Oltre un milione di bambini rifugiati. La crisi umanitaria sembra non finire

Angela Caporale

In ogni conflitto ci si concentra sull’equilibrio politico delle parti. Nel caso della Siria, al centro del dibattito si colloca l’uso delle armi chimiche. Nel frattempo, il popolo siriano continua a pagare un prezzo altissimo. Centinaia di migliaia di persone innocenti la cui vita è stata completamente stravolta dalla guerra civile, divampata, ormai, più di due anni fa. UNICEF e UNHCR (Alto Commissariato ONU per i Rifugiati) hanno annunciato il raggiungimento di un poco lusinghiero traguardo: i bambini rifugiati sono, ormai, più di un milione. Un numero simbolico, ma, soprattutto, “il milionesimo minore rifugiato è un bambino reale, strappato alla propria casa, forse anche alla propria famiglia, e costretto ad affrontare orrori che noi possiamo comprendere solo in parte.” Queste le parole  del Direttore Esecutivo dell’UNICEF, Anthony Lake, a commento della notizia. Secondo i dati più recenti divulgati dalle due agenzie, i bambini rappresentano la metà di tutti i rifugiati del conflitto. Tra essi, 740.000 hanno meno di 11 anni. Circa 7.000 sono, inoltre, i bambini che hanno perso la vita durante gli ultimi tre anni e oltre 2 milioni gli sfollati che si trovano ancora all’interno del Paese.
Il più recente report ha osservato anche le condizioni delle principali infrastrutture. I risultati non sono positivi: una scuola su cinque è stata rasa al suolo, danneggiata oppure convertita in rifugio per ospitare i profughi. La disponibilità di acqua è ridotta di due terzi rispetto al periodo antecedente alla crisi e i bambini sono maggiormente esposti a malattie, viste le condizioni sanitarie precarie. Sono stati registrati numerosi casi di infezioni respiratorie ed infiammazioni cutanee, come la scabbia. Sono, tuttavia, i traumi psicologici che portano a definire i bambini siriani come “la generazione perduta”: uno su tre è stato picchiato o ferito con un colpo di arma da fuoco, moltissimi sono stati testimoni di omicidi, scontri e altri atti di violenza, il senso di paura e lo stress lasciano segni indelebili che supereranno ampiamente la durata del conflitto. Una volta varcati i confini del Paese, inoltre, le condizioni di vita nei campi profughi sono spesso lontane dagli standard considerati umani: i rischi sono molteplici, dallo sfruttamento lavorativo e sessuale al traffico di esseri umani. Secondo l’UNHCR, il flusso di emigrazione dalla Siria continua a crescere: oltre 30.000 sono le persone che hanno lasciato il Paese soltanto nel mese di agosto. I Paesi confinanti, Turchia, Libano, Giordania ed Iraq, soprattutto, sono vicini al collasso. Si è reso necessario redigere un Piano di risposta regionale per far fronte alla crisi umanitaria: prevede un finanziamento di tre miliardi di dollari per soddisfare i bisogni dei rifugiati fino a dicembre. Ad oggi, però, è disponibile solo il 38% della cifra. Diventa, quindi, pressante garantire il rispetto dei più basilari diritti della persona. Dove non arrivano le istituzioni, è positivo l’impegno delle associazioni e delle Onlus: lo stesso Direttore Esecutivo dell’UNICEF richiama tutti a sentirsi responsabili delle condizioni in cui versa la popolazione siriana. Il dramma non deve lasciarci indifferenti.

di Angela Caporale
Collaboratrice di SocialNews

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