In Italia c’è un sistema talmente distorto, oserei dire “punitivo” nei confronti dell’arte contemporanea, da costringerla quasi a diventare un fenomeno sommerso! Gli artisti contemporanei sono soli, lasciati a sé, costretti ad autogestirsi.
L’arte contemporanea, per quanto riguarda la situazione dei finanziamenti, è l’unico settore che sta peggio del cinema, perché oggettivamente non ha finanziamenti standardizzati. Quello del cinema è un settore in grandissima crisi, per i continui tagli di fondi che lo stanno mettendo in ginocchio, ma almeno ci sono delle forme di finanziamento che sono previste dallo Stato, mentre per l’arte contemporanea non c’è niente di tutto ciò. Ognuno di noi artisti è una specie di pianeta a sé, che vive da solo e si muove da solo all’interno di un sistema di mercato fatto di musei, gallerie e collezionisti. Un pittore o uno scultore lavora a studio, realizza la sua opera e poi per venderla si avvale fondamentalmente di due canali. Il primo è quello delle gallerie italiane o estere, che vendono le opere dei propri artisti o prendono l’opera in conto vendita e pagano l’artista solo ad opera venduta. Il secondo è quello della vendita privata a collezionisti che vengono a studio. Gli artisti devono stare attenti a non commettere errori di svalutazione delle loro opere… ad esempio, bisognerebbe fare in modo che il prezzo della vendita a studio non sia mai molto inferiore a quello praticato dalle gallerie. E nelle aste a volte accade che i galleristi, per non mandare invendute le opere dei loro artisti, con un rischio di abbassamento del valore di mercato, le comperano loro stessi! Essere fuori da questo sistema equivale ad essere fuori dalla capacità di reddito, e spesso i canali di vendita non sono così agevoli per l’artista, che è costretto a rivolgersi all’estero, dove esiste un modo molto più civile del nostro di trattare il collezionismo di opere d’arte. Mentre nelle altre nazioni, infatti, chi compera un’opera d’arte può scaricarla dalle spese in sede di dichiarazione dei redditi, qui in Italia non è possibile. Ma non solo.
Da noi, l’acquisto di un’opera di questo genere corrisponde all’acquisto di un bene voluttuario, come potrebbe essere l’acquisto di una Ferrari o di un orologio di gran marca. Che cosa vuol dire? Che non solo l’acquisto dell’opera non viene defiscalizzato, ma paradossalmente l’appassionato viene segnalato come un acquirente alto, ed in quanto tale il suo reddito può essere messo sotto osservazione! In Paesi come gli Stati Uniti, la Francia, la Germania, invece, un collezionista – che magari è un imprenditore – ha addirittura la possibilità di scaricare l’acquisto dell’opera dalle tasse, donandola alla sua azienda… In Italia c’è un sistema talmente distorto, oserei dire “punitivo” nei confronti dell’arte contemporanea, da costringerla quasi a diventare un fenomeno sommerso! Certo, la situazione dei musei è leggermente diversa, perché questi devono fatturare ed è prevista qualche forma per scaricare i costi, ma è sempre troppo poco. Da questo punto di vista sarebbe un preciso dovere delle nostre Istituzioni allineare questo mercato a quello degli altri Paesi. A luglio ho partecipato alle manifestazioni dei lavoratori del mondo dello spettacolo contro i tagli del FUS sotto il Ministero dei Beni Culturali. Siamo andati a manifestare con i palloncini neri, a significare la morte dell’arte. È stato un momento molto importante, che ha visto la partecipazione di tutti i settori artistici interessati, come il mondo del cinema, quello della musica, quello del teatro… ma a rappresentare il settore dell’arte contemporanea c’ero solo io, come singolo artista! Questo dà l’idea di quanto gli artisti contemporanei siano soli, lasciati a sé, costretti ad autogestirsi. In quell’occasione c’è stato un piccolo spostamento da parte del Ministro Bondi, che ha accettato di destinare un po’ di soldi in più per il cinema, per il teatro, per la danza… ma per le arti visive zero! Ma questo atteggiamento è assolutamente controproducente, illogico se si considerano le potenzialità economiche del settore.
Basti guardare quanta gente va alle mostre, quale sia la quantità di persone che può essere attratta da una mostra di qualità e ben organizzata, e quale sia la potenziale ricaduta economica sul territorio che ospita una mostra d’arte! Molto importante sarebbe anche abituare i giovani ed i giovanissimi alla fruizione delle opere d’arte. Come? Semplice! Portando le scolaresche nei musei. Io vado spesso a Parigi, dove in un museo ho visto una cosa bellissima, da cui dovremmo prendere esempio: nella sezione destinata alla collezione permanente c’erano delle classi di bambini che, seduti a terra, copiavano come potevano le opere esposte, con tutti gli strumenti necessari (matite, pennelli, acquarelli…). Copiare un’opera d’arte è come impossessarsene, perché la analizzi nei minimi particolari, ci entri dentro, crei un rapporto tutto particolare tra te e lei e te ne appropri. Un museo che dia ai bambini la possibilità di copiare fa una cosa importantissima per la loro formazione, ed in Italia una cosa del genere non l’ho mai vista. In Italia, per una cosa del genere, tutti i bambini per terra con i colori, si metterebbero subito a dire che sono state infrante le norme di sicurezza e chiamerebbero l’esercito! Nel nostro Paese si arriva a degli assurdi per cui anch’io non posso avvicinarmi e toccare un’opera che ho creato io stesso, se questa è esposta in un museo! E pensare che basterebbe solo di un po’ di elasticità mentale in più… Il tema dell’importanza di copiare per entrare nell’opera d’arte mi sta molto a cuore. Talmente tanto che nel film che sto per iniziare a girare, che si intitolerà “Senza arte né parte” e sarà nelle sale a partire dal prossimo autunno, ho raccontato la storia di alcuni operai di un pastificio che dopo il licenziamento diventano falsari di arte contemporanea. Il gruppo di amici, la cui manualità nulla è servita al fine della conservazione del posto in azienda, utilizzerà la stessa manualità per copiare opere d’arte, ed in questo modo inizierà ad appassionarsi di tutto un mondo nuovo e lontanissimo da quella che era la sua esperienza di vita: il mondo affascinante, chic ed elitario dei collezionisti di opere d’arte. Nel contempo, i protagonisti fanno anche un percorso di crescita, di acculturamento in un settore che non conoscevano e mai avrebbero immaginato di scoprire.
Giovanni Albanese
Artista multimediale e regista,
Docente di Decorazione all’Accademia di Belle Arti di Roma