La terapia genica nell’epilessia

In questo ambito, la ricerca ha svolto negli ultimi 10 anni diversi studi in modelli sperimentali con rilevanza clinica, volti a dimostrare se approcci di terapia genica potessero essere considerati di potenziale applicazione clinica, e quindi rappresentare una realistica alternativa terapeutica almeno per alcuni tipi di epilessia.

L’epilessia è una malattia neurologica caratterizzata dalla presenza di episodi accessuali (le crisi) che si ripetono in modo apparentemente spontaneo nel tempo. Le basi fisiologiche consistono in una persistente ed eccessiva eccitabiltà delle cellule nervose (neuroni) che determina l’occasionale generazione di scariche elettriche che sottendono alla comparsa delle crisi epilettiche. L’epilessia è stata descritta già nel trattato di medicina babilonese, compilato tra gli anni 1067-1046 a.C., dove le sua principali espressioni cliniche sono accuratamente descritte. Si stima che, sul territorio nazionale, i soggetti affetti da epilessia siano circa 500.000. In circa il 30% dei casi, le crisi non rispondono al trattamento con i farmaci anticonvulsivanti disponibili. Questa condizione determina una situazione che incide negativamente sulla qualità della vita del paziente e ha un elevato costo sociale. La terapia chirurgica nell’epilessia è attuabile solo nel 10% circa dei casi di epilessie farmacoresistenti. I farmaci anticonvulsivanti disponibili per il trattamento delle crisi sono basati sulla soppressione dei sintomi.

Non ci sono trattamenti che possano modificare favorevolmente il processo patologico nei pazienti con un aumentato rischio di sviluppare epilessia per una predisposizione genetica o per un acquisito danno cerebrale, o in pazienti con un’evoluzione progressiva dell’epilessia. Bisogna inoltre considerare che i farmaci anticonvulsivanti disponibili hanno numerosi effetti collaterali. Esiste quindi la necessità urgente di sviluppare nuove strategie terapeutiche, rivolte, in particolare, alle epilessie farmacoresistenti. In questo ambito, la ricerca sperimentale ha condotto, negli ultimi 10 anni, diversi studi in modelli sperimentali con rilevanza clinica, volti a dimostrare se approcci di terapia genica potessero essere considerati di potenziale applicazione clinica, rappresentando, quindi, una realistica alternativa terapeutica, almeno per alcuni tipi di epilessia. La terapia genica consiste nel trasferimento e nell’espressione di un gene (una sequenza di DNA), che codifica una proteina con potenziale terapeutico, in un tessuto bersaglio. Per trasferire questo materiale genetico si possono utilizzare diverse metodiche. Quella più efficace ed utilizzata fino ad ora consiste nell’impiego dei cosiddetti “vettori virali” che possono veicolare i geni di interesse nelle cellule dei tessuti. Questi vettori sono innocui in quanto, pur derivando da particelle virali, sono stati modificati per annullarne gli aspetti patologici di infettività.

La terapia genica rappresenta essenzialmente un intervento che altera il fenotipo di una cellula determinando la produzione di un composto esogeno all’organismo oppure di una sostanza endogena che viene, ad esempio, sintetizzata in quantità maggiori o minori di quelle fisiologiche. Gli studi preclinici in modelli di epilessia nel topo hanno utilizzato una selezione di “geni terapeutici” (ad esempio, neuropeptidi, come il neuropeptide Y, la galanina o l’adenosina) con proprietà inibitorie sull’eccitabiltà neuronale, che sono stati iniettati nelle aree cerebrali di insorgenza o generalizzazione delle crisi. Questi interventi hanno dimostrato una significativa produzione, a lungo termine, delle molecole terapeutiche nei neuroni, associata ad una drastica diminuzione delle crisi, stabilendo quindi una prova di principio dell’efficacia anticonvulsivante di questa nuova terapia. Questo tipo di strategia terapeutica è, in prima istanza, potenzialmente applicabile solo alle epilessie cosiddette “focali”, dove cioè si possa individuare una precisa zona nel cervello nella quale le crisi epilettiche originano. Infatti, la terapia genica sviluppata nei modelli sperimentali prevede l’applicazione locale del gene terapeutico con tecniche chirurgiche, non essendo per ora disponibili metodologie meno invasive per ottenere l’effetto terapeutico desiderato.

I risultati sperimentali, seppure promettenti, richiedono ancora studi di approfondimento, sia per migliorare l’efficacia anticonvulsivante della terapia, sia per valutare il rapporto rischio/beneficio di questo nuovo approccio terapeutico e la sua potenziale tossicità. Finora, gli studi condotti utilizzando il neuropeptide Y come gene terapeutico non hanno evidenziato nell’animale da laboratorio effetti collaterali significativi o la produzione di anticorpi contro il vettore virale tali da inattivarne la capacità di veicolare il gene terapeutico. Applicazioni cliniche di terapia genica nel SNC sono state per ora sviluppate per malattie neurologiche come il Parkinson e l’Alzheimer, per alcuni tumori, malattie ereditarie monogeniche (fibrosi cistica) e malattie genetiche come “Canvan e Batten diseases”. Diversi trials clinici sono inoltre attualmente in corso (http://www.clinicaltrials.gov/ct2/results?term=gene+therapy). C’è quindi speranza che in futuro approcci di terapia genica siano clinicamente applicabili anche per controllare le crisi nell’epilessia resistente ai farmaci.

Annamaria Vezzani
PhD Laboratory Experimental Neurology, Head Dept of Neuroscience
Istituto di Ricerche Farmacologiche “Mario Negri”

Silvio Garattini
Fondatore e direttore dell’Istituto di Ricerche Farmacologiche “Mario Negri”

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