“In un mondo che cambia: donne, popolazione e clima” è un rapporto che mira a fornire un contributo alla Conferenza dell’ONU sui cambiamenti climatici che si svolge a Copenaghen. Pubblicato dall’UNFPA, il Fondo delle Nazioni Unite per la Popolazione, dalla lettura emerge la necessità di “investire sulle donne rurali”, vittime tra le più vulnerabili dei cambiamenti climatici. “…è sulle loro spalle che grava in larga parte il lavoro di assistenza e di ricostruzione in seguito a disastri ambientali…”; “…sono loro che inventano quotidianamente modi nuovi per far fronte all’insicurezza alimentare…”; “…sono le prime ad adottare stili consumistici che favoriscono l’ambiente…”. Nel mondo, milioni di donne lavorano nell’agricoltura di sussistenza e sono direttamente toccate dalle variazioni irregolari del clima che influenzano i raccolti. L’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura(FAO) riporta che le donne assicurano circa la metà della produzione di viveri nel mondo e, nella maggior parte dei Paesi in via di sviluppo, sono loro a garantire dal 60 all’80% del sostentamento. Le donne rurali rappresentando la maggioranza della popolazione agricola del mondo. Possono dunque svolgere un ruolo determinante e positivo nella lotta contro gli effetti dei cambiamenti climatici. Di fronte alla crescita demografica, e al conseguente aumento della domanda di prodotti alimentari, alle donne rurali tocca la sfida di produrre meglio, con risorse limitate e in un terreno più ostile. Molte donne, in angoli diversi del mondo, hanno già dato prova di essere capaci di reagire, adottando misure volte a ridurre il livello di biossido di carbonio nell’atmosfera. In Kenya, sotto la guida di Wangari Maathai, attivista ecologica e premio Nobel per la pace, le donne si sono mobilitate piantando decine di migliaia di alberi in un terreno già degradato e spoglio. In Malawi, per rispondere ai cambiamenti climatici, hanno formato “club di agricoltrici” dove si riuniscono per discutere le più recenti notizie sulle sementi e confrontare le tecniche di cultura, nel tentativo di sfruttare al meglio terreni poveri e soggetti a precipitazioni irregolari.
In Bangladesh, le donne più povere ed emarginate del Paese, che vivono lungo le sponde dei fiumi, per gestire i cambiamenti climatici, si ingegnano costruendo dimore temporanee per sopravvivere. Secondo una ricerca dell’Organizzazione per la Cooperazione e per lo Sviluppo Economico, anche nei Paesi industrializzati, nei quali la popolazione femminile è responsabile dell’80% dei consumi nelle famiglie, le donne sono più spesso attente all’ambiente, tendendo, più degli uomini, a comprare prodotti alimentari organici e “sostenibili”, riciclando e mirando ad un utilizzo efficace dell’energia. La scienza dei cambiamenti climatici e la definizione delle politiche ad essi afferenti sono da molto tempo ambiti dominati dagli uomini. Tra gli specialisti che lavorano intorno al Gruppo intergovernativo di esperti sul cambiamenti climatico, le donne rappresentano una percentuale minima, il 16%, secondo i dati dell’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico. E la loro presenza nelle delegazioni governative ai negoziati sul clima è ancora debole e poco incisiva. Senza dubbio, uno dei motivi della scarsa partecipazione femminile è la disuguaglianza tra i sessi nell’accesso all’istruzione. Senza ricevere adeguata formazione, come possono le donne rurali accedere alla scienza e acquisire più voce in capitolo nel discutere delle soluzioni? E’ essenziale riconoscere loro il ruolo di “custodi delle risorse naturali” e coinvolgerle maggiormente nell’elaborazione di politiche in materia di riscaldamento globale e cambiamenti climatici. Chi, meglio di loro, che giorno dopo giorno se ne prendono cura, coltivando la terra, può fornire un contributo decisivo per salvare questo pianeta?
Eva Donelli