La ricetta per uscire dalla crisi che attanaglia il mondo dell’opera si può sintetizzare in sinergia, organizza-zione, gestione d’impresa, ideazione di strategie comuni. I finanziamenti possono arrivare dalla mano pubblica, ma in questo momento di crisi nessuno ha soldi da regalare.
Gli Enti Lirici sono diventati Fondazioni Lirico Sinfoniche con la legge Veltroni del 1996, che aveva l’obiettivo di corresponsabilizzare il settore pubblico e quello privato nei confronti di tali strutture.
Ma il FUS (Fondo Unico dello Spettacolo) esiste dal 1985. Tale Fondo viene rimpinguato ogni anno con centinaia di milioni di euro, che vengono destinati dalla Finanziaria: queste risorse vengono suddivise fra cinema, teatro e tutte le altre realtà che riguardano il mondo dello spettacolo.
Nel 1985, il FUS era molto rilevante in termini finanziari. Poi è via via diminuito: oggi ammonta al 43,7% – in valore attualizzato – rispetto al 1985. Nel corso degli anni, infatti, il FUS veniva ridotto ad ogni Finanziaria.
C’è di più: ogni estate, il Ministro ha la facoltà di emendare la Finanziaria. Quindi, se necessario, può ridurre il FUS rispetto a quanto disposto all’inizio dell’anno. Questo è accaduto, ad esempio, il 18 settembre 2008. Quel giorno, il Ministro Bondi ha convocato tutti i Sovrintendenti degli Enti Lirici per avvisarli che, in sede di emendamento, il FUS era stato ulteriormente tagliato: potevamo contare sul 90% dei fondi che ci erano stati garantiti solo pochi mesi prima per legge.
Questo, purtroppo, accade sempre, ogni anno. “Conoscere per decidere”, amava ripetere il Presidente della Repubblica Luigi Einaudi. E la programmazione costituisce la migliore formula di sintesi fra il conoscere ed il decidere… Ma è evidente che i teatri lirici programmano il loro calendario sulla base di quello che la Finanziaria promette loro, e che pianificano le spese sulla base della legge medesima. Non si può, quindi, promettere una cifra, sulla base della quale si iniziano a sostenere delle spese, e poi cambiarla in corso d’opera!
I tagli del FUS, in parole povere, stanno portato al collasso il sistema dei teatri italiani.
Tutti i teatri di interesse nazionale sono mantenuti in misura importante dallo Stato: la percentuale di entrate che viene dal FUS è, più o meno, sempre pari al 60-65% delle entrate complessive. Per quanto riguarda il Teatro Verdi, ad esempio, sul totale dei ricavi incassati nel 2008 – che si aggira attorno ai 27 milioni di euro – la quota proveniente da parte dello Stato, e quindi riconducibile al FUS, è di 15 milioni di euro.Poi, ci sono le entrate provenienti dagli Enti Locali: nel nostro caso, il 10-12% delle entrate proviene dalla Regione Friuli Venezia Giulia ed un po’ meno del 4% dal Comune di Trieste (ma se vogliamo fare un confronto a livello nazionale, devo dire che tutti gli altri comuni sono molto più munifici e spendono fior di milioni per i loro teatri. Lo stesso vale per le Regioni).
Il 12% circa delle entrate riusciamo a ricavarlo dall’incasso dei biglietti, dagli ingressi e dagli abbonamenti (consideriamo, però, che per ogni spettacolo tale incasso è a mala pena sufficiente per pagare il direttore d’orchestra, l’interprete principale ed il comprimario). Altri ricavi provengono da attività economiche come la vendita di scene e costumi o l’affitto di alcune sale del teatro.
Possiamo contare, infine, sui cittadini che decidono di destinare il 5 per mille al teatro e, infine, sulle donazioni a titolo personale, che nel nostro caso corrispondono al 4% delle entrate, circa un milione di euro. Risultati come questo si ottengono con l’entusiasmo, l’amore per la musica, la consapevolezza che il teatro è un centro culturale della nostra città, fondamentale per il futuro dei nostri figli. E’ per questo che io stesso effettuo ogni anno delle donazioni a favore del Verdi, ed ho accettato l’incarico di sovrintendente a titolo gratuito: è una questione di passione, e considero un dovere morale salvare questo meraviglioso luogo di cultura e di storia.
A questo proposito, bisogna puntualizzare una cosa importantissima. Quando un privato cittadino elargisce una donazione privata alla Fondazione, in sede di dichiarazione dei redditi non può dedurre interamente la somma che ha donato: può dedurla solo per il 19%. Per la quota rimanente, deve pagare le tasse. Se ad effettuare la donazione è una persona giuridica, invece, questa può chiedere la deduzione dell’intera cifra. Quella che riguarda i privati mi sembra una norma completamente controproducente ed ingiusta: ci rendiamo conto quanti più soldi potrebbero arrivare alle Fondazioni se l’intero importo delle donazioni da parte dei privati si potesse dedurre?
Per quanto riguarda le spese degli Enti Lirici, la principale è quella per il personale. Sempre per fare un po’ di numeri in relazione alla realtà di Trieste, noi spendiamo 15 milioni di euro all’anno per le masse artistiche, cioè 100 orchestrali e 70 coristi, più il resto del personale dove le spese totali ammontano a 27 milioni di euro.
In Italia ci sono quattordici fondazioni lirico sinfoniche, tutte interessate dagli stessi problemi, in primis dal taglio del FUS.
E’ per questo che i colleghi delle altre tredici fondazioni, riuniti nell’Anfols (Associazione Nazionale delle Fondazioni Liriche e Sinfoniche), mi avevano chiesto di stendere un vero e proprio “piano industriale” da sottoporre al Ministero, che annuncia da tempo una riforma del settore che non arriva mai.
Quando dico che la situazione dei teatri lirici si può risolvere senza per forza chiedere ulteriori finanziamenti, ma cercando di razionalizzare le spese e lavorare in sinergia, intendo lanciare un preciso messaggio: applicare una mentalità imprenditoriale alla gestione del teatro può portare grandi benefici.
Quando sono stato nominato sovrintendente della Fondazione – era il 14 settembre 2006 – il Verdi, inteso come azienda, era quasi “fallito”: i debiti superavano i ricavi e le banche non prestavano più nemmeno una lira. In tre anni, abbiamo fortemente ridotto i debiti; nel 2008 abbiamo chiuso con un milione di utile (a bilancio, in realtà, compare un sostanziale pareggio, perché ho accantonato 900 mila euro alle voci “fondo rischi imposte future” e “fondo nuovo contratto”).
Come ho fatto a risanare con questa velocità il bilancio? Semplice: ho agito come se il teatro fosse un’azienda che può fallire da un momento all’altro.
Prima che arrivassi, c’era l’idea che tanto, anche se ci si indebita, anche se si realizzano perdite, poi, da una parte o dall’altra spunteranno fuori dei soldi, perché interverrà lo Stato a salvare la struttura. Questa era una mentalità distorta, sbagliata, che comportava tantissimi sprechi inutili. Oltre a eliminare tali sprechi, ho intrapreso operazioni finanziarie e fatto ricorso a precise economie di gestione. Inoltre, ho calcato la mano sulla produttività, il numero degli spettacoli realizzati, aumentandola del 14% all’anno: in questo modo, ho ottenuto più FUS, in quanto uno dei criteri per l’assegnazione del fondo è proprio quello della produttività. Allora, la Regione mi ha dato una mano.
Alcune delle strategie che il Verdi ha messo in campo per tenere le redini della produzione e contenere lo sbilancio economico, specie in collaborazione con altri teatri nel Nordest, sono state:
la concentrazione dei tempi di prova e di allestimento degli spettacoli;
l’organizzazione di coproduzioni e scambi fra teatri;
la stipulazione di contratti multipli per gli artisti.
In questo modo, siamo riusciti a salvare nello stesso tempo la qualità artistica e ad aumentare la quantità degli spettacoli prodotti.
Parliamo, innanzitutto, della concentrazione dei tempi di prova e di allestimento. Quando si produce un’opera, ci sono le prove degli artisti, del coro, quelle dell’orchestra, l’allestimento del palcoscenico… Di solito si prepara un’opera alla volta, così gli interpreti e le maestranze, in un certo periodo, si occupano solo di un determinato spettacolo e vengono pagati esclusivamente per quello. Ma quando è possibile preparare due opere alla volta, si riescono a dimezzare certi costi!
Poi ci sono le sinergie con gli altri teatri, fondamentali per ridurre le spese. Posso fare un esempio di sinergia tra Fondazioni che ho applicato quest’estate, dopo la riduzione del FUS di ben sei milioni di euro rispetto a quanto mi era stato promesso dalla finanziaria. Per far fronte al drastico taglio dei fondi a nostra disposizione, ho deciso, tra l’altro, di rinunciare alla messa in scena della Francesca da Rimini, che avrebbe comportato grandi costi, e di sostituirla con la Tosca di Puccini. Perché? Perché la Tosca era già stata prodotta dall’Arena di Verona. Ed è stata l’Arena stessa che l’ha portata al Verdi, dandoci la possibilità di mandare in scena un’opera per noi a costo zero. Che cosa abbiamo dato in cambio ai colleghi di Verona? Semplice: abbiamo portato altrove Il Paese dei Campanelli, che era già stato prodotto dal Verdi.
La mia scelta, dettata evidentemente da necessità di tipo economico, di sostituire la Francesca da Rimini con la Tosca, ha dato vita a qualche equivoco piuttosto divertente, suscitando un vero e proprio “caso” a Trieste: siccome Zandonai, l’autore della Francesca da Rimini, nacque sotto l’Impero Austro Ungarico, mentre Puccini nacque in Italia, qualcuno è arrivato a dire che avrei optato per questa sostituzione in base ad una logica di stampo nazionalista!
Per quanto riguarda la creazione di sinergie, poi, ho anche allestito e realizzato la Vedova Allegra in coproduzione con i teatri di Genova, Venezia e Napoli. Ho portato l’operetta negli altri tre teatri in cambio della loro partecipazione ai costi di produzione, e così facendo ho speso un quarto di quello che avrei speso altrimenti. Anzi, non solo io, ma tutti e quattro abbiamo speso un quarto di quello che avremmo speso!
C’è poi tutta una politica di contenimento dei costi degli artisti che si può ottenere anche in funzione dei rapporti di stima reciproca con i cantanti ed i solisti, i quali si rendono, magari, disponibili a fare una recita in più a titolo gratuito…
Inoltre, andando ancora più in là con il ragionamento, ci vorrebbe una mente unica per gestire i soldi ed i debiti delle 14 Fondazioni. Così, ci si potrebbe porre come interlocutore unico nei confronti delle grandi banche per richiedere finanziamenti con maggiore forza contrattuale. Si riuscirebbero a gestire in un’unica soluzione i problemi di tutti i teatri, in modo da dividere per quattordici le spese! Le Fondazioni hanno chiuso il 2008 con 39 milioni e mezzo di deficit, tutte assieme: perché non porsi nei confronti delle banche come un unico interlocutore, molto più attendibile ed importante?
Per concludere, non bisogna contare per forza su ulteriori finanziamenti, ma cercare di risparmiare razionalmente e riorganizzare i finanziamenti. Questi, oggi possono arrivare solo dalla mano pubblica. Ma in questo momento di crisi, nessuno ha soldi da regalare.
Riassumendo, la ricetta per uscire dalla crisi che attanaglia il mondo dell’opera si può sintetizzare in questi punti:
sinergia tra teatri e coproduzione di opere;
organizzazione razionale del lavoro;
gestione delle fondazioni come imprese e non come enti pubblici;
ideazione di una strategia comune tra sovrintendenti.
Per quanto riguarda l’intervento delle istituzioni pubbliche, in linea teorica potrebbe servire molto, ma oggi come oggi è quasi impossibile contarci seriamente: questo è un momento critico per tutti, c’è la crisi, manca il lavoro, le istituzioni sono impegnate su altri fronti.
Bella sarebbe anche l’idea di un progetto coordinato tra queste ultime e tutte le realtà culturali, pubbliche e private, di un determinato territorio. Ma bisognerebbe che le parti in questione condividessero la convinzione che la cultura serve a qualcosa, che può essere uno strumento per rimettere in moto l’economia, che può creare posti di lavoro.
Bisognerebbe che ci fossero dei politici illuminati, dei sindaci capaci di capire che l’arte può essere utilizzata per rilanciare i loro comuni, e soprattutto – è da qui che parte tutto – sinceramente appassionati ed innamorati dell’arte. Massimo Cacciari, per fare un esempio, è un politico di questo tipo. Ma ce ne sono anche altri, anche se sempre troppo pochi in questo Paese.
Giorgio Zanfagnin
Sovrintendente del Teatro Verdi di Trieste
Componente Presidenza ANFOLS