Il carcere è un luogo dove la vita è difficile; dove vi sono regole di comportamento molto differenti da quelle esistenti nel mondo libero. Nonostante ciò l’apparato di quella giustizia che si occupa dell’esecuzione penale, con le molteplici figure professionali tenta, e spesso vi riesce, di “rieducare” e “reinserire” il detenuto al termine del periodo di detenzione.
Il nostro punto di partenza è sempre l’art. 27 della Costituzione. Il cittadino che diventa detenuto deve scontare la pena inflittagli dal giudice. Compito dell’Amministrazione penitenziaria è quello di tentare una sua revisione critica del passato o, comunque, del fatto che lo ha portato in carcere, per far sì che al termine della pena egli possa rientrare nella società con un bagaglio umano e professionale che gli consenta di affrontare la vita rispettando i canoni del “vivere civile”. Il compito assegnato al carcere non è così semplice come può apparire da queste brevi considerazioni. Il carcere è un luogo dove la vita è difficile, dove vi sono regole di comportamento molto differenti da quelle esistenti nel mondo libero. Nonostante ciò, l’apparato di quella giustizia che si occupa dell’esecuzione penale, con le molteplici figure professionali, tenta, e spesso vi riesce, di “rieducare” e “reinserire” il detenuto al termine del periodo di detenzione. Gli strumenti utilizzati per raggiungere questo risultato sono pochi, ma efficaci. I colloqui con gli operatori per il ripristino di relazioni umane che molto spesso il soggetto ha perso; la ripresa degli affetti familiari che con l’arresto hanno inevitabilmente subito un’interruzione traumatica; l’avvio di un percorso di riscatto personale e di auto promozione da realizzarsi con l’ausilio dei corsi scolastici, sia superiori, sia universitari, visto che la tipologia del detenuto è notevolmente cambiata nel tempo e, strumento più importante, il lavoro: prima dentro il carcere, poi all’esterno. Ma andiamo con ordine. Dopo aver indagato la personalità del detenuto, si redige un programma per il suo reinserimento laddove, di comune accordo, si stabilisce quali delle suddette attività deve intraprendere. La richiesta che viene avanzata con elevata frequenza è quella del lavoro, perché produce reddito da inviare ai familiari o da utilizzare per sé all’interno del carcere. Consente anche di acquisire una professionalità spendibile quando sarà terminata la pena.
A tal proposito, si deve subito chiarire che i detenuti sono regolarmente retribuiti per la loro attività e sono previsti tutti i versamenti contributivi, alla stessa stregua del lavoratore libero. Durante il percorso trattamentale, al raggiungimento dei requisiti di legge, il detenuto fruisce di esperienze premiali che consistono nel riacquistare, per qualche giorno, la libertà utile a riallacciare i rapporti familiari. Giunti almeno alla metà della pena, è possibile concedergli una misura alternativa; spesso si tratta della semilibertà, che consente di uscire dal carcere per recarsi al lavoro e rientrarvi per trascorrere la notte. In prossimità del termine della pena è possibile estromettere il detenuto dal circuito carcerario. Si affida ai servizi sociali dell’Amministrazione penitenziaria, che lo accompagneranno verso la completa libertà. Nel tempo, si è potuto riscontrare che i detenuti sottoposti a questo percorso rieducativo hanno un’altissima probabilità di reinserimento nella società. Si abbatte, di fatto, la recidiva, che in Italia è ancora molto alta. Il ritorno di queste persone nella società, dopo essere state sottoposte ai percorsi trattamentali, non crea allarme tra i cittadini (non deve crearne…). È pertanto necessario sollecitare ancor di più il ricorso alle misure alternative alla pena. Tutte le attività necessarie al raggiungimento di questi risultati comportano organizzazione e impegno costante da parte di tutto il personale che opera nell’Istituto. Vanno gestiti gli innumerevoli movimenti interni e le attività che i vari collaboratori dell’Istituto penitenziario, siano essi volontari, datori di lavoro o docenti delle scuole e dei corsi professionali, espletano tutti i giorni. Queste operazioni non possono e non devono prescindere dal controllo di sicurezza della struttura e delle persone che vi operano e, per questo motivo, occorrono molti più dipendenti di quelli presenti: oltre al sovraffollamento delle carceri, di cui tanto si parla, deve essere nota anche la carenza del personale che vi lavora, in particolar modo quello appartenente alla Polizia Penitenziaria. La sicurezza dei cittadini si costruisce anche dentro il carcere. La pena, oltre ad avere una funzione sanzionatoria, deve tendere all’emenda. Tornando al dettato costituzionale, si restituisce alla società un individuo cambiato, non più pericoloso, ma utile alla civile convivenza.
Salvatore Pirruccio
Direttore della Casa di reclusione di Padova