La terra di nessuno

Per qualunque madre e bambino il carcere è una condizione drammatica, ma per gli stranieri diventa tragica. Dove vanno i loro bambini? Chi se ne occupa? Chi li tutela? Ci sono persone che vivono in questo Paese come se fossero in una terra di nessuno. E così anche gli assistenti sociali dell’Amministrazione Penitenziaria si trovano ad operare in questi casi come se fossero in una terra di nessuno.

In un incontro di supervisione ad un’equipe dell’UEPE, è stato discusso il drammatico caso di una straniera, madre di due figlie di dodici e due anni, con una condanna agli arresti domiciliari che non può essere eseguita. Il nucleo, infatti, è stato sfrattato e un tentativo di accoglienza in istituto, per lei e le sue bambine, è fallito perché né il pubblico, né il privato pare avessero una struttura idonea ad accoglierle. Al momento dell’arresto, la donna porta con sé la più piccola in carcere, mentre la maggiore sarebbe stata affidata a dei connazionali, sotto lo sguardo accondiscendente di un’assistente sociale “che non era neppure competente perché il nucleo familiare non era residente”… Ben presto, della maggiore si perdono le tracce, mentre la minore, al compimento dei tre anni, deve trovare una collocazione al di fuori del carcere. Il caso descritto costituisce un’importante occasione per riflettere. Il percorso della presa in carico è stato contrassegnato da numerose difficoltà: la mancanza di risorse sul territorio, da attivarsi prima per l’intero nucleo familiare e poi per le due figlie, ma anche le correnti procedure burocratiche. Se, da un lato, servono a delimitare i campi di responsabilità reciproca tra operatori delle diverse Istituzioni coinvolte, penitenziaria e non, dall’altro possono costituire un ostacolo difficile. Questo può diventare devastante nelle situazioni di urgenza, in particolare quando si tratti di situazioni sociali di estrema fragilità, come nel caso di madri straniere, senza adeguata rete familiare o comunitaria, e dei loro figli minori, la cui tutela sembra non essere competenza definita di Nessuno. Il fatto evidenzia come la collaborazione ed il coordinamento, che dovrebbero guidare il sistema locale dei servizi, sia solo teorica. Nella quotidianità, la cultura dell’integrazione della Rete, soprattutto in emergenza, fatica ad esprimersi nell’operatività dei diversi servizi chiamati a svolgere azioni di sostegno e aiuto integrati. Un secondo importante elemento di riflessione è la complessità delle problematiche delle madri in carcere: chi è dentro, chi è fuori, chi sta sul confine e con quale ruolo, in casi come questo, in bilico fra due drammi, rottura di relazioni o bambino in carcere. Per qualunque madre e bambino è una condizione drammatica, ma per gli stranieri diventa tragica. Dove vanno i bambini? Chi se ne occupa? Chi li tutela? Ci sono persone che vivono in questo Paese come se fossero in una terra di nessuno. Così, anche gli assistenti sociali dell’Amministrazione Penitenziaria si trovano ad operare in questi casi come se fossero in una terra di nessuno. I loro sforzi s’imbattono sempre nelle stesse risposte “di non competenza”.

Quella descritta è una delle tante situazioni al “confine” della nostra competenza, situazione di forte impatto emotivo che evoca l’indignazione tra gli operatori coinvolti. La parola che prende forma tra loro è scandalo, la cui definizione per Devoto-Oli è: rivelazione di clamorose responsabilità a carico di persone o di istituzioni legate all’interesse pubblico, con ripercussioni notevoli sulla pubblica opinione. Per gli operatori, è subito chiaro che non rileva capire di chi è la responsabilità nel caso trattato. Anche perché, dicono, in senso etico, abbiamo tutti responsabilità di “farci carico”. È importante, invece, riflettere sull’interesse pubblico del quale gli operatori rappresentanti di istituzioni pubbliche (nazionali, locali…) devono farsi agenti. La distanza tra la terra di nessuno, dove talvolta si colloca anche il Carcere, e la cittadinanza è enorme. Soprattutto, quando certi tragici destini ci sfiorano. Invisibili. Come può la tutela di un bambino, indipendentemente dall’appartenenza, non essere una questione di pubblico interesse? Come può trovare posto nell’interesse pubblico la tutela di casi drammatici come questi, quando negli ultimi lustri è diventata così marcata l’assenza di un pensiero strategico nella Polis sul tema della tutela dell’infanzia? Serve ben più delle vaccinazioni e dei programmi didattici stilati dal Ministero dell’Istruzione per garantire che i bambini crescano sani. Ma questo, oggi, non sembra un tema di interesse politico. E ne lasciamo all’immaginazione i motivi.
Una giovane tirocinante nel gruppo di supervisione dice: “dov’è finita quella bambina? una bambina-donna, come qualcuno ha deciso per lei… una situazione al “confine” della nostra Competenza… che brutta parola! A volte usata per ribadire una supremazia, altre per una negazione, è sempre un voler determinare confini di separatezza. Vorrei vedere la competenza e il confine come esperienza che unisce, come possibilità di connessione e dialogo. Gli UEPE sono contenitori di frontiera: penale e sociale, legale e illegale, connazionale e straniero…Per contenere con uno sguardo più allargato la complessità e mettere in relazione le differenze, la necessità principale diventa il confronto, l’uscire dai confini, il comunicare, il connettere, l’osare”.
Ci sono operatori nei Carceri che hanno voglia di prendersi uno spazio in questa terra di nessuno e creare con i Servizi del territorio connessioni alternative, frutto di valori e metodi concretamente condivisi, invece di essere diligenti esecutori di procedure formali di organizzazioni spesso troppo burocratizzate.

Gabriella Albieri
Psiscoterapeuta e formatrice

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