La crisi della carta stampata

Nel momento in cui è doveroso prestare attenzione a come si spendono i soldi, l’acquisto di un libro può essere rinviato, magari a malincuore, e quello di un quotidiano o di un settimanale può essere percepito come un “lusso”, se non altro perché le informazioni contenute sulla carta stampata possono essere rintracciate in gran parte in tanti altri luoghi, comprese le edizioni on line di quotidiani e settimanali.

Sembra sempre più difficile distinguere i fatti presentati sui giornali dalle opinioni. Per parte sua, la televisione, lungi dall’aver perso il suo ruolo di principale cinghia di trasmissione dei valori e dei comportamenti diffusi degli Italiani, si è ulteriormente rafforzata. Parla direttamente al grande corpo del ceto medio attraverso una miscela ineffabile di show, fiction, spot, che riflette ciò che si muove nel fondo della società italiana. Al contempo, ne condiziona l’agenda dei valori e delle aspettative. La stampa non esce marginalizzata dal circuito della comunicazione, benché non siano tantissimi gli Italiani che leggono i giornali, e malgrado questi facciano meno informazione, proprio grazie alla televisione, che spesso riporta quanto pubblicato dai quotidiani, dando grande eco alle polemiche che scoppiano sulle testate nazionali (o tra i direttori di giornali), comprese quelle che possono vantare solo qualche decina di migliaia di lettori. All’interno di uno schema del tutto autoreferenziale, la tv cerca nei giornali una legittimazione, e i giornali si infilano come cavalli di Troia nei palinsesti della tv. Se serve un commento autorevole, si invita il giornalista della carta stampata e il direttore fa la sua comparsa nei talk show politici, in veste di opinionista.

Ciò avviene proprio perché ai giornali si attribuisce la funzione di fare opinione. Autorevole, a volte. Solo sterili battibecchi, in altri casi. Poco male, in fondo, se la dialettica, anche con i suoi toni accesi, servisse ad alimentare un confronto utile e fecondo sulle diverse opzioni in campo in merito a scelte dirimenti che hanno un peso sulle sorti della società e dell’economia. Cosa diversa, invece, se la polemica abdica del tutto alla necessaria funzione di terzismo tecnico-politico e rimane stretta in un vicolo cieco − così come sembra, in effetti, − tutta giocata sullo scontro frontale e secondo una logica di antagonismo militante. Fuori dal circuito autoreferenziale della “grande” comunicazione, però, assistiamo ad un notevole fenomeno di moltiplicazione dei media e di espansione del loro impiego, che è la cifra distintiva dell’ultimo decennio. Se si prendono in considerazione i dati sul consumo dei media, contenuti nell’ultimo Rapporto sulla comunicazione del Censis “I media tra crisi e metamorfosi” (realizzato in collaborazione con l’Ucsi, H3G, Mediaset, Mondadori, Rai e Telecom Italia), si registra un aumento generalizzato della diffusione di tutti i mezzi di comunicazione. Tra il 2001 e il 2009, non solo i telefoni cellulari (+12,2%) e Internet (+26,9%) vedono incrementare i loro utenti, ma anche la radio − che ormai si può ascoltare anche dal lettore mp3, dal telefonino e dal web − fa un grande balzo in avanti (+12,4%), così come aumentano, anche se di poco, i lettori di libri (+2,5%) e giornali (+3,6%). La stessa televisione raggiunge praticamente la quasi totalità degli Italiani (+2,0%). Gli utenti della televisione arrivano a quota 97,8% della popolazione, il cellulare sale all’85,0%, la radio all’81,2% (in particolare, l’ascolto della radio dal lettore mp3 è tipico del 46,7% dei giovani tra 14 e 29 anni), i quotidiani al 64,2%, i libri al 56,5%, Internet al 47,0%.

Si tratta di un fenomeno tipico della società digitale, in cui i nuovi media non sostituiscono i vecchi: anzi, affiancandosi ad essi, creano nuovi stimoli al loro impiego. Questo è quanto è accaduto nel lungo periodo, fino a quando è aumenta contestualmente la capacità di investire tempo, denaro ed energie intellettuali nel loro impiego. Nel momento in cui la crisi dell’ultimo biennio ha limitato o reso più faticoso l’uso di queste risorse, la situazione è cambiata, portando i consumatori a selezionare di più le opzioni in campo, a rielaborare la propria gerarchia di priorità, adeguandola al nuovo contesto. Emergono così distinzioni nette tra i media che sono stati penalizzati dalla crisi e quelli che sono stati, invece, premiati. In generale, l’analisi delle piramidi dei media tra il 2007 e il 2009 evidenzia l’espansione dei mezzi gratuiti e la sostanziale battuta d’arresto di quelli a pagamento. Ma il dato fondamentale è rappresentato da una corrispondenza solo parziale tra l’aumento o la diminuzione dell’impiego dei media ed il loro costo.

Le preoccupazioni economiche possono aver influito sul calo della lettura di quotidiani, periodici e libri, eppure non hanno frenato l’incremento degli abbonamenti alla televisione satellitare e nemmeno l’acquisto dei decoder per la tv digitale terrestre. Crescono i media ad accesso gratuito, come la radio e la free press, ma i cellulari vedono aumentare solo l’uso dei servizi basic (quelli che costano meno). Internet allarga di poco la sua utenza, ma solo grazie al successo delle connessioni a banda larga (che costano di più). Se il telefonino è un bene a cui non si può rinunciare neanche in tempi di crisi (però qualcosa si può risparmiare, magari inviando qualche sms in più ed evitando di connettersi ad Internet con i costosissimi servizi wap), è più facile, invece, rinunciare alla carta stampata. L’utenza dei quotidiani a pagamento passa dal 67% del 2007 al 54,8% del 2009, invertendo una tendenza leggermente positiva che si era registrata negli anni precedenti. Questo è il dato dell’utenza complessiva, cioè di chi legge un quotidiano almeno una volta alla settimana. Se prendiamo in considerazione l’utenza abituale, cioè chi lo legge almeno tre volte alla settimana, si passa dal 51,1% del 2007 al 34,5% del 2009. Prima della crisi, la metà degli Italiani aveva un contatto stabile con i quotidiani. Adesso, questa porzione si è ridotta ad un terzo. Se si pensa che in questa quota sono compresi anche i quotidiani sportivi, si può capire quanto la crisi abbia reso ancor più marginale il ruolo della carta stampata nel processo di formazione dell’opinione pubblica nel nostro Paese. Tra l’altro, questa flessione non è neanche compensata dall’aumento della diffusione della free press, che rimane pressoché stabile (nell’ultimo biennio l’utenza è passata dal 34,7% al 35,7%) e l’incremento registrato tra i lettori abituali più istruiti (dal 17,6% al 21,1%) sembra indicare che ci sia stata una qualche migrazione dai quotidiani a pagamento a quelli gratuiti proprio tra coloro che, per tradizione, erano i lettori più affezionati. Per quanto riguarda i quotidiani on line, la spiegazione della flessione dell’utenza (dal 21,1% al 17,7%) non è certo di natura economica, ma va rintracciata nell’evoluzione degli impieghi della rete.

Si può pensare ad altri tipi di portali, non necessariamente informativi, che però riportano anche notizie di cronaca e di costume, ma anche a link e finestre aperte a vario titolo nei blog e nei social network abitualmente frequentati, oltre che ai motori di ricerca ed ai programmi aggregatori che rintracciano automaticamente in rete le notizie richieste dall’utente. La crisi non ha certo aiutato la stampa periodica a riprendersi dal declino che ha caratterizzato tutto il decennio. La lettura, anche occasionale, dei settimanali coinvolge nel 2009 il 26,1% degli Italiani (-14,2%) e quella dei mensili il 18,6% (-8,1%), con un calo vistoso rispetto agli anni precedenti. In leggera flessione anche la lettura dei libri, che era cresciuta per tutto il decennio, raggiungendo il 59,4% nel 2007: ripiega al 56,5% nel 2009. La flessione si presenta tra uomini e donne, soggetti più istruiti e meno scolarizzati, per cui è difficile non considerarla collegata alla congiuntura economica (del resto, anche tra i lettori diminuisce leggermente il numero medio dei libri letti nell’anno: altro sintomo del tentativo di risparmiare). Però non manca uno spiraglio di ottimismo: tra i giovani, il numero dei lettori aumenta, anche se di poco, passando dal 74,1% al 75,4%. La panoramica sull’uso dei media al tempo della crisi si conclude con Internet. Avremmo potuto pensare che, nonostante le difficoltà economiche, negli ultimi due anni fosse notevolmente aumentato l’impiego di Internet tra gli Italiani. La variazione è, invece, minima: si è passati dal 45,3% del 2007 al 47% del 2009. In realtà, la diffusione di Internet è strettamente collegata a variabili di tipo socio-demografico. Sono i giovani e i soggetti più istruiti ad avere familiarità con la rete. Di conseguenza, nel momento in cui Internet è diventata familiare a più dell’80% dei giovani e a quasi il 70% delle persone con livelli di istruzione più elevati, si va verso la saturazione. Il dato complessivo potrà aumentare solo con estrema lentezza. Il profilo delle scelte mediatiche è dunque molto variegato, ma alcune tendenze comuni risaltano con chiarezza. Prima di tutto, è evidente che gli Italiani, dovendo compiere delle scelte, si sono orientati verso l’investimento nei media che forniscono più servizi, di diverso genere e cumulabili tra più membri della famiglia.

È vero che l’abbonamento alla tv a pagamento (satellitare o digitale terrestre) ha un costo, però, semplificando al massimo, grazie ad essa il marito può guardare le partite di calcio, la moglie le serie televisive, i bambini i cartoni animati e tutti insieme i film. Anche la connessione Adsl ad Internet comporta un costo aggiuntivo, però gli impieghi sono molteplici, non ultima la possibilità di telefonare in tutto il mondo praticamente a costo zero usando Skype. Nel momento in cui è doveroso prestare attenzione a come si spendono i soldi, l’acquisto di un libro può essere rinviato, magari a malincuore, e quello di un quotidiano o di un settimanale può essere percepito come un “lusso”, se non altro perché le informazioni contenute sulla carta stampata possono essere rintracciate in gran parte in tanti altri luoghi, comprese le edizioni on line di quotidiani e settimanali. Un nuovo fenomeno va allora tenuto d’occhio: se in Italia il digital divide si va attenuando, emerge un nuovo divario tra quanti contemplano nelle proprie “diete mediatiche” i mezzi a stampa e quanti non li hanno ancora o non li hanno più. Il press divide aumenta, visto che nel 2006 era il 33,9% degli Italiani a non avere contatti con i mezzi a stampa − giornali, riviste e libri −, mentre nel 2009 si è arrivati al 39,3%.

Giuseppe De Rita
Segretario generale del Censis (Centro studi investimenti sociali)

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