A interpretare il sentimento di tutti gli italiani che si sono dedicati con serieta’ allo studio di qualche disciplina artistica sono stati, durante la finale del Festival di Sanremo, i componenti dell’Orchestra che ha accompagnato i cantanti (o sedicenti tali) sul palcoscenico del Teatro Ariston. Quando hanno saputo che l’imbarazzante trio composto da Pupo, Emanuele Filiberto ed il tenorino Luca Canonici era entrato nella terna dei vincitori, gli orchestrali hanno scatenato il finimondo, stracciando gli spartiti, appallottolandoli e lanciandoli per aria, mentre dalla platea partivano cori al grido di “venduti”, “buffoni”, “vergogna”, e la sala stampa appoggiava sonoramente la protesta con applausi e fischi. Questa esplosione di rabbia ha dato voce, per un istante, a tutti gli artisti (quelli veri) che vivono in Italia e vedono da anni come il settore culturale venga costantemente mortificato. In primis dalla politica, che non fa altro che tagliare le risorse ed i fondi tradizionalmente destinati all’arte. Ma anche da un sistema televisivo che esalta gli incapaci ed educa i piu’ giovani telespettatori ad una non cultura dove chi e’ piu’ furbo, bello e violento vince sempre. E’ la non cultura dei reality show, che di fatto propone il clientelismo, il nepotismo ed i pettegolezzi come strumenti legittimi di avanzamento professionale. La persona di talento e’ creativa, appassionata, indisciplinata. Non e’ necessariamente un genio, puo’ essere semplicemente uno che ha voglia di darsi da fare. Il mediocre, invece, odia chi ha talento e per questo, se puo’, si circonda di mediocri: ha paura di sfigurare. Per questo i reality show hanno successo: sono l’apoteosi della mediocrita’ e rassicurano i telespettatori. I protagonisti non devono saper fare nulla, non hanno nessuna qualita’. Ma quando i mediocri raggiungono una massa critica, il sistema collassa. A volte mi domando se non sia proprio questo cio’ che desidera chi detiene il potere sulla stragrande maggioranza dei mezzi di comunicazione in Italia: educare gli italiani alla mediocrita’, per poterli controllare al meglio. Certo e’ che, ammettendo che i sistemi di televoto del Festival non siano stati pilotati, e che quindi il responso corrisponda davvero alle preferenze degli italiani, chi ci comanda sta realizzando perfettamente il suo disegno. Perche’ i tre finalisti sono proprio il risultato di altrettanti “talent show”: il cosiddetto principe Emanuele Filiberto, fresco fresco della vittoria nel 2009 al reality “Ballando con le stelle”; l’ennesimo soldato dell’armata “Amici” di Maria de Filippi Valerio Scanu; il vincitore di X-factor Marco Mengoni. Quest’ultimo, in verita’, dotato di una forte personalita’ e di una gran bella voce, non c’e’ che dire. Valerio Scanu, invece, cosi’ acerbo, un diciannovenne alle prime armi, eppure un personaggio televisivo gia’ dotato di un pubblico di urlanti ragazzine innamorate che lo appoggia incondizionatamente, al punto da farlo svettare sopra seri professionisti come Simone Cristicchi o Irene Grandi. Per non parlare dell’imbarazzante trio reazionario populista composto da Pupo e da Emanuele Filiberto di Savoia ed un certo Luca Canonici nella parte del cantante lirico. La loro performance merita davvero una seria riflessione. Per l’offesa che Emanuele Filiberto ha inflitto a tutti gli italiani che sono abituati a lavorare per poter ottenere dei risultati, e che hanno dovuto subire la voce sgradevolissima e stonata di un personaggio che probabilmente non si e’ mai sognato di prendere una lezione di canto ma ha potuto partecipare al Festival della canzone italiana grazie al suo cognome. E per la falsita’ con cui e’ venuto a dire “amore mio” all’Italia, alla stessa Italia da cui ha pensato di poter pretendere 90 milioni di euro di risarcimento per gli anni d’esilio (durante i quali il suo nobile padre si e’ distinto, tra l’altro, per aver ammazzato un povero ragazzo a fucilate ed essere finito in galera con l’accusa di associazione per delinquere finalizzata alla corruzione, al falso e allo sfruttamento della prostituzione). Stiamo attenti. Perche’ le egemonie culturali e politiche passano anche attraverso i festival musicali. Sanremo e’ sempre stato un manifesto di cio’ che in quel momento il potere voleva che fosse la societa’ italiana. La liberta’ e’ anche liberta’ di ascoltare musica, e non canzonette e inni di regime. E se gli orchestrali, specchio dei lavoratori che cercano ogni giorno di svolgere al meglio le loro mansioni, sono costretti a stracciare gli spartiti per protesta, se questo e’ l’unico modo in cui possono esprimere il loro dissenso, la situazione non e’ davvero rassicurante. E ha tutto il sapore di un vero regime.
Martina Seleni
Giornalista e autrice televisiva