Elezioni Europee 2019

Perché andare a votare domenica per le elezioni del Parlamento europeo?

Una domanda che si fanno in molti, contagiati da un generale atteggiamento di sfiducia nelle istituzioni e nella capacità di cambiare in meglio le cose.

A ben vedere però, sarebbero proprio costoro i primi interessati e a doversi sentire motivati ad andare a votare: è la logica che lo dice. Chi non va a votare fa, obiettivamente, il gioco del vincitore, chiunque egli sia, gradito o meno. Sono i numeri a dirlo ed è, appunto, logica elementare. Se può essere comprensibile un atteggiamento di totale distacco dalle vicende del mondo, ritirarsi nel proprio personale, ignorando volutamente ciò che ci circonda, non è però giustificabile l’atteggiamento di chi, rinunciando all’esercizio del diritto di voto, si sente poi autorizzato a lamentarsi di ciò che, in misura grande o piccola, non ha comunque contribuito a cambiare. Per essere più chiari: ha diritto di lamentarsi e di criticare chi opera per cambiare ciò che non condivide. E’ un punto di vista poco democratico? Non mi sembra. Se il fondamento della democrazia è il libero confronto delle idee, chi rinuncia al confronto, anche mancando all’esercizio del voto, ha tutto il diritto di essere lasciato in pace, ma ha altresì il dovere, appunto, di astenersi da ogni lamentazione.

Questi atteggiamenti, che tendono a nobilitare il piagnisteo ammantandolo delle vesti della critica (che è ben altra cosa), sono spesso il frutto della pigrizia e della scarsa attenzione per l’approfondimento delle conoscenze necessarie ad esprimere ogni tipo di giudizio. In sintesi: sono il prodotto dell’ignoranza. Un esempio su tutti: quante volte si sentono levare invettive scomposte nei confronti delle istituzioni europee, tacciate di essere occupate da tecnocrati e burocrati privi di legittimazione democratica? Niente di più falso: per rendersene conto è sufficiente esplorare i siti istituzionali della UE (molto più belli, accessibili e facili da consultare di quelli nostrani) per rendersi conto della varietà delle forme di partecipazione previste dai procedimenti di approvazione degli atti ufficiali. Lo stesso meccanismo di selezione dei componenti della Commissione è molto più trasparente della formazione di qualsiasi governo nazionale. E se un deficit di democraticità si lamenta, questo non va certo individuato nel Parlamento, eletto a suffragio universale, libero e diretto da ciascun cittadino europeo, né nella Commissione, espressione delle forze di maggioranza espresse dal voto, ma piuttosto nel Consiglio, organo che rappresenta il governo di ciascuno Stato membro, ove trovano sfogo, non a caso, gli egoismi nazionali a scapito di ciò che dovrebbe portare all’elaborazione di una visione comune.

Si vogliono cambiare le cose in Europa? Ed allora si vada a votare convintamente per la forza politica che meglio esprime la direzione che si desidera imprimere a questo cambiamento. Le politiche europee ne verranno condizionate di conseguenza. Ad una condizione tuttavia: deve trattarsi di un voto espresso “per” l’Europa, non per provocare il suicidio dell’Europa ed il suo annichilimento in uno scenario globale che vede l’ascesa preoccupante di forze che con la tradizione umanistica europea hanno ben poco a che vedere. Non mi riferisco solo a Russia e Cina, ma anche a quella pericolosa china che sta portando gli Stati Uniti verso posizioni un tempo impensabili.

Non bastasse quanto detto sin qui, propongo alcuni spunti di riflessione a favore di un voto consapevole.

  1. L’Unione Europea ha portato il più lungo periodo di pace che l’Europa abbia mai avuto nella sua storia. Superamento dei confini, collaborazione, mobilità e amicizia, mentre in tanti altri luoghi, anche a noi vicini, continuavano a scoppiare focolai di violenze e tragedie.
     
  2. L’unione dei leader sovranisti (ma il termine corretto è “nazionalisti”) non è un’alternativa per l’Europa. È un inganno. “Prima gli italiani” non potrebbe convivere con “prima gli austriaci” o “prima gli spagnoli” ecc., e porterebbe solo a prove di forza muscolari. Non esiste un “prima”: siamo cittadini d’Italia e d’Europa.
     
  3. I più ostili nei confronti della situazione economica dell’Italia sono proprio i nazionalisti: la leader di “Alternative für Deutschland” vorrebbe che la Banca d’Italia garantisse il debito Italiano con 400 miliardi di euro, il Capo del Governo austriaco ha dichiarato più volte che non ammette che l’Europa si faccia carico del debito italiano, Marine le Pen vuole tassare pesantemente le importazioni, quando la Francia è uno dei primi mercati al mondo del made in Italy.
     
  4. I leader nazionalisti rifiutano qualsiasi coinvolgimento riguardo la situazione dei migranti.
  1. L’Unione Europea ha creato il più grande mercato del mondo: 508 milioni di cittadini, 24 milioni di imprese, 3,6 milioni di posti di lavoro in più, aumentando il PIL pro capite di ogni cittadino, oltre a garantire la libera circolazione di persone, servizi, merci e capitali. E l’Italia, non dimentichiamolo, è un paese a forte export. Quando poi parliamo di euro ricordiamoci che ha portato a ridurre a meno di un terzo gli interessi del nostro debito pubblico, che alla fin fine paghiamo tutti quanti.
     
  2. Senza l’Europa non ci sarebbe l’Erasmus. Finora il progetto ha coinvolto 9 milioni di studenti, ed altri 12 milioni dovrebbero vivere questa esperienza nei prossimi 7 anni. Circa 400.000 studenti italiani hanno partecipato al progetto Erasmus e solo nel 2018 abbiamo ospitato in Italia 26.000 studenti. Interculturalità, competenze, confronto, opportunità e una prospettiva di lavoro nel mercato unico europeo.
     
  3. L’80% delle norme ambientali italiane derivano dall’Europa. 550 direttive, regolamenti e decisioni in campo ambientale hanno reso elevati gli standard ambientali europei.  Certo c’è ancora tanto da fare e la minaccia di un disastro ambientale è spaventosa. Ma davvero pensiamo che da soli avremmo fatto meglio?
     
  4. Rafforzare e migliorare l’Europa ci mette al centro in un mondo sempre più globalizzato. L’alternativa non sono le nazioni forti, ma diventare vassalli del Putin o del Trump di turno.

Informarsi, riflettere, votare: ciascuno è chiamato a fare la sua parte. E non ci sono scuse.

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