Deportazioni di massa negli USA: come la politica migratoria di Trump si interseca con la politica estera

Centinaia di cittadini venezuelani residenti negli USA sono stati trasferiti da centri di detenzione negli Stati Uniti alla maxi-prigione CECOT in El Salvador

Dopo la decisione della Corte Suprema degli Stati Uniti della settimana scorsa, che permette la deportazione di persone migranti presenti illegalmente sul suolo statunitense verso Paesi terzi, ci si chiede quale sarà il futuro delle persone razzializzate in America per i prossimi quattro anni. La sentenza approva l’invocazione del Alien Enemies Act, utilizzabile solo in stato di emergenza e di gi, dando legittimità alla dichiarazione di guerra da parte del Presidente alla gang criminale operativa in Venzuela Tren de Aragua. Ma è così facile deportare immigrati verso Paesi terzi? No, Donald Trump ha dovuto usare il braccio di ferro nelle sue relazioni diplomatiche, o spendere ingenti somme di fondi statali, per fare in modo che una serie di Paesi accettassero di accogliere un numero così copioso di immigrati come quello da lui promesso in campagna elettorale.

Negli ultimi mesi, 260 cittadini venezuelani residenti negli USA sono stati arrestati e trasferiti da centri di detenzione negli Stati Uniti, tra cui quello alla baia di Guantanamo, a una maxi-prigione CECOT in El Salvador, paese con cui ha un accordo per la detenzione di migranti. Nel corso di una settimana, il presidente del Venezuela ha quindi accettato di accogliere nel suo paese i cittadini venezuelani deportati dagli USA, nonostante le resistenze iniziali di Maduro. Il Presidente del Venezuela si è inizialmente opposto ai rimpatri di massa, ma è stato successivamente obbligato a fare un passo indietro sulla sua decisione, dopo che gli Stati Uniti hanno esteso l’embargo commerciale del Venezuela anche sulle forniture di petrolio. L’esportazione di combustibili fossili è centrale per l’economia del Paese sudamericano, e le conseguenze di questa mossa diplomatica da parte degli Stati Uniti avrebbe sicuramente messo in ginocchio il Paese.

Da un lato, la deportazione di cittadini venezuelani da parte degli Stati Uniti costituisce un’usurpazione della sovranità venezuelana, per cui Maduro si è subito opposto duramente al reimpatrio o la deportazione dei suoi concittadini; dall’altro lato, le pressioni degli Stati Uniti hanno visto il Presidente costretto ad accettare il rimpatrio di centinaia di persone. La politica estera di Trump è un gioco di potere che ricorda più una trattativa commerciale che la conduzione di un rapporto diplomatico tra Stati sovrani. La collaborazione tra il presidente Trump e Bukele è cruciale: mentre da un lato Trump dice addio agli alleati storici degli Stati Uniti, dall’altro stringe rapporti diplomatici sempre più forte con figure autoritarie Bukele, in un piano di foreign policy strategicamente congeniato per rendere possibili le deportazioni di massa.

Gli USA hanno pagato 6 milioni di dollari al governo salvadoriano per la presa in carico della detenzione di migranti dagli Stati Uniti. Sono più di 260 le persone di origine latino-americana deportate verso la maxi-prigione CECOT in El Salvador, luogo di tortura e fiore all’occhiello del Presidente Bukele, che può ospitare circa 40 mila detenuti. Di questi, una trentina sono sospetti membri della gang MS-13, e 137 sono accusati di far parte dell’organizzazione Tren de Aragua, ma tra di loro nessuno è stato sottoposto a processo dalle autorità americane. Mentre negli Stati Uniti i rappresentati legali e le famiglie dei detenuti cominciano importanti battaglie legali per la garanzia di un giusto processo, o anche solo per un effettivo controllo dell’identità dei detenuti, sempre più casi di detenuti deportati ingiustamente vengono confermati dalle autorità americane. Tuttavia, le stesse dichiarano di non poter intervenire, e che la decisione sul futuro dei detenuti spetta alle autorità salvadoriane.

Per quanto la delibera della Corte Suprema ponga dei limiti alle deportazioni e sottolinei l’importanza di seguire il processo burocratico regolare, l’agenzia ICE (Servizio di Immigrazione e Controllo Doganale) continua a muoversi più velocemente delle corti. Nel corso degli ultimi mesi, l’accusa di affiliazione all’organizzazione criminale Tren de Aragua è già stata utilizzata come pretesto per deportare centinaia di persone latinoamericane: è sufficiente una denuncia, una segnalazione, o un sospetto discrezionale di affiliazione alla gang da parte degli agenti ICE perché avvenga l’arresto e la deportazione, senza passare per nessun tribunale o giudice che possa accertarne la colpevolezza.

Quel che ne è conseguito è un numero esorbitante di “errori amministrativi” da parte dell’ICE, che hanno causato l’incarcerazione e la deportazione di decine di persone con permesso di soggiorno regolare, di cittadini venezuelani provenienti da parti del Paese in cui Tren de Aragua non è attiva, di migranti sudamericani ma non venezuelani, o semplicemente di persone razzializzate, e il Presidente salvadoriano ha già dichiarato di non avere intenzione di rilasciare i detenuti. Quando, il mese scorso, il giudice Boasberg ha decretato l’illegittimità delle deportazioni di massa di cui l’agenzia ICE si stava prendendo carico, ormai era già troppo tardi, perché le persone erano già state espatriate in El Salvador; quindi, si trovavano fuori dalla giurisdizione della corte, come sottolineato da un tweet da parte del presidente di El Salvador Bukele: “Oops…Troppo tardi”. Parole taglienti che segnano il punto: la mega prigione CECOT sarà per molti, innocenti o meno, un punto di non ritorno.

Chiara Caria

Chiara Caria è una laureanda in Global Cultures (laurea magistrale, Università di Bologna) e Comunicazione Giornalistica, Pubblica e D’Impresa (laurea magistrale, Università di Bologna), laureata in Mediazione Linguistica Interculturale per Interpreti e Traduttori (laurea triennale, Università di Bologna). Interessata a questioni di geopolitica, conflitti globali e diritti umani, collabora con Social News e altre riviste. 

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