
Foto di: Beatrice Selice, grafica realizzata dall’autrice, 30 ottobre 2025
La questione abitativa, l’esaurimento delle risorse naturali, la ridefinizione del mercato del lavoro sono solo alcune delle sfide più impellenti poste dal presente, segnando un momento di cesura storica rilevante attraverso la riconsiderazione del nostro vivere quotidiano.
E come innovare il sistema apportando migliorie tangibili per la popolazione, senza ricadere in logiche e modelli già oggetto di discussione?
Come spesso accade, la soluzione viene trovata mediante la semplificazione, nel senso più nobile del termine, spogliandosi del superfluo e ritornando alle origini, a ciò che era prima.
Qui entra allora in gioco la forza del pensiero critico unito alla creatività, che consentono la reinterpretazione di tutto ciò che è essenziale mediante uno sguardo contemporaneo, mettendo a frutto gli insegnamenti e le consapevolezze raccolte grazie al passato.
Tra le competenze necessarie per navigare la modernità e il futuro, invertendo la rotta attuale mondiale, vi è quindi la necessità di far riaffiorare il senso di comunità negli individui, instaurando forti reti solidali comunitarie, riconducendo così l’uomo alla sua condizione primordiale: quella dell’essere sociale e del vivere insieme, rendendo ogni individuo parte integrante di una comunità.
Il termine comunità, derivante dal latino communĭtas -atis ossia «comunanza», derivante di communis«comune», come riporta Treccani si riferisce ad un “insieme di persone che hanno comunione di vita sociale, condividono gli stessi comportamenti e interessi”. Tuttavia, tale definizione appare restrittiva poiché la comunità non si fonda unicamente sulla condivisione coi propri simili, con chi condivide “comportamenti ed interessi”, ma anche sull’altro, chi è estraneo a tali comportamenti ed interessi.
Oggi più che mai quindi, in una società sempre più interconnessa che vive in un villaggio globale[1], portando vicino ciò che è geograficamente e culturalmente lontano, la comunità si fonda soprattutto sull’alterità, sull’altro nella sua diversità ed unicità, accettando e riconoscendo il suo valore aggiunto. Ed è infatti su tale presupposti che si fonda un vivere pacifico, che prende in considerazione e dona pari voce e dignità all’alterità.
Per questo è fondamentale insegnare alle nuove generazioni il valore dell’accettazione e del riconoscimento dell’altro nella sua unicità, e di conseguenza della comunità estesa, sin dai primi anni di vita. Uno dei veicoli attualmente più usati a tale scopo è la forma artistica, che permette l’apprendimento esperienziale attraverso la creatività.
La realizzazione di opere collettive e collaborative all’interno della scuola rappresentano infatti una palestra di sperimentazione di una serie di dinamiche ricorrenti nel modello comunitario.
L’engagement inclusivo di tutti i membri, la collaborazione verso un obiettivo comune, l’incontro con l’incertezza e il conseguente sviluppo di abilità sociali come la comunicazione e il problem-solving nonché il rafforzamento del senso di appartenenza ad una comunità e della stima in sé sono solo alcune delle competenze apprese attraverso opere collettive, utili per navigare il quotidiano e che, essendo acquisiti e rafforzati mediante un apprendimento esperienziale in un ambiente rassicurante, noto a bambini e ragazzi, consente la sperimentazione in libertà ed il consolidamento di tali competenze.
Progetti di questo genere, permettono inoltre l’introduzione di modelli educativi alternativi ed il superamento dei setting didattici noti. Il riconoscimento delle diverse abilità e predisposizioni di ogni individuo, senza tuttavia negarle o nasconderle, permette la valorizzazione della diversità, stimolando il riconoscimento dell’importanza dell’inclusione di tutti i membri a vantaggio del bene collettivo, in quanto ogni individuo è portatore di un contributo inedito e personale non replicabile al un progetto comune, fondamentale per il raggiungimento del risultato finale.
[1]Espressione ossimorica coniata da McLuhan, sociologo canadese, nel 1964 all’interno del saggio “Understanding Media: The Extensions of Man”
