Il surriscaldamento globale può essere pericoloso per il futuro dell’umanità, perché il cambiamento atteso nel corso di questo secolo, se lo confrontiamo con i cambiamenti a scala storica, è di tale portata che va chiaramente a produrre dei fenomeni completamente nuovi per la nostra società e anche per l’intera biosfera.
Quando parliamo di clima, dobbiamo, prima di tutto, distinguere l’andamento globale dai fatti quotidiani di attualità. Dove sta andando il clima? Guardando l’Europa delle ultime settimane, si direbbe che il clima si stia facendo freddo: piove e nevica, com’è normale in questo periodo. Poi, in realtà, è evidente che questi sono solo fenomeni locali, e che quello che conta sono i dati censiti in molti anni e su tutto il globo. E a livello globale, scopriamo che non ci sono segnali di inversione di tendenza rispetto a ciò che menzioniamo ormai da venti anni, il riscaldamento globale.
Nell’ultimo decennio, i dati planetari hanno confermato la teoria dell’innalzamento delle temperature, raggiungendo i valori massimi dal 1850, anno di inizio delle misure sistematiche. Lo stesso dato nazionale è interessante: il 2009 è stato il quinto anno più caldo della storia (il più caldo è stato il 2003). Ci sono, quindi, tutti i presupposti per assumere un atteggiamento prudente ed una visione del futuro che consideri il rischio di un cambiamento climatico di tipo globale ed epocale, qualcosa di nuovo mai visto prima nella storia dell’umanità. Va detto che una certezza su problemi così complessi non ce l’ha nessuno. Ma la certezza non esiste nemmeno in altri campi! Prendiamo, ad esempio, quello medico: di recente, si è verificata l’emergenza dell’influenza A. Un nuovo virus, su cui i medici hanno dovuto per forza fare molta prevenzione, al punto, forse, da allarmare un po’ la gente. Certo, si possono anche fare dietrologie e dire che questa influenza ha fatto guadagnare molte case farmaceutiche, ma senza la certezza di dati sicuri, l’allarme è stata l’unica soluzione possibile.
E’ per questo che possiamo affermare come l’unica possibilità saggia di cui disponiamo sia quella di valutare le probabilità. E, quando parliamo di clima, ci sono elevatissime probabilità che la causa del cambiamento sia di origine umana, legata alle emissioni di CO2. Io sono uno delle decine di migliaia di ricercatori che ogni giorno lavorano a questi progetti e la mia opinione si è formata non solo in base a ciò che faccio io, ma anche in base a quelli che sono i risultati dell’intera ricerca internazionale. E la mia idea, che nasce dall’opinione congiunta della ricerca sulla climatologia mondiale, è che sia abbastanza evidente come l’utilizzo dei combustibili fossili negli ultimi 150 anni sia stato il fattore scatenante del cambiamento climatico attuale e che esso abbia sopraffatto i fattori naturali. Presenti, ma che giocano un ruolo minore rispetto a quello dell’uomo.
Il surriscaldamento globale può essere pericoloso per il futuro dell’umanità, perché il cambiamento atteso nel corso di questo secolo, se lo confrontiamo con i cambiamenti storicizzati, è di tale portata che va chiaramente a produrre dei fenomeni completamente nuovi per la nostra società e per l’intera biosfera. Potremmo quindi avere due ordini di conseguenze. Da una parte, tutte le specie viventi verranno sottoposte a condizioni nuove, a cui, senza dubbio, si adatteranno. Dall’altra, le conseguenze dell’innalzamento del clima coinvolgeranno direttamente anche noi esseri umani. Un’estate come quella del 2003, per fare un banalissimo esempio, ha prodotto 35.000 vittime in Europa. E poi ci sono disagi, e mille difficoltà che si ripercuotono immediatamente sulla nostra qualità di vita.
Per non parlare delle conseguenze indirette, quelle che vanno a toccare il resto della biosfera, ad esempio, piante, animali, insetti, batteri. Tutto si modifica, e queste modifiche, alla fine, interagiscono con noi. Pensiamo, ad esempio, a cosa può voler dire avere nuovi insetti che si espandono in zone dove prima non potevano vivere, che possono creare danni all’agricoltura, e quindi interagire con la nostra disponibilità alimentare. Scoppiano, poi, malattie tropicali laddove prima non erano nemmeno conosciute…
Un fatto importante da sottolineare è che la biosfera si adatterà sicuramente alle nuove condizioni, com’è sempre successo nei grandi cambiamenti del passato remoto. La preoccupazione è, in realtà, del tutto antropocentrica. Si dice spesso “dobbiamo salvare il pianeta”. Io sono dell’idea che, piuttosto, dobbiamo salvare l’umanità. Il pianeta evolverà, magari anche con delle catastrofi. Ma, alla fine, così come sono scomparsi i dinosauri, sono venute le scimmie. Quindi, quando diciamo che c’è un aspetto delicato nel considerare la visione del futuro, ci appelliamo proprio a questo fatto: non è detto che le condizioni del futuro siano propizie per l’uomo. Sicuramente, saranno più propizie per i ragni giganti!
Cosa fare, dunque, per cercare di rendere le condizioni climatiche propizie per l’uomo? Il problema climatico, per me, riassume in sé tutti gli eterni problemi ambientali. Intendo dire: abbiamo una Terra popolata oramai da sette miliardi di persone, basata prevalentemente sull’utilizzo di energia fossile (carbone, petrolio e gas, che non sono infiniti) che offre come sottoprodotto negativo l’inquinamento sul clima, ma anche su tanti altri campi. Inquiniamo l’aria, inquiniamo l’acqua, inquiniamo il suolo…
Quindi, se vogliamo sintetizzare le possibili soluzioni, direi che la parola d’ordine è “riduzione totale degli sprechi”: la nostra società spreca, ovunque. Per inefficienza, per presunzione, per distrazione. Ridurre gli sprechi sarebbe già un buon risultato. Si valuta che in Europa la media dello spreco di risorse e di energia sia dell’ordine del 30% rispetto a tutto quello che usiamo. Anche indipendentemente dalla questione clima, non varrebbe la pena di farlo anche solo per motivi economici? Lo spreco non serve a nessuno. Quindi, lavorare per migliorare l’efficienza del nostro sistema nell’uso dell’energia, nei trasporti, nelle materie prime. Questo impegno si rifletterebbe in una riduzione delle emissioni di CO2, sicuramente un buon inizio.
Il secondo punto è il passaggio alle energie rinnovabili. Di nuovo, anche indipendentemente dalla questione clima, quando le risorse fossili finiranno, avremo il problema di trovare delle alternative. Perché non farlo subito? Perché non cominciare da adesso? Non sono cose che si fanno in una notte. Sono cose che hanno bisogno di 20 o 30 anni per essere realizzate. Iniziare oggi questo percorso ci proteggerebbe da due problemi: il problema climatico e quello, futuro, energetico.
Il terzo grande punto è il riciclaggio dei materiali e la produzione dei rifiuti: imparare ad usare bene le materie prime, facendo meno rifiuti possibile. La Terra è già stata definita da illustri scienziati ed economisti una navicella spaziale di 6.371 km di raggio. Navighiamo in mezzo all’universo e portiamo con noi tutto ciò di cui abbiamo bisogno: o impariamo ad usarlo in modo razionale e ciclico, oppure, prima o poi, da un lato svuoteremo la miniera e dall’altro riempiremo la discarica.
Altro argomento scottante su cui è necessario riflettere, è quello della sovrappopolazione. Ovvero, per quanti passi avanti si facciano nei due settori dell’efficienza e del risparmio, già adesso abbiamo un mondo fortemente squilibrato – un mondo ricco occidentale che possiede in surplus e un mondo che non ha nemmeno di che mangiare ogni giorno. Immaginiamo se tutti fossero essere al nostro livello: non ci sarebbero più risorse e l’inquinamento sarebbe ingestibile. E’ per questi motivi che si impone una riflessione a lungo termine: non possiamo crescere all’infinito. E quando l’umanità prende coscienza di questo, invece di promuovere politiche che favoriscono le nascite, dovrebbe ideare politiche che le tengano, quanto meno, stabili. Ma non come in Cina! Perché i metodi cinesi corrispondono a dittatura, ed io non sono certo favorevole ad una dittatura. I problemi si risolvono con la cultura, con la consapevolezza. Queste cose sono già state fatte in passato, all’interno di culture molto aperte, per esempio nelle Alpi. Ci sono esempi di popoli che, dal medioevo in poi, hanno dovuto fare i conti con il problema delle risorse scarse. In una valle alpina non c’è molto da mangiare, fa freddo, si può coltivare solo qualcosa. Nelle valli alpine, soprattutto in quelle di lingua tedesca, abbiamo avuto culture che si sono sviluppate senza arrivare alla coercizione cinese, ma hanno cercato di mantenersi coerenti con le risorse del territorio attraverso buone abitudini e ritualità. Sapevano, ad esempio, che in un certo villaggio 100 persone potevano vivere e 200 no, perché in quel caso non ci sarebbe stata sufficiente legna per costruire e per scaldarsi, o sufficiente cibo per sfamare tutti. Producevano, quindi, un quadro normativo, non scritto, bensì di conoscenza collettiva, grazie al quale, per esempio, si favoriva il ritardo del matrimonio per avere meno figli o si faceva in modo che le famiglie non fossero molto numerose. Tutto questo era chiaramente legato alla necessità di salvaguardare la propria qualità di vita. Quindi, la cultura alpina – naturalmente rivisitata – dovrebbe essere ripresa alla luce della conoscenza attuale, perché ci insegna che si può controllare il proprio status di qualità della vita in relazione alle risorse del territorio, senza ricorrere all’eliminazione dei bambini, come avviene in Cina.
Tutto questo nasce dalla consapevolezza di chi si rende conto che vive su una navicella spaziale, il pianeta Terra, che ha delle risorse non infinite. Chiunque vive in un posto dove c’è una quantità finita di materiale disponibile deve fare dei calcoli e porsi la seguente domanda: vogliamo vivere bene in due miliardi o vivere male in dieci? Ribadisco, non sono cose che si fanno in dieci minuti e per questo i problemi vanno affrontati ora, prendendo delle decisioni che, magari, produrranno i loro effetti tra cinquanta anni. Altrimenti, ci penseranno i fatti a risolvere la situazione, come ad Haiti. Perché queste tragedie non guardano in faccia nessuno.
Luca Mercalli
Meteorologo e climatologo italiano
Partecipa al programma Televisivo “Che Tempo che Fa”