Flavio Chiapponi
In quasi tutti i Paesi europei si assiste alla forte ascesa di nuovi movimenti dalle idee sempre più estreme che cavalcano le frustrazioni sorte dalla crisi economica e dal forte aumento della disoccupazione. Questi nuovi partiti alimentano e, allo stesso tempo, sono nutriti dall’euroscetticismo
Volgendo lo sguardo ai risultati elettorali recentemente prodottisi nei Paesi membri dell’Unione, verrebbe da parafrasare l’incipit marxiano del Manifesto: uno spettro si aggira per l’Europa. Soltanto che, stavolta, l’avversario verso il quale i Governi nazionali si rivelano più vulnerabili non è il comunismo, ma una famiglia di partiti variopinta e frastagliata al suo interno, accomunata dal vigoroso attacco alle élites, dalla celebrazione delle virtù innate del popolo e dall’euroscetticismo: quella populista.
Il successo ottenuto da Marine Le Pen e dal suo Front National nelle amministrative francesi del marzo scorso non costituisce che l’ultima, roboante, manifestazione di un fenomeno che pare avere attecchito un po’ ovunque in Europa, dall’Italia – che un autore come Marco Tarchi ha battezzato come il “paradiso populista” – con l’exploit del Movimento Cinque Stelle, alla Finlandia, con l’avanzata del partito dei “Veri finlandesi”; dall’Olanda, dove la formazione dell’eurodeputato uscente Geert Wilders è ormai una presenza stabile e non più episodica nel sistema politico, fino alla Gran Bretagna, che ad ogni tornata valida per l’elezione del Parlamento di Strasburgo vede riversarsi sull’UKIP (“United Kingdom Indenpendence Party”) di Nigel Farage una significativa quota di voti.
Alla luce di queste premesse, non a caso gli analisti si attendono un’ulteriore conferma di consensi per questi movimenti in occasione delle prossime consultazioni europee, in calendario per il 25 maggio. Ma quali sono le radici che alimentano la pianta populista? E perché si prevede che siano questi attori i principali beneficiari del vento euroscettico?
Quanto al primo interrogativo, semplificando, molto ha a che vedere con la scarsa capacità esibita dagli esecutivi nazionali e dalla UE di ribaltare la spirale negativa innescata dalla crisi globale che ha investito le economie del vecchio continente. I segnali di ripresa tardano a manifestarsi, tanto che alcuni Paesi, come il nostro, mostrano tassi di disoccupazione sconosciuti in precedenza: ne consegue che la crisi, da economica, diviene facilmente politica, allorché le Democrazie faticano a garantire il Governo delle dinamiche socio-economiche insieme al cambiamento richiesto dai cittadini. Viene messa in discussione la legittimità stessa della politica mainstream: ad una fetta crescente dell’opinione pubblica, le istituzioni democratiche appaiono come contenitori vuoti, indifferenti alla vita quotidiana dei cittadini, chiamati, però, a sopportarne i costi. Non sorprende, perciò, che agitando la bandiera degli uomini comuni, buoni ed operosi, vessati dagli sprechi della “casta”, i movimenti populisti possano credibilmente candidarsi ad intercettare la protesta che sale dagli elettorati europei.
Quanto al secondo quesito, la UE, per come si presenta la sua architettura istituzionale e per come si è finora snodato il processo decisionale al suo interno, rappresenta il bersaglio ideale della propaganda populista: il potere che sta a Bruxelles è percepito dai populisti come lontano e nemico, un gruppo di burocrati privi di legittimazione elettorale che impone vincoli di bilancio ai singoli Stati membri, mentre stenta a trovare una posizione comune su molte issues che formano l’agenda della politica internazionale. Non sorprende, allora, che, solleticando queste corde, i populisti facciano dell’euroscetticismo il loro principale tema in agenda, proponendo, di fatto, un ritorno agli Stati nazionali o, comunque, l’allentamento del potere oggi detenuto dalla Commissione e dal Consiglio Europeo.
Un dato è comunque certo: in assenza di decisa assunzione di responsabilità da parte delle maggiori forze politiche rappresentate a Bruxelles, così come di un forte disegno riformatore che accresca la legittimità democratica di cui possono beneficiare le istituzioni dell’Unione, il probabile successo dei populisti alle prossime elezioni rischia non solo di rendere difficile la ricerca di un equilibrio pro-UE entro il Parlamento, ma anche di mettere a repentaglio, in tutto o in parte, l’ulteriore ispessimento dell’appartenenza all’Unione stessa.
Flavio Chiapponi
Docente di Comunicazione politica e Comunicazione Politico-Istituzionale presso l’Università di Pavia.
Capo Redattore della rivista “Quaderni di Scienza politica”