Terzo settore al bivio?

La gestione di servizi ai propri associati forniti direttamente dalle associazioni potrebbe creare potenzialmente un conflitto di interessi, dal momento che tali associazioni sino ad oggi hanno seriamente vigilato sulla qualità dei servizi resi da altri, svolgendo così il ruolo loro proprio di tutela dei diritti. Per questo sarebbe più opportuno che le associazioni costituiscano delle fondazioni per la gestione di tali servizi, con amministratori distinti da quelli delle associazioni.

Un recente libro di mons. Nervo si intitola “Ha un futuro il volontariato?”. Oggi, la stessa domanda, rivolta al Terzo Settore, presenta risposte più differenziate di quelle relative al volontariato. Il volontariato, soggetto importante, ma non il principale del Terzo Settore, possiede caratteristiche sue proprie, come la gratuità piena e le risposte innovative nel campo dei servizi alla persona, che lo distinguono dagli altri soggetti e che fanno propendere per ipotesi di rischi assai forti per la sua futura genuinità. Infatti, i tagli alla spesa pubblica riducono le opportunità di convenzioni con gli enti locali concernenti il solo rimborso delle spese sostenute. Ciò potrebbe spingere le organizzazioni ad incrementare le imprese marginali che legalmente possono gestire, sottraendo energie ed attenzione al livello qualitativo delle attività alla cui realizzazione sono funzionali. Si aggiunga poi il rischio di accettare convenzioni per servizi routinari. Quanto agli altri soggetti, vorrei accennare alle associazioni di promozione sociale ed alle cooperative sociali operanti nel campo della disabilità. Le cooperative sociali, coeve al volontariato, di cui alla L. 266/91, per il riconoscimento normativo avvenuto con la L. 381/91, assumono la caratteristica di esercitare un’impresa per svolgere servizi a favore delle fasce deboli della popolazione o per l’inserimento lavorativo di queste. A differenza del volontariato, quindi, questi soggetti debbono operare sul mercato tenendo conto della dialettica costi-ricavi, anche se questa non è finalizzata alla massimizzazione dei profitti, bensì all’offerta di servizi solidali professionalmente qualificati. In quest’ultimo decennio, i continui tagli alla spesa pubblica hanno ridotto le risorse degli enti locali che commissionano numerosi servizi alle cooperative sociali. Di qui non solo il rischio della riduzione quantitativa di tali servizi, ma, anche a causa della riduzione delle remunerazioni e della formazione dei propri operatori, dell’abbassamento del loro livello qualitativo, e quindi del sistema di relazioni interpersonali che caratterizzano queste imprese.

Le cooperative sociali, pertanto, si sono sempre più riunite in consorzi, divenendo talora soggetti economici forti. Il loro consolidamento organizzativo potrebbe ridurre la forte relazionalità con i singoli utenti, loro punto di forza nella gestione dei servizi alla persona che, pur se routinari, hanno sempre mantenuto una vigile attenzione ai bisogni personali degli utenti portatori di vecchie e nuove povertà. Le associazioni di promozione sociale, introdotte normativamente con la L. 383/2000, sono, di solito, associazioni di auto mutuo aiuto. Si occupano, quindi, di persone con gli stessi problemi degli associati. Si pensi alle associazioni di persone con disabilità, agli ex tossicodipendenti, ai dimessi dagli ospedali psichiatrici. Queste associazioni sono nate prevalentemente per svolgere la tutela dei diritti dei propri associati, possedendone l’esperienza di vita. Questo ruolo è cresciuto con la loro riunione in federazioni, locali o nazionali. Oggi vantano maggiore forza contrattuale nei confronti degli Enti locali e delle Regioni, titolari di una competenza legislativa esclusiva nel campo dei servizi sanitari e sociali. A causa dei tagli alla spesa pubblica, queste associazioni potrebbero essere tentate sempre più dall’idea di assumere direttamente la gestione dei servizi precedentemente forniti dagli Enti locali, autonomamente o per il tramite di convenzioni con le cooperative sociali e gli organismi del volontariato. La gestione dei servizi a favore dei propri associati, forniti direttamente dalle associazioni stesse, potrebbe però creare un potenziale conflitto di interessi, avendo tali associazioni sino ad oggi seriamente vigilato sulla qualità dei servizi resi da altri, svolgendo così un ruolo di tutela dei propri diritti. Sarebbe quindi più opportuno se le associazioni costituissero delle fondazioni per la gestione di tali servizi, con amministratori distinti da quelli delle associazioni, anzi, vigilati da essi, onde evitare la perdita del ruolo caratteristico di tutela dei diritti. Da quanto sinteticamente esposto, risulta chiaro come questi soggetti del Terzo Settore si trovino oggi di fronte ad un bivio: mantenere e rafforzare, sia pure con grandi sacrifici, la loro “mission“ originaria ovvero, sull’onda della logica dello schema giuridico “dell’impresa sociale“, cominciare a gestire anche servizi routinari, a ciò sollecitati anche dal “Libro Bianco sul futuro del modello sociale“ del Ministero della Solidarietà Sociale.

Salvatore Nocera
Avvocato, vicepresidente nazionale F I S H,
Federazione Italiana per il Supporto dell’Handicap

Rispondi