Sostenibilità, rinnovabilità, ecocompatibilità. Secondo me è bene che se ne parli, è bene che la gente comune si riempia orecchie e cervelli di questi concetti perché solo entrando in questa logica potremo affrontare con meno dolore le rinunce a cui stiamo andando incontro.
Il mestiere di meteorologo rappresenta una sintesi davvero curiosa di routine e innovazione, alle prese con le infinite sfaccettature di cui tener presente in un ufficio meteo regionale. Fare le previsioni del tempo richiede un occhio attento e una memoria accurata, costruita su anni di osservazioni e di confronti relativi non solo a fenomeni prettamente meteorologici ma anche alla loro relazione con il territorio, la sua orografia, le sue caratteristiche all’apparenza innocue ma spesso determinanti per i tipi di tempo. Questa memoria necessariamente nasce assieme alla passione e da essa trae alimento. Da ragazzo, negli anni ’80, diversi episodi meteorologici eclatanti hanno segnato la mia passione e quindi la mia memoria: gli inverni del 1985 e 1987, l’alta pressione dei 100 giorni nel 1989… ed è su questi episodi che la mia successiva conoscenza meteorologica è nata ed è cresciuta. E’ qui che i cambiamenti climatici irrompono rumorosamente nella mia professionalità.
Una mole notevole di discussione scientifica ma anche mediatica ha travolto le coscienze e le conoscenze di tutti, dal semplice cittadino, al giornalista, al professionista delle previsioni del tempo. Tutti sono coinvolti nei cambiamenti climatici, tutti ne parlano, tutti sarebbe meglio avessero un’opinione in merito. Anch’io. Per diversi motivi: sicuramente perché l’utenza tradizionale che si avvale della mia professionalità (media locali, utenti istituzionali e utenti privati) chiede conto di questa discussione, e la mette istintivamente in relazione al tempo atmosferico giorno dopo giorno. Poi, perché la stessa base esperienziale su cui poggia la mia conoscenza ha subìto e subisce dei contraccolpi sotto gli effetti del “climate change”: la frequenza delle grandinate, la frequenza di temperature estive oltre la norma, la frequenza ed intensità delle piogge estive ed autunnali. Aggettivi come record, eccezionale, forte sono il pane quotidiano. I media locali danno ampio risalto a tutto ciò che è (o appare) fuori della norma, ed io assieme ai miei colleghi sono chiamato a renderne conto pur non occupandomi direttamente di “climate change”. Ho però diverse fortune: conosco personalmente e professionalmente alcuni studiosi che si occupano di climatologia nell’ambito dell’IPCC (Intergovernmental Panel on Climate Change, dell’ONU), ho partecipato ad alcuni seminari in cui sono stati invitati a parlare studiosi cosiddetti “negazionisti”, o meglio latori di esperienze scientifiche (a mio avviso piuttosto interessanti) che mettono in dubbio la correttezza delle conclusioni tratte dall’IPCC. Ho assistito a diverse tavole rotonde, alcune delle quali organizzate nella mia regione da un’associazione di professionisti ed appassionati di meteorologia di cui faccio parte (Unione Meteorologica del Friuli Venezia Giulia). Alla fine di tutto, ciò che più conta per me è che il cambiamento climatico, innegabile nei fatti ma tuttora imperscrutabile nelle previsioni, ci imporrà una disciplina ferrea negli stili di vita, propria di tutti i periodi di cambiamento. In fondo, il cambiamento climatico può produrre effetti tanto significativi quanto un qualsiasi cambiamento, a grande o piccola scala: dalla pace alla guerra (e viceversa), dalla democrazia alla dittatura (e viceversa), dalla scuola al lavoro, dalla famiglia di origine alla famiglia propria… dovremo probabilmente confrontarci con gli sbandamenti, momentanei, che ogni cambiamento porta con sé; dovremo riabituarci al senso di condivisione perduto nelle brume della memoria sociale; dovremo imparare a pensare realmente alle generazioni future e all’effetto dirompente della propagazione dei nostri errori nel tempo. Ci sono alcune parole che iniziano a circolare con insistenza in cerchi sempre più larghi, come per un sasso gettato nello stagno: sostenibilità, rinnovabilità, ecocompatibilità. Secondo me è bene che se ne parli, è bene che la gente comune si riempia orecchie e cervelli di questi concetti perché solo entrando in questa logica potremo affrontare con meno dolore le rinunce a cui stiamo andando incontro. Se la natura non ci costringerà direttamente a rinunciare a qualcosa (la nostra terra divenuta inospitale, le nostre comodità divenute insostenibili data la carenza di risorse energetiche tradizionali) lo faranno i popoli, soprattutto quelli che finora sono stati marginali rispetto al benessere ed alle risorse. E lo faranno a ragione piena. Per questi ed altri motivi, anche se la mia professione è chiamata principalmente a rendere conto del tempo meteorologico e dei suoi scostamenti dalla norma, mi rallegro di poter contribuire a diverse iniziative volte alla sensibilizzazione dei più giovani e dei mezzi di informazione. Parola d’ordine: se il clima cambia e c’è un record ad ogni piè sospinto, faremo bene a cambiare anche noi… e a tempo di record!
di Arturo Pucillo
meteorologo dell’OSMER – ARPA Friuli Venezia Giulia