La passione, l’entusiasmo, lo spirito di squadra, la fantasia, la capacità di relazione sono da sempre ingredienti indispensabili per essere bravi librai. La base sulla quale costruire poi tutto il resto. Ma per dar vita a una libreria di qualità ci sono altri talenti da coltivare, meno vistosi, ma altrettanto essenziali: l’umiltà, la costanza e la pazienza.
Sull’evoluzione della figura del libraio
Se si parla di “evoluzione della figura del libraio”, non si può eludere il tema del valore, che nel nuovo secolo assume un’importanza fondamentale per la sopravvivenza dei mestieri. Valore della tradizione, della qualità, del capitale umano, della personalità costituiscono, a mio parere, altrettanti spunti di riflessione dentro e fuori dalle librerie.
Il valore della tradizione.
È un dato di fatto che i librai, i veri librai, sono una razza in via di estinzione. Purtroppo. In una società avviata sempre più verso la standardizzazione e l’appiattimento, il rischio che vengano soppiantati da semplici venditori di libri è qualcosa che davvero si tocca con mano. E non è un bel toccare. Per chi rimane dell’idea che la libreria non è sempre stata solo il canale principale della diffusione dei libri (e dunque, indirettamente, della cultura), ma continuerà ad esserlo per molto tempo ancora, è inconcepibile una libreria che non abbia al suo interno librai autentici, preparati, motivati, consapevoli del fatto che il loro fine non è soltanto vendere, ma anche creare qualità attraverso assortimenti capaci di stimolare ed emozionare il lettore e attraverso un servizio attento e curato. Qualcuno potrebbe obiettare che quello che io definisco “libraio autentico” sia un residuato romantico, una figura fuori dal tempo. Io non credo sia così. Senza dubbio, la società cambia rapidamente: insieme a lei, cambiano anche le sfide che siamo chiamati a sostenere e gli strumenti di cui ci armiamo per affrontarle. Eppure, nelle librerie, come in qualsiasi altro campo, i valori che ci permettono di vincerle sono antichi: l’intensità del lavoro, la curiosità, l’etica comportamentale, la forte motivazione, il rigore, la cura per i particolari. La passione. I librai, per quanto sofisticati siano i mezzi informatici a loro disposizione (mezzi che, senza dubbio, se usati con giudizio, contribuiscono a rendere più snello il lavoro), non dovrebbero mai perdere di vista questi valori, con il carico di responsabilità che essi portano con sé, un carico impegnativo, perché la responsabilità che i librai sono chiamati a sostenere è triplice: verso se stessi, verso la sigla che rappresentano (che sia il cognome della propria famiglia o il marchio di una catena di librerie) e verso i clienti. Sembra paradossale, ma solo rimanendo ancorati a certi valori si riesce a stare al passo con i tempi. Certo, questo modo di fare il libraio è faticoso, ma – lo dico sulla base della mia esperienza personale e su quella dei librai da me formati – è anche fonte di un’immensa soddisfazione. E non è, non sarà mai, inattuale.
Il valore della qualità
La passione, l’entusiasmo, lo spirito di squadra, la fantasia, la capacità di relazione sono da sempre ingredienti indispensabili per essere bravi librai. La base sulla quale costruire, poi, tutto il resto. Ma per dar vita ad una libreria di qualità ci sono altri talenti da coltivare, meno vistosi, ma altrettanto essenziali: l’umiltà, la costanza e la pazienza. Mi rendo conto che sono valori in controtendenza rispetto al clima che si respira oggi nel nostro Paese, ma proprio per questo, per scongiurare il rischio che scompaiano come l’alce irlandese, la tigre della Tasmania e l’aquila di mare, andrebbero preservati e alimentati il più possibile: ne trarremmo tutti giovamento, dentro e fuori dalle librerie. L’umiltà, la costanza e la pazienza permettono di dedicarsi con consapevolezza – comprendendone appieno l’importanza – ad operazioni quali aprire scatoloni, fare la spunta con le fatture, compilare inventari, formare e spostare pile di libri, spolverare (sì, avete letto bene, spolverare), rispondere con garbo anche ai clienti più difficili. Il lavoro in libreria non è fatto solo di conversazioni con i clienti simpatici e di iniziative in cui i librai possono far sfoggio delle loro (eventuali) buone letture o della loro vivacità intellettuale. E non credo che i librai siano in grado di immettere molta sostanza nelle conversazioni con i clienti e nelle iniziative culturali, se non svolgono anche quei lavori modesti, ma indispensabili per capire come funziona una libreria. Ecco perché nei miei corsi consiglio sempre di imparare a fare tutto con passione, ad avere il gusto dell’ordine, del lavoro ben fatto: coltivare questo gusto è fondamentale, perché nel compiere in maniera ordinata ed armoniosa anche operazioni di secondaria importanza (ma è poi davvero “di secondaria importanza” aprire gli scatoloni?) si impara moltissimo, e certo più di quanto si pensi. Qualità è anche un tavolo di libri impilati con cura e ben spolverati. Bisognerebbe non dimenticarlo mai, e, se l’ho già detto e ridetto, abbiate pazienza: è importante.
Il valore del capitale umano
È sempre più evidente che, all’interno delle aziende, il capitale umano dev’essere tenuto in considerazione e valorizzato: le persone non dovrebbero più essere valutate sulla base soltanto delle ore-lavoro, ma anche della loro qualità. Le librerie non costituiscono certo un’eccezione. Anzi. Oggi più che mai, quello che distingue una libreria da un’altra (piccola, media o grande) è proprio la qualità del servizio, direttamente proporzionale alla qualità del capitale umano: sono i dipendenti-librai i fondamenti di maggior competitività! Ecco perché ho sempre cercato di gratificare chi svolgeva bene il proprio lavoro. Non è stato un grande sforzo: mi viene naturale, lo faccio con piacere e, soprattutto, lo trovo giusto. Ho sperimentato sulla mia pelle che un complimento sincero, fatto al momento giusto, può avere un effetto strepitoso sull’autostima e sulla motivazione, a qualsiasi età. Anche per questo, raccomando sempre ai direttori di riconoscere e premiare la qualità dei librai. Per tutte queste ragioni, ho subito drizzato le antenne quando, nell’autunno del 2008, ho letto sul “Sole 24 Ore” della possibilità, allo studio di un gruppo di esperti e di imprenditori, di “tradurre una vasta serie di elementi che riguardano gli uomini all’interno delle aziende in un indice concreto in grado di pesare sulla valutazione al pari del patrimonio o della valutazione di macchinari e tecnologie”, ovvero della possibilità di varare un indice per rendere in maniera tangibile il capitale umano. Per dimostrare l’importanza del cosiddetto “fattore umano”, si portava ad esempio – nel campo industriale – il modello del Nordest, dove, invece di investire in macchinari e tecnologie, o giocare sulla finanza, si è scelto di investire sui dipendenti. La scelta si è rivelata altamente positiva: si è passati da una quasi spontanea creatività e flessibilità alla capacità di gestire la complessità dei processi. Mentre leggevo, pensavo che il discorso si poteva applicare anche alla libreria, dove la tecnologia è sicuramente un mezzo per imporsi sul mercato, ma non il più importante: di mezzi tecnologici, i clienti ne trovano a bizzeffe, dappertutto. La competenza, la cortesia, l’affabilità e la passione sono merce sempre più rara e – forse anche per questo – sempre più apprezzata. Non so se l’indice delle risorse umane verrà effettivamente varato e se sia davvero imprescindibile. Rimane però un dato di fatto: le buone librerie sono fatte innanzitutto da buoni librai e una libreria che voglia essere competitiva sul mercato deve – oggi più che mai – curare e sviluppare il proprio capitale umano. È questa la carta vincente in grado di aumentare la competitività della libreria e di accrescerne il valore: le persone non sono un costo, ma una grande ricchezza.
Il valore della personalità del libraio
DUTTILITÀ + FLESSIBILITÀ + IRONIA = INTELLIGENZA
Ragionare in maniera duttile è indispensabile per far funzionare bene una libreria. Guai ad irrigidirsi su schemi e ruoli precostituiti. Solo chi è duttile sarà poi abbastanza flessibile da adattare le norme procedurali alle esigenze del momento e alle diverse circostanze (questo vale soprattutto per i direttori: pensiamo per esempio ai disastri che possono prodursi applicando rigidamente regole standardizzate in materia di rifornimenti). L’ironia, infine, è preziosa per affrontare con animo il più possibile leggero le giornate pesanti, quelle in cui succede un contrattempo dietro l’altro e certi clienti mettono a dura prova la pazienza e l’affabilità dei librai. Ho sempre pensato, inoltre, che un libraio dovrebbe sapere, saper fare e saper essere. Il sapere racchiude in sé l’insieme delle conoscenze acquisite attraverso l’istruzione e l’educazione ricevute: se eventuali lacune possono essere colmate con la volontà e con il desiderio di migliorarsi, non c’è diploma o laurea che possa compensare la mancanza di entusiasmo o di curiosità. Il saper fare è l’esito di un processo di apprendimento di conoscenze del mestiere che provengono dall’esperienza quotidiana e, soprattutto, è la capacità di lavorare costruttivamente con gli altri ed imparare da loro, individuare e risolvere i problemi, cercare soluzioni senza arrendersi alla prima difficoltà: la sintesi tra il sapere “sapienziale”, acquisito leggendo, studiando, dialogando, ecc. ed il sapere “esperienziale”, derivante dalla conoscenza diretta, concreta, dei fatti è completata ed arricchita dal saper essere, il modo in cui il libraio contribuisce, con la sua personalità, a rendere vivace e stimolante l’ambiente della libreria, mantenendo il più possibile elevato il livello di assortimento e cura del servizio. Credo che, per quanto frenetici possano essere i ritmi di lavoro, un buon libraio dovrebbe sempre saper essere, ovvero cercare di porsi di fronte al cliente con curiosità, con la voglia di scambiare emozioni, stabilire un dialogo: davanti alla richiesta di un titolo, non china subito la testa sulla tastiera del computer, ma va a scaffale con chi glielo ha chiesto, per cercarlo insieme. Se poi è un ottimo libraio, si pone in ascolto dei desideri del cliente e, a poco a poco, riesce ad intuirli, o addirittura a crearli, suggerendo percorsi di lettura o accostamenti ai quali, forse, il cliente non aveva nemmeno pensato. Questo è il modo migliore per farlo sentire riconosciuto e conquistarsi la sua fedeltà: è dunque evidente che librai capaci di instaurare questo genere di relazione sono la più grande ricchezza di una libreria. Roberto Roversi diceva che la cultura è una sollecitazione, comune a tutti, a cercare ciò che non si sa, è il bisogno dell’uomo di riempire i vuoti della conoscenza. I libri non sono l’unico strumento per farlo, ma di certo sono uno dei più importanti e, dunque, non credo di esagerare quando dico che vendere libri è un compito fondamentale: ed è talmente bello che, una volta cominciato, smettere è praticamente impossibile!
Romano Montroni
Libraio e consulente del progetto Librerie Coop