
A poche settimane dalla dissoluzione ufficiale del PKK molti quesiti sul processo di transizione rimangono ancora senza risposta, tra proposte di politici e parlamentari turchi e curdi, e rivendicazioni della società civile curda
Il 12 maggio, lo scioglimento del Partito dei Lavoratori curdi (PKK), annunciato da Öcalan a febbraio, è stato ufficializzato come risoluzione della riunione straordinaria del dodicesimo Congresso del Partito. Il Congresso, tenutosi in due luoghi separati per evitare eventuali attacchi da parte della Turchia, si è concluso con l’annuncio dello scioglimento del PKK e il conseguente inizio di una nuova era del movimento di liberazione curda, che si concentrerà sul raggiungimento dell’uguaglianza dei cittadini curdi e turchi, i quali dovranno condividere, nella prospettiva del partito, la stessa terra e gli stessi diritti in una nuova società democratica. Le diverse ragioni che hanno portato a questa decisione, dopo 40 anni di guerriglia ininterrotta, sono da ritrovare in un cambiamento sostanziale negli orizzonti e metodologie della lotta curda a partire dalla fine dei negoziati per la pace tra PKK e governo turco nel 2015. Da allora, nonostante la continuazione della mobilitazione militare da parte del PKK e altri gruppi attivi nella regione turca, la lotta per l’autodeterminazione del popolo curdo è perseguita su un piano democratico e riformista. Data la compresenza di partiti curdi e turchi nel Parlamento, le rivendicazioni dei partiti curdi e dei loro alleati in coalizione, sotto la guida del partito a maggioranza curda DEM, sono state perseguite per processo parlamentare, tramite proposte di legge che potessero porre fine alla questione curda, attraverso un riconoscimento dei diritti linguistici e culturali dei curdi in Turchia.
Ma cosa succederà alla società civile curda, e soprattutto agli ex-combattenti del PKK, ora che la milizia è stata sciolta? Il Congresso Nazionale del Kurdistan (KNK), una rete che riunisce i partiti politici, organizzazioni civili e personalità curde delle regioni curde e delle comunità diasporiche, ha pubblicato una lettera aperta in cui invita i leader mondiali, le istituzioni e gli intellettuali a sostenere una transizione democratica in Turchia dopo lo scioglimento del PKK. La dichiarazione, rilasciata da Bruxelles, delinea una tabella di marcia urgente per la pace in quella che definisce “l’era post-PKK”. In questa nuova era, la Turchia dovrà compiere passi importanti verso il riconoscimento dell’esistenza dei curdi e la garanzia dei diritti fondamentali estesa a tutta la popolazione. Per la KNK, il leader del PKK Abdullah Öcalan dovrà essere liberato, seguendo la delibera della Corte Europea dei Diritti Umani del 2014 nel caso Öcalan contro Turchia; il PKK dovrà essere cancellato dalla lista delle organizzazioni terroristiche del governo turco e dell’Unione Europea; e l’Europa dovrà essere coinvolta come mediatore nei negoziati tra PKK e Turchia, in modo tale che la Turchia rispetti il cessate il fuoco, e non prosegua le sue operazioni militari nelle regioni curde al confine della Turchia, e avvii il processo a una risoluzione democratica della questione curda.
Le richieste del KNK sono motivate dalla necessità di protezione della popolazione civile curda e degli ex combattenti del PKK. Non sarebbe infatti la prima volta che il PKK depone le armi ma la Turchia continua ad attaccare i villaggi curdi all’interno del suo territorio o al confine con la Siria, portando avanti anche di rapimenti notturni di massa, in seguito ai quali si verifica la scomparsa di ex-combattenti del PKK, e impedendo che si prospetti una risoluzione effettiva del conflitto. Per quanto i civili curdi e i combattenti del PKK abbiano sviluppato un rapporto di fiducia nel corso di decenni, e per quanto la popolazione civile curda possa adoperarsi per nascondere e proteggere gli ex-combattenti dal governo turco, nel corso del conflitto tra Turchia e PKK sono stati parecchi i casi di prelievi notturni dalle case, rapimenti, o distruzione di interi villaggi da parte del governo turco nel nome di una “sconfitta definitiva dei terroristi”. Questa dinamica, nel corso degli anni, ha portato solo a un proseguimento incessante del conflitto. Per il KNK, la pace non sarà possibile se non viene perseguita da ambedue le parti. Se il governo turco non garantirà l’amnistia degli ex-membri del PKK non sarà possibile un’effettiva risoluzione della questione curda.
La scarcerazione di Öcalan e la transizione alla pace non sono le uniche richieste delle associazioni della società civile curda. Dopo il secondo Simposio della lingua curda in Norvegia, i partecipanti hanno concluso che l’unica soluzione di pace possibile vede la Turchia come attore centrale nel riconoscimento ufficiale delle lingue parlate dai curdi, il curdo e il sami, in modo tale che ne venga garantita la tutela e la sopravvivenza. Inoltre, il partito DEM ha richiesto l’avvio da parte del governo turco di una Commissione apposita che possa mettere luce sulle sparizioni forzate dei curdi commesse dalla Turchia nel corso degli ultimi 40 anni, che si sono riconfigurati in veri e propri rapimenti di massa. Diverse organizzazioni non governative si adoperano da anni per ritrovare i cadaveri dei desaparecidos curdi, spesso ritrovati accatastati in pozzi sparsi per la Turchia Orientale, per poterli riportare alle famiglie in lutto.
La rappresentante del partito DEM, Hatimoğulları, suggerirebbe una transizione incentrata sull’azione del Parlamento turco, che dovrebbe prendersi la responsabilità storica delle atrocità commesse contro la popolazione civile curda nel corso dell’ultimo secolo, e cominciare una serie di riforme che possano portare la Turchia alla pace, alla democrazia e alla giustizia. Il partito DEM si sta adoperando in un dialogo con altre forze parlamentari per costruire una pace duratura che possa portare a una risoluzione definitiva e democratica alla questione curda e porre una fine a decenni di conflitto armato, grazie a riforme democratiche che garantiscano ai curdi i diritti linguistici e culturali, negati dal governo turco da oltre un secolo. In questi negoziati per la pace, una delle richieste del partito DEM e di molte associazioni a sostegno della causa curda, è la liberazione di Öcalan dal carcere di massima sicurezza di İmralı, dove è detenuto dal 1999. La liberazione di Öcalan sarebbe un gesto simbolico, un invito alla pace basato su presupposti di riavvicinamento concreti, ma anche una risposta a una richiesta portata avanti dalle associazioni della soscietà civile da vent’anni a questa parte.
Dopo lo scioglimento del PKK, il 18 maggio, Öcalan ha rilasciato un ultimo comunicato, chiamando i turchi e i curdi alla pace, al ricordarsi delle loro radici comuni, alla ricostruzione di una fratellanza tradita. Abdullah Öcalan, durante la visita di una delegazione del partito DEM al carcere di İmralı, ha mandato un messaggio ai curdi e al governo turco, sottolineando la necessità di un nuovo contratto sociale basato sulla fratellanza di curdi e turchi, cambiando il paradigma conflittuale portato avanti negli ultimi decenni. Lo storico leader del PKK richiama inoltre alla necessità di pazienza, saggezza e calma nel processo verso una soluzione democratica non solo alla questione curda, ma ai problemi di tutta la Turchia.
Tuttavia, alcune iniziative importanti sono state promosse anche dai parlamentari turchi, che si sono mostrati effettivamente interessati alla costruzione di un dialogo con i partiti curdi per la risoluzione pacifica della questione curda. Il 19 maggio, Devlet Bahçeli, leader del partito di estrema destra MHP, ha proposto l’avvio dei lavori di una commissione parlamentare con 100 membri, rappresentanti di tutti i 16 partiti in Parlamento, che rispondano alla chiamata storica di Öcalan elaborando una proposta per la risoluzione che verrà poi inviata al Parlamento per essere approvata. Contestualmente, il Presidente Erdogan ha incaricato l’avvocatessa Kezban Hatemi di riprendere i negoziati per la pace con le forze curde, in un’ottica di riconciliazione tra turchi e curdi. “Questa non è solo una questione curda,” ha dichiarato. “È una questione turca, e sarà risolta solo venendo a patti con la verità e abbracciando una politica riconciliativa.” Con questa dichiarazione, l’avvocatessa sottolinea l’importanza da parte della Turchia di riconoscere gli abusi commessi dal governo, e da ambedue le parti di mantenere un atteggiamento propositivo nei negoziati per la pace duratura in Turchia.