizzo ed il tipo di attività su dispositivi elettronici; anche in questo caso si è dimostrata una correlazione con lo stress, l’ansia, i disturbi del sonno ed altri sintomi a carattere depressivo. In fondo ne siamo tutti coscienti: l’attuale stile di vita, i suoi ritmi, le esigenze della globalità e della comunicazione non possono prescindere dal rapporto con i dispositivi elettronici. Ogni tanto però facciamo qualcosa per noi stessi, proviamo a concederci un buon libro, una passeggiata, un film; ricorriamo ad un antidoto fisiologico verso l’overdose di tecnologia che ci ruba l’anima.

 

Antonio Irlando

Antonio Irlando

Nato a Torre Annunziata (NA), maturità classica al Liceo B. Croce, laureato in Medicina e Chirurgia all’Università Federico II di Napoli, specialista in Nefrologia, diploma di perfezionamento in Nefrologia pediatrica. Ex pallavolista, jogger nei momenti liberi. Vive a Udine. Dirigente medico Ospedaliero presso l’Unità Operativa di Nefrologia dell’ASS4 Medio Friuli. Giornalista pubblicista. Dall’amicizia col collega Massimiliano Fanni Canelles nasce la collaborazione al periodico Social News e l’impegno nelle attività di @uxilia Onlus. 

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