Esercizi per una migliore conoscenza dei Rom

di Alessandro Pistecchia

Le discriminazioni nei confronti dei Rom coinvolgono ampi settori della vita quotidiana, dagli alloggi all’occupazione, dalla salute all’istruzione. Tuttavia, i risultati del progetto “Comici Integrati contro il razzismo” mostrano come, spesso, tutto ciò sia basato soltanto su stereotipi

Numerosi rapporti elaborati da organizzazioni europee (FRA 2011, ECRI 2011) individuano le popolazioni romanì tra i gruppi maggiormente discriminati nel Vecchio Continente. In settori chiave quali alloggio, occupazione, salute, istruzione, i livelli di accesso risultano fortemente distanti da quelli della popolazione maggioritaria, con delle criticità particolari in specifici contesti fortemente disagiati.
Oltre ad un diffuso rigetto verso i gruppi eterodefiniti “zingari”, con una connotazione etimologica ed una rappresentazione generalmente negativa, emerge una tendenza nella quale Rom e Sinti apparterebbero tout court a categorie socialmente svantaggiate (cfr. Eurobarometro 263/2007). Secondo tale visione, una marginalità universale, mitica, ancestrale caratterizza i “popoli delle discariche”(Piasere 2005).
Viceversa, come riportato in vari studi, tendenze etnocentriche caratterizzano le comunità rom, nella convinzione di una superiorità morale dei propri modelli culturali su quelli gagé (i non Rom, Stewart 1997). Alcuni studiosi hanno definito i mondi romanì le culture della resistenza, la reazione allo stile di vita maggioritario.
Per mostrare la complessità di questa relazione ambigua e storicamente complessa, analizziamo i risultati del progetto “Comici Integrati contro il razzismo”, promosso dall’Ufficio Nazionale Antidiscriminazioni Razziali (UNAR) nel 2013 presso le scuole di alcune Regioni.
L’iniziativa ha coinvolto gli alunni di 13 Istituti secondari di primo grado (tra questi, “Agrigento centro” di Agrigento, “Dante Alighieri” di Caserta, “P. Galluppi” di Catanzaro, “Giovanni Bovio” di Foggia, “V. Pipitone” di Marsala, “Alberto Pirro” di Salerno, “Giovanni Pascoli” di San Giovanni Rotondo e “Giuseppe Garibaldi” di Vibo Valentia) con l’intento di analizzare gli stereotipi e i pregiudizi dei ragazzi nei confronti di persone di differente origine, nazionalità, modelli culturali.
Attraverso un questionario, è stato chiesto agli alunni di esprimere la propria opinione, in maniera libera e spontanea, su pregi e difetti degli Italiani e di alcune comunità o minoranze presenti in Italia (Albanesi, Bangladesi, Cinesi, Filippini, Marocchini, Peruviani, Rom, Rumeni). Il fine era quello di sollecitare l’emersione di stereotipi e tendenze etnocentriche per ragionarci e liberarsene.
La parte sui Rom – nella quale rientrano giudizi su comunità con notevoli varianti linguistiche e culturali – risente, in primis, di una diffusa mancanza di conoscenza delle popolazioni, delle origini, dello status giuridico, delle occupazioni più diffuse. Così – e non solo tra gli adolescenti – è ignoto che circa il 50% di Rom e Sinti siano cittadini italiani, che pratichino attività lavorative ordinarie e regolari, che esistano modelli di comportamento da essi considerati validi e superiori a quelli dei gagé.
L’esercizio degli studenti, qui rielaborato, ha fatto emergere diversi spunti di riflessione. In particolare, nella sezione dei “pregi” sono da evidenziare i seguenti elementi.
In risposte quali “le femmine sanno ballare e cantare molto bene”, “sono bravi musicisti”, “allegri, estrosi, proliferi”, “amore per la libertà”, “grandi viaggiatori” si ritrova l’immagine positiva, ma stereotipata, del Rom “figlio del vento”, molto presente nella letteratura: genti libere, viaggiatori, musici, donne e uomini inclini alla danza e al canto, dediti ad un atavico e spontaneo nomadismo. Si ripresenta, in altre parole, il mito del buon selvaggio.
Dalle risposte: “sono bravi a forgiare metalli e a suonare alcuni strumenti”, “sono orgogliosi dei loro figli”, “sono forti a calcio”, “sanno adattarsi ad ogni stile di vita”, “hanno forza di vivere”, “umiltà, capacità di sopportazione”, “tradizionalisti, difendono i loro valori, molta considerazione della loro comunità” emergono immaginari in alcuni casi pertinenti e interessanti, considerata la diffusa ignoranza del fenomeno: l’orgoglio verso i figli e l’importanza della famiglia e del prestigio derivato dalla capacità di badare ad essa, l’adattamento a stili di vita e contesti difficili, l’abilità negli sport (non solo attraverso gli atleti famosi, ma anche per esperienza diretta dei coetanei). L’arte di forgiare metalli, sebbene oggi meno diffusa, rappresenta una tradizionale competenza, un mestiere di molti gruppi rom, specie dell’Europa Orientale. L’elemento di solidarietà emerge a più riprese come un valore positivo e di coesione nell’organizzazione sociale.
Nella sezione dei difetti, è ovvio, emergono risentimenti e stereotipi radicali, a volte ai limiti della disumanizzazione della comunità. In particolare, vanno evidenziate la frequenza di immagini marginali e criminali quali “la maggior parte di essi è delinquente”. Alcune risposte sfiorano inumanità e cannibalismo come “ammazzano le persone e si prendono gli occhi”. Altre sono legate al disagio, alla promiscuità e all’igiene “non si lavano, non rispettano le norme igieniche”.
“Si isolano dalla città e si creano sempre delle capanne dove stare”, conferma un’immagine del Rom nell’accampamento: non tutti i Rom vivono nei campi o in luoghi marginali. Esiste, inoltre, una cura dei propri spazi fortemente sviluppata, anche se basata su visioni del mondo non sempre simili a quelle che conosciamo.
Lo zingaro “bugiardo” e parassita, immagine già sapientemente illustrata da Narciso (1990), appare frequentemente nelle risposte dei ragazzi.
Un altro elemento paradigmatico si ricava da risposte quali “rubano i bambini per la vendita di organi”: è la “leyenda rom” (Cappanera, 2013) lo stereotipo del rapimento di bimbi. Va detto che su questo tema esiste un’ampia letteratura che smonta il pregiudizio, mai confermato da una sentenza di condanna in sede giudiziaria (Tosi Cambini, 2008).
Curiosa e degna di riflessione la risposta “sono zingari”. Si associa la categoria a qualcosa non solo legato ad un’appartenenza culturale/identitaria, ma ad uno stile di vita, un modo di fare, generalmente stigmatizzato. La categoria, il concetto di “zingaro” è, in realtà, un’invenzione: esistono gruppi diversi, caratterizzati da tradizioni differenti e non riconducibili ad un fattore etnico o culturale condiviso. Il primo passo per orientarsi meglio è proprio quello di conoscere le tante diversità di Rom, Sinti e Camminanti.
La risposta “si appropriano dei “nostri” territori” e vivono in condizioni non adeguate mostra una tendenza a considerare tout court i gruppi come “stranieri”, ignorando che metà di essi è in possesso della cittadinanza italiana.
Concetti ricorrenti sono la mancata volontà di integrazione: “non si integrano per non essere discriminati” e la mancanza di “cultura”. La cultura, nella definizione antropologica, non si lega all’istruzione o alle buone maniere, ma è patrimonio di tutti. Il rispetto di alcune tradizioni e legami familiari, la gestione del vivere collettivo, la preparazione del cibo fanno sentire ogni gruppo superiore agli “altri”.
Come anticipato, questo vale anche per i Rom verso i gagé: alcuni nostri comportamenti sono ritenuti assurdi e “culturalmente arretrati”. “Fanno troppi figli che poi non possono mantenere”. Idea assai diffusa, si contrappone alla percezione positiva della famiglia numerosa (si veda il proverbio in lingua romanì “but chavé, but baxt” molti figli, tanta fortuna).
Anche nel settore dell’istruzione, guardando ai coetanei, si evidenziano le risposte “poco istruiti; non vogliono andare a scuola”. Esse mostrano, seppur mettendo il luce la problematica reale della dispersione scolastica, una scarsa comprensione della complessità del fenomeno.
Mentre le risposte testimoniano quanto siano persistenti i pregiudizi, figli di luoghi comuni, leggende metropolitane, informazioni superficiali, si rimarca l’ignoranza del valore di quanto i Rom siano pacifici (non hanno mai partecipato ad una guerra, slogan spesso proposto dagli attivisti), di un passato segnato da coercizioni (bandi, schiavitù, pratiche genocidiarie) o, semplicemente, delle loro oggettive difficoltà nell’accesso ai servizi.
La comunità romanì – che non gode di riconoscimento da parte della legislazione italiana come minoranza etnico-linguistica – è stata storicamente oggetto di sentimenti di ostilità e rigetto. L’esclusione e lo stigma antigitano hanno radici profonde e complesse: la percezione dell’opinione pubblica resta negativa, mentre la valenza antipopolare degli interventi a favore della comunità contribuiscono ad ostacolare l’applicazione delle tutele normative in ambito scolastico, sanitario, occupazionale, abitativo.
Esistono, tuttavia, dei tentativi tesi alla sensibilizzazione e alla lotta contro l’etnocentrismo e lo stereotipo anti-zingaro che mirano ad un’attenuazione dell’ansia collettiva e dei suoi devastanti effetti.
Supportare l’autonomia e la partecipazione delle comunità – uscendo dal vicolo cieco dell’assistenzialismo – può contrastare il processo di disumanizzazione dei Rom e i miti che hanno giustificato, in passato, comportamenti vessatori e pratiche genocidiarie.
Gli interventi nel settore della formazione, ad esempio, rappresentano anche un messaggio per i non Rom, uno strumento simbolico di prossimità verso l’altro che può favorire la rottura di barriere culturali, paure immaginarie e l’opera di distruzione del pregiudizio antitzigano. Esercizi sugli stereotipi, pregi e difetti, suscitano reazioni di intolleranza, ma – se ben accompagnati – aiutano a riflettere.

Alessandro Pistecchia
Esperto UNAR – Dipartimento per le Pari Opportunità – Presidenza del Consiglio dei Ministri

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